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La Slovacchia post-comunista e la sterilizzazione forzata...

Publie le martedì 10 giugno 2003 par Open-Publishing

La Slovacchia post-comunista e la sterilizzazione forzata delle donne rom
di Nando Sigona
apparso su www.migranews.net

«Stavo soffrendo molto, ma non mi hanno dato né pillole né fatto iniezioni. Più tardi, sono arrivati dei dottori e mi hanno portata in sala operatoria (per il cesareo) e mi hanno fatto l’anestesia. Quando ero sul punto di addormentarmi, un’infermiera è venuta, ha preso la mia mano nella sua e mi ha fatto firmare qualcosa. Non so cosa fosse. Non ho potuto controllare perché non so leggere. So solo fare la mia firma . E, in più, ero stanca e quasi addormentata. Quando sono stata dimessa dall’ospedale, mi hanno solo detto che non avrei più potuto avere figli. Ero una donna in salute prima, ma ora ho dei dolori molto spesso e prendo infezioni facilmente».

Agáta ha 28 anni e vive nell’insediamento rom di Svinia in Slovacchia. È una delle 110 donne rom vittime di sterilizzazione forzata e di altri reati contro il diritto alla riproduzione nel Paese ex comunista. La lista degli abusi è lunga e dettagliata. Il rapporto Corpo e anima. Sterilizzazione forzata e altre violazioni della libertà di riproduzione dei rom in Slovacchia li ha raccolti e resi pubblici. Il lavoro, pubblicato a gennaio 2003, ha suscitato molto scalpore in Europa. Le autorità slovacche, chiamate in causa delle autrici dell’inchiesta, hanno avviato due inchieste per accertare i fatti: una "criminale", l’altra interna condotta dal ministero della Salute.
A rendere pubblico il rapporto sono una organizzazione non-governativa americana (Center for reproductive rights) e una slovacca (Poradna: Centre for civil and human rights) che si sono avvalse della collaborazione di una consulente esperta di diritti umani e delle minoranze che aveva già lavorato sul tema delle politiche di sterilizzazione in Slovacchia.
Le accuse sono estremamente gravi, e il momento non dei migliori per la piccola repubblica. L’ingresso nella Ue è ad un passo e la faccenda potrebbe creare problemi al Paese. Qualcuno ha anche parlato di complotto e macchinazione da parte di poteri occulti per complicare l’ingresso nella Unione europea.
Le investigazioni avviate dal governo slovacco sono state viste come un buon inizio da parte degli organizzazioni che hanno sostenuto il rapporto. Il seguito invece lo è stato molto meno. Scrivono infatti: «abbiamo osservato, monitorando come le interviste alle donne rom sono state condotte fino a ora da parte dei pubblici ufficiali, che le inchieste non sono condotte con sufficiente imparzialità e profondità, secondo quelli che sono gli standard internazionali ed europei». Facciamo qualche passo indietro.

Antefatto. Durante il nazismo prima e il comunismo poi, la sterilizzazione forzata delle donne rom è stata un fenomeno corrente nel territorio della allora Cecoslovacchia. Il timore della crescente popolazione zingara era, e continua a essere, molto diffuso nel Paese.
Il 14 luglio 1933, la Germania approvò una legge che consentiva la sterilizzazione forzata dei rom e degli altri "indesiderati". Questa politica è stata attuata in tutti i territori controllati dai nazisti.
Dopo la seconda guerra mondiale, la discriminazione contro i rom è continuata, così come le pratiche di sterilizzazione. Verso la fine dell’era comunista, il governo cecoslovacco garantiva incentivi economici a tutte le donne che accettavano di farsi sterilizzare. Sebbene il programma non facesse riferimento a specifici gruppi etnici, alcune ricerche hanno dimostrato come il provvedimento fosse diretto particolarmente ai rom. Un documento del 1977, citato nel rapporto Corpo e anima (a pagina42), prende in considerazione il relativo insuccesso della politica di sterilizzazione e nel discutere le misure da adoperare per incentivarla dice: «per quanto riguarda la poco usata possibilità di sterilizzazione, gli operatori sanitari sostengono che la ragione è lo scarso incentivo economico, per cui anche una zingara ignorante è capace di calcolare che, da un punto di vista economico, le conviene di più fare figli ogni anno perché in questo modo prende molti più sussidi dallo Stato ».
Negli anni successivi il sussidio fu sensibilmente accresciuto. Nel 1988 ammontava a 25.000 corone, poco inferiore al salario annuale di un operaio. Una ricerca condotta a Presov, nella Slovacchia orientale, ha stabilito che tra il 1986 e 1987 il 60% delle operazioni di sterilizzazioni sono state fatte su donne rom. A inizio anni ’90 la questione era stata sollevata da alcune organizzazioni non governative e numerosi casi erano stati portati davanti ai giudici. Le istituzioni però hanno sempre preferito non rispondere direttamente, né tantomeno hanno condannato pubblicamente le politiche di sterilizzazione dei passati governi.

Quanti sono i rom in Slovacchia? I dati ufficiali del 2001 dicono circa 90.000 (1,6% della popolazione); secondo molte organizzazioni non governative invece sarebbero 450.000-500.000 persone (circa il 9% della popolazione totale del Paese). La differenza è notevole. Molti rom preferirebbero non dichiarare la propria appartenenza etnica per timore di essere discriminati e per l’abitudine a mantenere un "profilo basso" che risale a ben prima del crollo del comunismo.
La popolazione zingara si concentra nella parte orientale del Paese intorno a Kosice, seconda città della Slovacchia. Gli standard di vita dei rom sono generalmente più bassi di quelli del resto degli abitanti del Paese; la mortalità infantile è molto elevata e l’aspettativa di vita considerevolmente più bassa (circa 15 anni in meno). La popolazione è mediamente più giovane, con circa l’80% dei rom sotto i 34 anni. Le donne rom, dice il rapporto (pagina 39) hanno sensibilmente meno possibilità di accesso alle cure mediche delle donne non-rom. Anche la qualità dei servizi è di solito peggiore a causa di discriminazione razziale e pregiudizi.
Come aveva messo in evidenza un rapporto redatto nel 2001, le discriminazioni legate ai servizi medici per le donne incinte sono numerosi e comprendono: poca attenzione da parte del personale medico e paramedico, limitato tempo per visite, camere da letto segregate dal resto dei pazienti, comportamenti inappropriati da parte del personale. La qualità dei servizi è andata deteriorandosi nell’ultimo decennio dopo la caduta del comunismo. L’inchiesta ha evidenziato, inoltre, l’isolamento in cui si vengono a trovare ora molte donne rom residenti lontano da centri ospedalieri e che in passato potevano contare sulle visite a domicilio di dottori o infermieri, che fornivano una importante risorsa di informazioni sulla cura dei neonati e delle madri.
È generalmente riconosciuto che la caduta del comunismo ha provocato un generale peggioramento delle condizioni dei rom in Europa dell’est. In Slovacchia questo ha significato per i rom essere vittime di discriminazioni nella scuola, nell’assegnazione delle case popolari, nell’assistenza sanitaria, nell’impiego, nei servizi pubblici e nella giustizia.
I rom, di solito, risiedono in aree separate dal resto della popolazione, zone di confine, con scarsi servizi e mal collegate. Negli ultimi dieci anni si sono visti respingere sempre più fuori, gli insediamenti localizzati in aree remote sono cresciuti da 278 nel 1988 a 616 nel 2000. Molti di questi non sono riconosciuti ufficialmente dalle autorità, il che significa difficoltà a vedersi riconosciuta la residenza, difficoltà per iscrivere i figli a scuola, accedere all’assistenza sanitaria, avere l’allacciamento all’acqua.

Nuovo regime, vecchia retorica. Alcune forze politiche capitalizzano la situazione di disagio e povertà e costruiscono sugli stereotipi legati agli zingari il loro successo. Sindaci di città e villaggi dell’est sostengono apertamente la marginalizzazione dei rom come unica possibile maniera di trattarli. E la pubblica opinione sembra essere d’accordo. Secondo un’inchiesta condotta nel 1995 e nel 1999 oltre i due terzi degli slovacchi ritiene giusto tenere separati i rom dal resto della popolazione. Il fatto che i rom siano troppi e che facciano troppi figli continua a essere oggetto del dibattito pubblico. Nell’ultimo decennio, non di rado si sono sentiti uomini politici esprimere la loro preoccupazione per il crescente numero di zingari e avvertire il pubblico del rischio che i rom superino in numero gli slovacchi a breve. Un articolo apparso quest’anno suggeriva che il sorpasso, ai ritmi attuali, avverrà nel 2060.
Come intervenire? Qualcuno ha invocato "un programma anti-fertilità alla cinese", altri un netto taglio dei sussidi per le famiglie con l’imposizione di un tetto massimo. Un dottore di Kezmarok, riportano gli autori del rapporto Corpo e anima, ha dichiarato a un giornale che «i rom non prestano molte attenzioni alla crescita dei loro bambini. I bambini si arrangiano da soli. Per cui la questione dei sussidi per l’infanzia dati ai genitori va riconsiderata. Contraccettivi e sterilizzazione gratuita sono il primo passo verso la soluzione del problema».

Le reazioni al rapporto. Nelle settimane successive all’uscita del rapporto, alcune delle donne rom residenti negli insediamenti visitati dagli autori dell’indagine hanno denunciato di aver subìto minacce e pressioni da rappresentanti delle forze di polizia coinvolte nell’inchiesta avviata dal governo e da infermieri e operatori sanitari impiegati negli ospedali della zona. Il modo in cui le inchieste sono state condotte fino ad ora appare quanto meno parziale. E testimonia più il desiderio di chiudere la faccenda da parte dell’amministrazione che non quello di accertare la verità e prendere provvedimenti.
Gli stessi autori di Corpo e anima sono stati oggetto di numerose pressioni e un alto rappresentante del governo è arrivato a minacciare la loro persecuzione per via giudiziaria in ogni caso: sia che se ne accerti l’infondatezza (in quel caso sarebbero colpevoli di aver leso la dignità del Paese e aver diffuso notizie false e tendenziose) sia che le accuse siano provate vere perché in tal caso la colpa sarebbe non aver fornito immediatamente le informazioni in loro possesso alle autorità competenti, rendendosi quindi complici dei fatti.
Altra nota dolente. A quanto pare l’inchiesta del governo piuttosto che accertare i fatti presentati nel rapporto si sta limitando alle sterilizzazioni effettuate in un unico ospedale, ignorando tutti gli altri citati nel lavoro, e per un periodo estremamente limitato (1999-2001). Gli inquirenti inoltre hanno sinora ritenuto sufficiente sentire unicamente medici e infermieri ma non le pazienti.

«Mi hanno portato tre fogli e mi hanno detto che dovevo firmare altrimenti il mio prossimo bambino sarebbe soffocato durante il parto e anch’io correvo rischi. Io non volevo essere sterilizzata ma non volevo morire. Avevo 19 anni quando è successo e volevo vivere».