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«L’ ordine era: far vedere l’inferno ai detenuti»

Publie le domenica 9 maggio 2004 par Open-Publishing

di Bruno Marolo

La soldatessa Sabrina Harman smentisce il presidente George Bush. Sostiene il presidente che le foto delle torture non rappresentano il vero volto dell’America, e i militari americani in Iraq sono «gente fantastica, bravi ragazzi che stanno facendo molto per migliorare la vita degli iracheni». Sabrina è la soldatessa accusata di aver piazzato gli elettrodi ai polsi del prigioniero incappucciato la cui immagine, come dice il senatore Ted Kennedy, ha sostituito la statua della libertà come simbolo degli Stati Uniti. Anche Sabrina si considera una brava ragazza.

Ha raccontato che quando saltava a piedi giunti sui detenuti nudi, oppure posava per una foto ricordo accanto al cadavere in decomposizione di un iracheno ammazzato di botte, era convinta di svolgere in modo creativo la sua missione. I superiori le avevano indicato chiaramente cosa si aspettavano da lei. Il suo compito era di «creare le condizioni fisiche e psicologiche» per costringere gli iracheni a denunciare i ribelli. La scelta dei metodi dipendeva da lei, ai capi interessava il risultato. Sabrina ha risposto alle domande inviate con la posta elettronica dal Washington Post, e ha confermato la confessione resa sotto giuramento al generale Antonio Taguba, autore del rapporto sulle sevizie in carcere.

Ha ribadito che la polizia militare prendeva ordini dagli agenti dello spionaggio e dai consulenti privati assunti per condurre gli interrogatori. «I prigionieri - ha spiegato Sabrina - ci venivano consegnati in piccoli gruppi, già ammanettati e incappucciati. Il lavoro della polizia militare era di tenerli svegli, di rendere la loro vita un inferno in modo da farli parlare».

Gli iracheni caduti nelle mani dei «liberatori» venivano spogliati e tenuti in ginocchio per ore, oppure costretti a stare in equilibrio su una cassa o a tenerla sollevata, in modo da stancarli e renderli malleabili.

Dopo i primi interrogatori, chi rifiutava di collaborare veniva sottoposto al trattamento duro. «La persona che ci consegnava i prigionieri - ha raccontato Sabrina - indicava se dovevamo essere gentili con loro oppure no. Chi collaborava durante gli interrogatori poteva rimanere vestito, dormire su un materasso, ricevere in premio sigarette e in certe occasioni perfino cibo caldo. Ma se il prigioniero non dava tutte le informazioni che ci si aspettavano da lui veniva privato di tutto. Sonno, cibo, vestiti, sigarette erano privilegi concessi in base alle informazioni ricevute».

Sabrina ha 26 anni e prima di essere mandata in Iraq lavorava in una pizzeria ad Alexandria, in Virginia. Si era arruolata tra i militari della riserva per guadagnare qualche soldo in più. Sa scrivere a malapena.

Tra gli atti dell’accusa c’è una foto di un detenuto con un insulto scritto sulla pelle: "Stupratore". Sabrina ha scritto «rapeist» invece di «rapist». Ha sentito parlare della convenzione di Ginevra soltanto quando è stata accusata di averla violata. Sua madre, Robin Harman, sabato ha ascoltato la deposizione del ministro della Difesa Donald Rumsfeld al congresso. «Mi fa impazzire - commenta - il modo in cui cercano di scaricare la responsabilità sui soldati semplici».

Nel rapporto che ormai tutti conoscono, il generale Taguba ha scritto: «Il personale della compagnia numero 372 della polizia militare ricevette l’ordine di cambiare le procedure nel carcere in modo da creare condizioni adatte per gli interrogatori da parte dello spionaggio militare». Il senatore Carl Levin, capogruppo democratico nella commissione delle forze armate, ha commentato: «Gli abusi non sembrano il comportamento aberrante di individui, ma un metodo cosciente di strappare informazioni ai prigionieri».

A che livello è stata presa la decisione? Il senatore Levin ha citato un memorandum di Alberto Gonzales, consigliere legale del presidente Bush, sull’opportunità di non invocare la convenzione di Ginevra in modo da «preservare la flessibilità necessaria per la guerra al terrorismo». Gli Stati Uniti non riconoscono il tribunale internazionale contro i crimini di guerra, e hanno segnalato al mondo intero che non si considerano vincolati dalle norme internazionali contro le atrocità.

Steve Cambone, il sottosegretario della Difesa responsabile per i servizi di spionaggio, ha confermato al Senato che il generale Miller, inviato dal campo di concentramento di Guantanamo in Iraq per organizzare gli interrogatori dei prigionieri, raccomandò che la polizia militare incaricata di custodirli «creasse le condizioni per agevolare gli interrogatori» dei servizi segreti e dai loro consulenti privati. Il generale Sanchez, comandante delle truppe in Iraq, accolse la raccomandazione e ordinò alla polizia militare di eseguire gli ordini della Cia. Il risultato fu la cattura di Saddam Hussein, ma anche le foto che hanno rivelato la faccia orribile dell’occupazione.

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