Home > La guerra, gli affari, le imprese e…..Varese
La condizione di guerra globale permanente viene sempre più mistificata come
una necessità per fronteggiare ogni forma di emergenza: umanitaria,
terrorismo, democratica…
In questo modo si cerca perfino di rendere etico, con tanto di retorica
patriottica, una forma brutale di governo del mondo, di controllo delle
risorse, di dominio sulle persone.
Ma i recenti drammatici avvenimenti della guerra in Iraq, con la cattura di
ostaggi appartenenti a servizi di sicurezza privati (numericamente il 2°
esercito presente nel paese) che hanno tra i compiti prevalenti garantire le
condizioni di sicurezza per gli investitori stranieri, hanno reso palesi le
vere ragioni dell’occupazione dell’Iraq.
Mentre in Iraq si muore e l’occupazione militare è sempre più osteggiata c’è
chi cerca di creare le condizioni per accumulare profitti da questa
maledetta guerra.
Dunque nessun sacrificio "eroico" per la democratizzazione del paese ma solo
la gestione, da parte di chi ha bombardato, invaso e occupato, degli
interessi tra l’apparato militare e quello economico finanziario per
definire CHI, COME e CON QUALI priorità si deve costruire il futuro
dell’Iraq.
La coalizione militare detta i tempi degli appalti, le scelte dei
concorrenti, i progetti su cui investire; le grandi multinazionali, ma anche
le piccole medie imprese concorrono alla spartizione dell’affaire Iraq.
L’economia armata non è fatta solo di carri armati e di eserciti ma anche di
investimenti e finanziamenti che la guerra stessa alimenta.
La nuova costituzione irachena dà all’attuale governo provvisorio (gestito
da USA & Co. e non eletto da nessuno) non solo il compito di transizione ma
soprattutto il potere di scelte economiche strutturali (privatizzazione di
tutti i servizi), in modo da renderle irreversibili.
La prima tranche di finanziamenti USA è di 18,4 mld di dollari, a cui si
devono aggiungere i fondi della conferenza dei donatori di Madrid (33 mld di
dollari) hanno avviato i primi 17 contratti con le principali corporation
americane ed inglesi (Becktel, Halliburton, Parson…) che avranno il compito
di controllare le risorse dell’Iraq.
Da queste partiranno subappalti e forniture a cascata per tutte le imprese e
gli enti che in questo momento stanno facendo a gomitate per aprirsi lo
spazio maggiore.
Le imprese italiane sono tra queste: sono circa 15.000 le imprese ed enti
che si sono offerte per il mercato della "ricostruzione armata".
Tra queste compaiono anche 200 imprese della provincia di Varese
(www.iraq-reconstruction.it).
Quelle già coinvolte in questo business sono 35 tra cui: Eni, GTT (ex Fiat
Avio), Nuova Magrini Galileo, Gruppo Trevi…
Mentre la SanPaolo-IMI si è aggiudicata un ruolo di primo piano essendo
l’unica banca italiana che fa parte del consorzio di banche internazionali
che hanno fondato la Trade Bank of Iraq, che coordinerà e gestirà tutti gli
investimenti.
Questa è la posta in gioco che spiega la presenza delle truppe italiane in
Iraq: altro che funzione umanitaria, tutto ciò è funzionale solo a garantire
un ruolo alle nostre imprese dopo la distruzione del paese e la morte di
10.000 civili.
Questo è il modello neoliberista: il rilancio economico con la devastazione
di un intero paese. ORA BASTA VOGLIAMO:
IL RITIRO IMMEDIATO del CONTINGENTE ITALIANO
RICONSEGNARE L’IRAQ AGLI IRACHENI
BOICOTTARE LE IMPRESE CHE FANNO AFFARI CON LA GUERRA