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Il governo ha varato in via definitiva la riforma Biagi sul mercato del lavoro
La precarietà adesso è legge
Via libera al «job on call»: operai trasformati in lavoratori-squillo. Ma si può anche venire affittati a vita, grazie allo «staff leasing». Aumentano le discriminazioni nei confronti dei disabili: addio alle quote obbligatorie di assunzione, tutti in appalto I co.co.co. spariscono, sostituiti dai «contratti a progetto», una nuova forma di autonomi. I sindacati faranno collocamento e certificazione, snaturando il proprio ruolo. Prc: «Lavoratori sempre più soli». La Cgil: «E’ il self-service della precarietà»
ANTONIO SCIOTTO
La diga è stata aperta definitivamente, il fiume della precarietà non avrà più argini: ieri il governo ha varato
il decreto attuativo della «riforma Biagi», l’ultimo passo per l’entrata in vigore ufficiale. Dai primi di settembre, dunque, le imprese potranno stipulare i primi contratti di job on call (lavoro a chiamata) e staff leasing (affitto di squadre). I sindacati faranno collocamento e certificazione (enti bilaterali). L’articolo 18 e l’intero Statuto dei lavoratori diventano un residuato preistorico con la cessione liberalizzata dei rami d’azienda: le singole imprese potranno autospezzettarsi a piacimento, clonando nuove aziende sotto i 15 dipendenti. Ma anche - ciliegina lasciata alla fine - è rientrato dalla finestra (dopo che era stato espunto dalla delega) un articolo che riguarda i lavoratori disabili. La legge che fino a oggi obbligava all’assunzione diretta di portatori di handicap potrà infatti essere aggirata: per soddisfare le quote, le aziende potranno limitarsi ad assegnare delle commesse a cooperative sociali di cui i disabili risultino dipendenti. Il part time sarà più elastico, l’orario potrà essere cambiato con un certo preavviso. Tutto un programma, poi, il job sharing, un solo posto ripartito tra due lavoratori: nelle elezioni dei rappresentanti sindacali, il voto di due addetti varrà come singolo. Una serie di misure, insomma, che tagliano i diritti, individualizzano i lavoratori, puntano ad asservire i sindacati. Partiamo proprio dal job sharing, uno degli istituti che mostra più apertamente lo scadimento generale del lavoro: un posto diviso in due, che i lavoratori possono gestire a loro piacimento. In teoria, uno può fare anche 8 ore e l’altro zero, l’essenziale è che non lascino scoperta la produzione. «Non è tanto il concetto di lavoro ripartito che ci sembra assurdo - commenta Alfonso Gianni, Rifondazione, che ha seguito l’iter della delega e del decreto fino all’attuazione - quanto piuttosto il modo in cui viene realizzato: nell’elezione dei rappresentanti sindacali il voto espresso può essere soltanto uno, nonostante a lavorare siano due persone. E poi, se uno dei due decide di rescindere il contratto, anche l’altro sarà costretto a perdere il posto». «Quello che ci sembra più evidente analizzando le oltre 40 tipologie di contratti che vengono fuori dalla legge - continua il parlamentare - è che si è volutamente compiuta un’operazione ideologica più che strettamente di riforma economica: gli ultimi dati Istat danno in crescita i contratti a tempo indeterminato, evidentemente c’è una quota di flessibilità oltre cui le stesse aziende non possono andare se non vogliono rischiare una situazione ingovernabile. Quello che l’esecutivo ha voluto ottenere, insieme agli industriali, è la frammentazione e l’isolamento dei lavoratori, oltre all’indebolimento dei sindacati».
Per quanto concerne il job on call, il lavoro a chiamata, sarà possibile assumere a tempo determinato o indeterminato dei lavoratori sempre a disposizione dell’impresa, con solo un minimo di ore retribuite e il resto a discrezione dell’imprenditore: potrà alzare la cornetta e chiamare quando ci sarà bisogno, con un preavviso che si aggira orientativamente intorno alle 24 ore, ma che comunque si potrà stabilire (magari 25 o 27) nella contrattazione collettiva. Non è neppure chiaro se ci saranno maggiorazioni di stipendio per chi si rende disponibile alla chiamata: «Molte di queste disposizioni in realtà vengono lasciate alla contrattazione - spiega Tiziano Rinaldini, della Cgil Emilia Romagna - Ma è in generale il rapporto tra leggi e contrattazione che è stato rovesciato. Prima la legge era come una rete di base che lasciava molta autonomia alle parti sociali, autonomia che ora è praticamente annullata: i sindacati sono chiamati a digerire a priori quanto disposto, limitandosi a concordare eventuali aggiustamenti. Se non c’è accordo, l’azienda può utilizzare agilmente tutte le possibilità offerte dalla legge».
Il ruolo del sindacato è così ridotto non solo nella contrattazione, ma più in generale viene costretto al ruolo di un’agenzia di servizi: potrà fare collocamento e certificazione dei rapporti di lavoro, partecipando agli enti bilaterali insieme alle imprese. In questo modo avrà suoi interessi specifici, non più legati direttamente a quelli dei lavoratori: al contrario, il singolo lavoratore avrà a che fare con due strutture, impresa e sindacato, ugualmente a lui estranee, e che si occuperanno l’una di farlo lavorare e retribuirlo, l’altro di assisterlo nel trovare un’occupazione o nel timbrargli il certificato che descrive il suo rapporto di lavoro. Con lo staff leasing, la «somministrazione di manodopera» (l’espressione sostituisce di fatto il vecchio «lavoro interinale»), interi reparti saranno presi in affitto da altre aziende, e dunque ci potranno essere imprese senza dipendenti propri. Una difficoltà in più per le organizzazioni sindacali, dato che i lavoratori dovranno rivendicare i propri diritti non nell’impresa dove di fatto prestano la propria opera, ma presso quella che li dà in affitto. «Viene a cadere la responsabilità degli imprenditori rispetto ai lavoratori, dato che il rapporto di lavoro viene ridotto a un puro rapporto commerciale tra due aziende», commenta Rinaldini.
I co.co.co. sono destinati ad essere trasformati in contratti a progetto, ma questo non vuol dire che gli imprenditori saranno costretti ad assumerli a tempo indeterminato, come aveva annunciato la propaganda berlusconiana. Piuttosto, dato che c’è anche il progetto di parificare i loro contributi a quelli degli autonomi, tutti i co.co.co. che non rientrano in speciali categorie (professioni intellettuali, società sportive, pensionati, esclusi dalla trasformazione in lavoro a progetto) verranno spinti a trasformarsi in partite Iva. Mano libera anche allo spezzettamento delle aziende: mentre prima potevano essere scorporati solo rami già precedentemente autonomi, adesso si potrà inventare su due piedi un’autonomia funzionale, e dunque creare piccole aziende con meno di 15 dipendenti, senza diritti. La delega 848bis, che ancora giace in Senato e che dovrebbe abrogare progressivamente l’articolo 18, pare ormai già cosa superflua. «Si realizza - commenta il segretario confederale Cgil Giuseppe Casadio - quel self-service della precarietà che punta a rendere il lavoratore sempre più solo e debole nel mercato del lavoro». Contro la legge Biagi, la Cgil ha confermato le due ore di sciopero generale in settembre.
Lavoratori «squillo»
Si chiama «job on call», parola inglese che si traduce con «lavoro a chiamata». Ovvero, stai a disposizione dell’imprenditore, decide lui quando puoi andare a lavorare. Ti assume a tempo determinato o indeterminato, con un minimo di ore retribuite, da fare quando squillerà il telefono. Il preavviso? Di una sola giornata o giù di lì. I sindacati vengono chiamati a stabilire, di concerto con le imprese, l’ammontare di un’eventuale indennità da concedere a fronte della disponibilità del tuo tempo, oltre a determinare insieme, eventualmente, le ore di preavviso. Un’altra possibilità di lavoro «a smozzichi» è dato dai nuovi carnet di buoni orari da 7,50 euro, utilizzabili però dalle famiglie. Si potranno retribuire prestazioni occasionali di disoccupati, casalinghe, extracomunitari, disabili, impiegati per l’assistenza o le cure personali. Il prestatore di lavoro, per ciascun buono riceverà dagli enti o dalle società concessionarie un compenso di 5,8 euro, una volta decurtato dagli oneri contributivi. Il compenso è esente da imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato del lavoratore. Altri lavoratori «a scadenza» sono quelli in «tirocinio estivo», giovani impiegabili per non più di tre mesi e iscritti a un ciclo di studi. Sono gratuiti per le imprese, ed eventuali borse di studio non potranno superare i 600 euro mensili. Gli «stagisti» o «tirocinanti» rischiano di prolificare: non ci sono infatti limiti di percentuali per il loro utilizzo, salvo che i contratti collettivi non dispongano diversamente
Un voto per due teste
Con il «job sharing», un solo posto di lavoro ripartito tra due lavoratori, anche le tradizionali e basilari regole democratiche vengono infrante: il voto per l’elezione dei rappresentanti sindacali viene infatti anch’esso ripartito, tanto che i due addetti, che dividono orario e stipendio, dovranno dividersi pure l’unico voto a loro disposizione. Come questo praticamente si possa fare, poi, è tutto da stabilire. D’altra parte, il parere di maggioranza espresso alla Camera la sera prima del varo definitivo del governo, chiedeva addirittura l’annullamento del voto tout court, rapinando i lavoratori anche del mezzo voto che era loro rimasto a disposizione. E se uno dei due non vuole più lavorare? Può rescindere il contratto, che però viene cancellato anche per il suo sfortunato collega. Altre discriminazioni? Il decreto di attuazione della legge 30 non è avaro in questo senso: vengono violati anche i diritti dei disabili. La legge 68 del 1999, che disponeva l’obbligatorietà di assunzione di certe quote di portatori di handicap nelle aziende, è stata aggirata grazie a una forzatura della stessa delega. In origine, infatti, la delega prevedeva già che per soddisfare le quote sarebbe bastato assegnare delle commesse a speciali cooperative sociali presso cui erano assunti i disabili. L’opposizione di Prc, Ulivo e di alcuni parlamentari di centrodestra erano bastati a espungere il contestato provvedimento, ma questo è ricomparso nel decreto e il governo lo ha dunque varato in via definitiva.
Ne prendo dieci in affitto
Via all’affitto dei lavoratori, le disposizioni sullo «staff leasing» permettono alle aziende di noleggiare intere squadre di operai anche a tempo indeterminato. In questo modo, come denuncia la Cgil, i lavoratori saranno sempre più soli e scoperti, mentre gli imprenditori non saranno più direttamente responsabili rispetto alle persone impiegate presso le proprie linee di produzione. Per tutte le rivendicazioni, infatti, non bisognerà vedersela con il proprietario dell’azienda presso cui lavoreranno gli addetti «affittati», ma con l’agenzia di «somministrazione di manodopera» che ha procurato il leasing. Addio anche al collocamento pubblico, di fatto sostituito dai privati. Le agenzie di lavoro temporaneo potranno svolgere tutta una serie di nuovi servizi, ma anche le università, i sindacati o singoli consulenti autorizzati potranno gestire il collocamento. Sarà anzi creata una vera e propria «borsa del lavoro», dove circoleranno i dati relativi alla domanda e all’offerta. Opererà principalmente su Internet e si potranno inserire candidature e richieste di personale senza rivolgersi a nessun intermediario. Anche questo, secondo la Cgil, è un modo per individualizzare sempre più i lavoratori e renderli più soli e scoperti. Il regime di autorizzazione per diventare «somministratori di manodopera», comunque, sarà unico, e sarà concesso dal ministero del welfare.
Da co.co.co. a partite Iva
Cari vecchi co.co.co., addio anche a voi, dopo circa sei anni di impetuoso sviluppo e proprio adesso che la vostra crescita sembrava inarrestabile. Ma non verrete stabilizzati, come pomposamente avevano annunciato Berlusconi e Brunetta presentando le grandi novità della legge 30. I collaboratori coordinati e continuativi dovranno essere trasformati in lavoratori «a progetto», ovvero dovrà essere chiarita (ma già i contratti di oggi lo facevano) una data di scadenza e il loro lavoro legato a un preciso progetto. Dall’altro lato, si fa sempre più largo l’idea di portare gli attuali contributi (oggi circa il 14%) al livello di quelli degli autonomi (19%): due più due fa sempre quattro. I co.co.co., di fatto, verranno spinti nel mondo degli autonomi, invitati nella maggior parte dei casi ad aprirsi una partita Iva, dato che ormai gli stessi contributi saranno equivalenti. Dalla norma sono escluse le prestazioni occasionali (non superiori a 30 giorni in un anno con lo stesso committente purché non superino i 5 mila euro), le professioni intellettuali, le collaborazioni alle società sportive e le collaborazioni dei componenti agli organi di amministrazione e controllo delle società. Possono continuare ad avere collaborazione coordinate e continuative anche i titolari di pensione di vecchiaia. Quanto ai contratti di formazione lavoro, saranno sostituiti dai contratti di inserimento.
Servizievoli sindacati
Sindacati al completo servizio delle imprese, o comunque non conflittuali. E’ questo lo scopo dell’istituzione degli enti bilaterali, che si occuperanno principalmente di collocamento e certificazione. La prima funzione rischia di trasformare le organizzazioni sindacali in vere e proprie associazioni clientelari: solo chi si iscrive avrà la speranza di essere inserito nei database dei sindacati e che questi si attivino per trovargli un lavoro. Il secondo ruolo, quello della certificazione, è ancora più delicato, in quanto i sindacati vengono chiamati, all’interno degli enti bilaterali e insieme alle imprese, alle direzioni provinciali del lavoro, alle università pubbliche e private, a certificare il rapporto di lavoro. In pratica, se ci sarà anche il timbro del sindacato sul documento che certifica il tuo rapporto di lavoro, sarà molto meno probabile che poi tu faccia causa all’azienda, riducendo così enormemente l’immenso numero di contenziosi che potrebbe discendere dalla nuova legge. «La nuova legge - commenta il segretario confederale Cgil Giuseppe Casadio - punta a una totale frantumazione del mondo del lavoro, a una disarticolazione della rappresentanza, alla individualizzazione del rapporto di lavoro, allo snaturamento, attraverso gli enti bilaterali, della stessa funzione del sindacato inteso come organizzazione libera e portatrice di interessi specifici».
Aule chiuse per i precari
Il governo opta per il silenzio. Ma gli insegnanti promettono ancora battaglia
Prof vigilessa Si chiama Arianna, è laureata, ha vinto due concorsi da insegnante. Per lei nessuna cattedra. Ora dirige il traffico
CINZIA GUBBINI
ROMA
Non ci sarà nessun decreto legge a favore dei precari della scuola. Da ieri la cosa è chiara: il responsabile del settore scuola dell’Udc, Beniamino Brocca, ha incontrato una delegazione del movimento dei precari che da due giorni presidia il parlamento. Tocca ad Aureliana, insegnante di Roma e tra i referenti del «Movimento interregionale insegnanti precari» (Miip), dare la cattiva notizia. Imbraccia il megafono e dice: «Brocca è stato chiaro: il decreto legge non si farà». E’ il ministro Moratti a non volere un provvedimento immediatamente operativo che possa tutelare la posizione di chi ha superato i concorsi pubblici. Sa che sarebbe bocciato dalla sua stessa maggioranza, e oltretutto non pare interessata a porre un rimedio all’immenso caravenserraglio provocato da lei stessa, quando decise di unificare le fasce che tenevano ben separati i cosiddetti «precari storici» e i «sissini», i docenti, cioè, passati attraverso le scuole universitarie di specializzazione. Cala un velo di tristezza sulle facce dei prof, qualcuno scoppia addirittura a piangere: si intrecciano le storie di chi ha i figli da mantenere, di chi vede sfumare il lavoro di una vita, l’investimento fatto sul lavoro dell’insegnamento. Ad un certo punto scende a parlare con loro anche il ministro Buttiglione, dice agli insegnanti che devono capire chi sono «gli alleati e chi i nemici», che lui sta lottando «anche contro la stessa maggioranza». Secondo lui, la soluzione potrebbe essere un disegno di legge. Scoppia la rabbia: «Se non fate qualcosa subito, noi siamo fuori». E Buttiglione: «Se la vostra intenzione è fare cagnara, me ne vado». E gira i tacchi. Nel pomeriggio chiederà a Moratti e Tremonti, in nome «della libertà della scuola», l’immediata approvazione dei bonus a favore delle private.
Sono 150 mila gli insegnanti che vivono da anni nel precariato. A oggi l’unico modo di lavorare nella scuola, visto che da tre anni sono bloccate le immissioni in ruolo. L’ultima beffa è la decisione di applicare immediatamente al sentenza del Tar del 14 luglio, rifare in fretta e furia le graduatorie decurtando i 18 punti assegnati ai «precari storici» per tentare di riequilibrare la situazione. E, dulcis in fundo, pubblicare le nuove graduatorie solo su internet. Per accedervi occorre introdurre un codice e non è possibile vederle per intero. Facile eliminare il problema dei ricorsi, no? La catena di follie che punteggia questa storia è lunga e porta dritto dritto all’eliminazione per ingestibilità manifesta delle graduatorie pubbliche e l’adozione di un modello più «efficace»: la chiamata diretta da parte dei dirigenti scolastici. Gli insegnanti lo sanno. Per i prossimi giorni si annunciano azioni e manifestazioni.
Ma chi sono questi docenti che ora dicono: «Stanno cancellando un’intera generazione dalla scuola»? Le storie sono tante e molto diverse tra loro. Tra le tante scegliamo quella di Arianna, della provincia di Siena. Anche lei, ieri, era sotto il parlamento a protestare.
La sua vicenda è emblematica: ha vinto il concorso ordinario, ha vinto il concorso per i riservisti, si è laureata nel `92 con 110 e lode e ha concluso un dottorato di ricerca in linguistica italiana. Ha lavorato per 11 anni nella scuola. «Attualmente il mio lavoro è vigilessa», spiega, e non può non scapparle da ridire. Questa volenterosa ragazza di 35 anni, infatti, ha trovato anche il tempo di vincere un concorso per vigili, ma il suo incarico è soltanto stagionale. Per ironia della sorte presta spesso servizio di fronte alle scuole: «Faccio attraversare la strada ai figlioli». Per la classe di latino e greco erano a disposizione due posti, a Siena: «Sono stati presi da due della Ssiss, che con i trenta punti regalati dal governo arrivano tranquillamente a 66, mentre io ne ho, nonostante tutto, solo 52». Ma non finisce qui, perché anche Arianna si è iscritta alle Ssiss. La sua testimonianza, come quella di molti altri, parla di corsi «all’acqua di rose» e poco selettivi. Non vogliono, tuttavia, ridurre tutto alla ormai famosa «guerra fra poveri». «C’è piuttosto da sperare - dice Alessandro, anche lui in attesa di una cattedra - che da questa storia nasca un movimento che rimetta al centro la qualità della scuola, che non può essere ridotta a una questione di punteggi».
E’ invece un procedere «spregiudicato», come lo chiama il sindacalista della Cgil Luciano Lijoi, quello della maggioranza, che semplicemente se ne frega dell’enorme incertezza in cui sono precipitati i docenti precari. Lo Snals ha proclamato ieri lo stato di agitazione. Protestano anche i senatori dell’opposizione e promettono un autunno caldo. Ma non occorrerà aspettare settembre per rivedere in piazza la protesta degli insegnanti.
www.ilmanifesto.it 01/08/03