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CORSERA 12-10
La fatale Yalta dei tempi nostri
Con Berlusconi la storia diventa farsa
di ENZO BIAGI
Yalta: nome fatale. Lì, si spensero le illusioni degli ultimi seguaci dello zar. Quelli che
sfuggirono all’attacco dei «rossi» andarono a vendere le divise e le decorazioni agli antiquari di
Parigi. Lasciarono le selle dei cavalli cosacchi per il volante delle autopubbliche. Qui, nel febbraio
del 1945, come ricorda una lapide, Stalin, Roosevelt e Churchill discussero il nostro destino.
Adesso la posta è molto più modesta: dalla dacia di Zoria, sul Mar Nero, a pochi chilometri da Yalta,
il premier Silvio Berlusconi risponde a Fini: «Il voto agli stranieri non è nel programma.
Personalmente su questo punto non ci ho mai messo la testa».
Prime conseguenze, ovvero uno sguardo alla situazione italiana. La Lega è esasperata dalla
proposta di Fini e Berlusconi va contro di lui. Ha dalla sua «l’amico Bossi», l’inventore della Padania e
delle ampolline con l’acqua «benedetta» del Po. Il «senatur» si è dimenticato che almeno tre
generazioni di italiani si sono impegnate per mettere insieme questo Paese che, se desse retta alla
Lega, cancellerebbe Pirandello, Brancati, Sciascia nonché eminenti figure della scienza. Si
minacciano elezioni anticipate e non si escludono sorprese.
Ospitiamo un milione e 600 mila stranieri che fanno anche i lavori che i nostri compatrioti
rifiutano. Fini vorrebbe far votare alle amministrative quelli che possiedono determinati requisiti,
Berlusconi no. Forse avverte che crescono gli oppositori alla legge finanziaria inventata dal severo
Tremonti. Alla bocciatura della Confindustria si aggiungono la Corte dei Conti e la Banca
d’Italia. Tutto va bene, signor presidente.
Al quale mi permetto di segnalare un avvertimento particolare del vescovo di Trapani, monsignor
Francesco Miccichè: «La politica non è affarismo. Non può essere gestita da gruppi di potere
economico e non può avere le caratteristiche dell’azienda privata da amministrare. Non si tratta di un
prodotto da vendere o di un guadagno da realizzare, ma di un popolo da promuovere».