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Iraq : la trappola americana

Publie le lunedì 3 maggio 2004 par Open-Publishing

Intervista allo scrittore iracheno Hussin ospite a Roma del Fondo Moravia
Dignità e sovranità «Bisogna fermare l’arroganza americana, gli Usa devono
trasferire i poteri agli iracheni, ma abbiamo bisogno dell’Onu e
dell’Europa».

ROMA
«L’Iraq sta vivendo il suo anno zero, come era avvenuto in Germania e
Giappone, ma in Iraq la situazione è ancora più difficile. L’eredità è
pesante: tre decenni di violenze, cinque guerre, considerando (oltre alla
guerra contro l’Iran e le due contro la coalizione guidata dagli Usa, ndr)
anche quelle tra il popolo e il potere, e l’embargo. Il popolo iracheno ha
bisogno di elaborare il lutto dopo aver subito tre decenni di violenze». A
sostenerlo è Jabbar Yassin Hussin, 50 anni, poeta e scrittore iracheno,
militante della sinistra costretto ad abbandonare il suo paese nel 1976 per
sfuggire a Saddam. E’ tornato in Iraq lo scorso anno, dopo la caduta del
regime. Da allora ha cominciato a viaggiare per far conoscere al mondo la
realtà storico-culturale irachena. Così è arrivato anche in Italia - prima
ad Alessano (Puglia) e poi a Roma - invitato dal Laboratorio Poiesis e dal
Fondo Alberto Moravia per «Ponti di cultura a Meridione». Dopo lo shock e
l’emozione per il rientro a Baghdad, dove dice di aver trovato un paese
abbandonato e trasformato in una caserma, e poi «420 fosse comuni, 2 milioni
di vedove, milioni di orfani e handicappati. Il regime ha bloccato la
cultura e ha interrotto il processo di democratizzazione in un paese che era
all’avanguardia. Ora tre milioni di iracheni sono esclusi dalla scuola, il
65 per cento di disoccupati, a questi si sono aggiunti 400.000 militari e
100.000 poliziotti buttati sul lastrico dagli americani. Una situazione
aggravata dal fatto che gli americani non hanno nemmeno garantito condizioni
di vita soddisfacenti: mancano elettricità, acqua, scuole, lavoro».

Ma Hussin è molto preoccupato anche per le perdite sul piano culturale.
Comunque la questione più importante ora è l’occupazione: «l’Iraq è un paese
occupato e gli iracheni sono coscienti che gli interessi degli americani
vanno contro gli interessi degli iracheni. E sanno anche che l’occupazione
durerà a lungo, ma bisogna condizionarla. Gli Usa devono rispettare
l’agenda, devono trasferire i poteri agli iracheni: è una questione di
dignità e di sovranità. Bisogna fermare l’arroganza Usa che con il pretesto
di combattere il terrorismo ha colpito tutta la popolazione di Falluja»,
sostiene lo scrittore, sottolineando però che non si può confondere il
popolo iracheno che resiste con i terroristi.

«La maggioranza del popolo vuole affermare la propria dignità, sogna un
paese pacificato e la democrazia, ma per ora questa maggioranza è
silenziosa. Sono attive invece le minoranze: quella sciita dell’estremista
Muqtada, quella sunnita legata al vecchio regime nel triangolo baathista -
io, dice Hussin, non lo chiamo sunnita, ci sono anche sciiti. Minoranze
sostenute anche dai paesi vicini. L’Iraq è ora luogo di scontro per tutte le
tendenze che si confrontano in Medioriente: l’Iran islamista, l’Arabia
saudita wahabita, la Siria baathista e il terrorismo di bin Laden. Gli Usa
hanno fatto dell’Iraq una trappola per attirare i terroristi che sono
arrivati da Afghanistan, Arabia saudita, Egitto, etc. Preferiscono
combatterli su questo terreno visto che non ci sono riusciti in
Afghanistan».

Nonostante la situazione «molto complessa» lo scrittore non si mostra
pessimista mentre si muove a suo agio nella casa che era stata di Alberto
Moravia. Poi quasi cercasse un legame ideale continua: «La soluzione è
politica non militare. La violenza può essere isolata solo con il dialogo,
che deve rispettare tutte le componenti, comprese quelle baathiste, gli Usa
hanno commesso un errore sciogliendo il partito Baath. Occorre dare ai
sunniti il loro posto, agli sciiti la sensazione di essere cittadini di
serie A, ai kurdi la fiducia nello stato centrale. E poi bisogna fare una
campagna culturale per far conoscere i principi democratici. Il tutto deve
avvenire in un quadro laico».

E quando facciamo notare che in Iraq molti si esprimono a favore di uno
stato islamico, afferma con convinzione: «Solo il 10 per cento, secondo i
sondaggi. La gente vuole uno stato laico, lo si è visto con le reazioni al
tentativo di abolire il codice della famiglia (che sarebbe stato sostituito
con la sharia, ndr)».

Sta facendo molto discutere il piano Brahimi presentato al palazzo di
vetro. Ma L’Onu potrebbe essere una alternativa per gli iracheni? chiediamo.
«Essere sotto la tutela delle Nazioni unite è diverso che essere sotto
occupazione degli americani che hanno un ruolo negativo in tutto il
Medioriente. Quella Usa è una doppia occupazione: dell’Iraq e dei
palestinesi, appoggiando la politica di Sharon. Non a caso Brahimi poteva
girare per Baghdad senza problemi, mentre gli americani non lo possono
fare», conclude Jabbar Yassin Hussin.

Il manifesto