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INTERVENTO
L’assurdo no della Sg
GUIDO IODICE
La Sinistra giovanile dei DS, che ha tenuto a Bari la sua conferenza programmatica, ha annunciato la promozione di comitati contro il referendum sull’articolo 18; comitati «contro un referendum inutile e dannoso». L’estensione del reintegro, è il parere della Sg, sarebbe quindi controproducente per i giovani ed in particolare per i lavoratori atipici. Personalmente non ho condiviso la scelta di promuovere questo referendum e sono d’accordo con chi attribuisce a una parte dei promotori intenzioni distruttive. Ma di fronte alle conseguenze di una vittoria del no o di una forte affermazione dell’astensionismo, la sinistra dovrebbe fermarsi per un supplemento di analisi.
Le argomentazioni a favore del sì sono già state ampiamente esposte dalla Cgil e sancite dal voto del direttivo. Quello che invece lascia esterrefatti è la determinazione con cui i giovani ds intendono battersi per il fallimento del referendum. Si argomenta, infatti, l’inutilità del quesito per le giovani generazioni, per i nuovi lavoratori, per tutti coloro che non hanno il posto fisso. Può anche darsi. Ma è una argomento davvero poco convincente. Nessuno, nella campagna per il referendum sul divorzio, ha mai argomentato la propria contrarietà sostenendo che non venivano affrontati i problemi dei single. Né onestamente si capisce perché l’eventuale vittoria del sì dovrebbe danneggiare i lavoratori atipici. Se il vincolo dei 15 dovesse essere abolito, l’effetto sarebbe semmai quello di una estensione dei diritti che, con il tempo e la battaglia politica, potrebbe forse un giorno riguardare anche chi non lavora a tempo indeterminato, sia pure con le modulazioni necessarie.
Viceversa, un’affermazione del no o la diserzione di massa delle urne innescherebbe inevitabilmente un processo che nel giro di poco tempo porterebbe alla cancellazione tout court del reintegro. I giovani lavoratori atipici perderebbero quindi qualsiasi speranza di trovare un giorno il tanto ambìto posto fisso (perché è ambìto, non prendiamoci in giro!) o comunque di vedere innalzato il livello delle loro tutele.
Ancora più singolare, dal punto di vista logico, è la contemporanea adesione della Sg al movimento. C’è da chiedersi se i suoi dirigenti abbiano letto mai le posizioni espresse dalle realtà del movimento sul referendum, non ultima la presa di posizione dell’Arci. C’è anche da chiedersi perché la Sg non promuova una grande campagna per il reddito di cittadinanza, non necessariamente aderendo alle opzioni più estreme, ma sviluppando una propria proposta che inserisca il nuovo istituto in un ridisegno dei tempi di vita, di studio e di lavoro.
Ma questa schizofrenia della Sg è in realtà il segno di un processo più profondo di perdita di identità, di omologazione non solo e non tanto alle posizioni espresse dal partito «dei grandi», quanto alle sue pratiche, al difetto di dibattito. La Sg da oltre un anno non promuove un suo profilo autonomo e riconoscibile. Il più delle volte si contenta di apporre la propria firma, o di copromuovere, iniziative dei Ds che sfiorano, per l’argomento trattato, le giovani generazioni. Le scienze del marketing hanno un termine preciso per indicare questa modalità di presentazione all’esterno: branding. La Sg rischia di diventare un brand, un marchio, che i Ds usano quando si tratta di parlare di scuola, di lavoro che cambia, di riforma del welfare. Se una tendenza del genere non fosse invertita al più presto anche le tante energie che si esprimono a livello territoriale ne verrebbero mortificate. E il prezzo, in breve, lo pagherebbe tutta la sinistra.