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La proposta della LCR per le elezioni europee

Publie le lunedì 24 maggio 2004 par Open-Publishing

Contro l’Europa liberale
Gli Stati uniti socialisti d’Europa

Il movimento operaio europeo deve affrontare una sfida cruciale: quella di proporre un’alternativa
anticapitalista ed emancipatrice alla costruzione dell’Europa liberale e alla politica
neoconservatrice condotta dalla Unione europea, che punta a spazzare via l’insieme delle conquiste sociali.

La costruzione dell’Europa liberale ha fatto un nuovo passo in avanti con l’allargamento
dell’Unione europea (UE). Nel mese di giugno, i capi di Stato della UE adotteranno quella che viene
battezzata in modo fraudolento Costituzione, mentre si tratta in realtà di un supertrattato interstatale
che sintetizza e legittima l’insieme dei trattati e dei regolamenti adottati negli ultimi anni nel
quadro della UE. Di fronte alla nuova offensiva che punta ad eliminare qualsiasi ostacolo alla
concorrenza nel quadro «di una economia sociale di mercato altamente competitiva» è necessario che
si faccia sentire in queste elezioni una voce che si sforza di dare credibilità alla prospettiva di
una Europa democratica al servizio dei lavoratori e dei popoli.
Per molti decenni, dalla vittoria della controrivoluzione staliniana alla caduta del muro di
Berlino, l’internazionalismo è stato oscurato dalla divisione del mondo in due campi:
 quello cosiddetto delle democrazie occidentali sostenuto dalla socialdemocrazia e dalle
organizzazioni sindacali che influenzava, e che hanno abbandonato qualsiasi prospettiva di rottura con il
sistema capitalista;
 quello dell’URSS, dei paesi dell’Est, della Cina, qualificato abusivamente come socialista o
comunista, sostenuto dai partiti comunisti e dalla parte del movimento sindacale controllata da
questi ultimi, e che non rappresentava in alcun modo una prospettiva emancipatrice.

Socialismo o barbarie

Quel tempo è finito. Le burocrazie dei paesi dell’Est sono state spazzate via e l’imperialismo ha
mostrato la sua incapacità di organizzare un mondo in cui regnino la pace, la democrazia e la
giustizia. Mai ci sono state disuguaglianze tanto grandi, tra i paesi del Nord e i paesi del Sud, ma
anche, all’interno di ogni paese, tra sfruttati e sfruttatori. Mai i diritti democratici sono
stati così minacciati e mai la guerre sono state così numerose. L’alternativa «socialismo o
barbarie» è più che mai di una bruciante attualità.
Non c’è da aspettarci niente dalla socialdemocrazia, che è stata un elemento attivo nella
costruzione dell’Europa liberale.

I governi socialdemocratici, anche quando erano ultramaggioritari nelle
conferenze intergovernative dei capi di Stato della UE, hanno iniziato e applicato politiche
contrarie agli interessi della grande maggioranza delle popolazioni, sia con la privatizzazione dei
servizi pubblici o facendosi sostenitori della indipendenza della Banca centrale europea. La stessa
considerazione vale per l’elaborazione della nuova Costituzione, per la quale alcuni dei suoi
esponenti hanno avuto una parte di primo piano. I deputati europei del Partito socialista francese
hanno sempre votato sulle questioni essenziali come i loro «compagni» della socialdemocrazia
tedesca di Schröder o inglese di Blair, ma anche come i loro «avversari», e nondimeno «colleghi», dei
partiti della destra liberale.

Neanche c’è una maggiore opposizione coerente da parte dei partiti verdi e dei partiti comunisti.
I primi non esitano (il partito verde tedesco di Cohn-Bendit e di Fischer è alla testa di questo
orientamento) a difendere la nuova Costituzione con il pretesto che questa conterrebbe elementi
progressisti, in particolare permettendo di contestare l’egemonia politica, economica e militare
degli Stati uniti. Come se l’Europa stessa non fosse imperialista, non partecipasse al saccheggio
economico dei paesi del Sud, e non fosse fonte di guerra nel mondo.

Quanto ai partiti comunisti e
alle loro diverse correnti, se il loro orientamento è eterogeneo, andando dall’accettazione del
quadro istituzionale dell’Europa quale esiste attualmente a posizioni francamente nazionaliste e
reazionarie, si trovano tutti d’accordo per concludere accordi di governo con la socialdemocrazia non
appena ne hanno la possibilità, il che peraltro dà poca credibilità alle loro critiche sulla
costruzione di una Europa liberale.

Sul versante delle grandi organizzazioni sindacali la constatazione è drammatica. La
Confederazione sindacale europea (CES), che raggruppa le principali confederazioni dei paesi membri
dell’Unione europea, non ha dato vita, a parte qualche iniziativa congiunturale e senza sbocchi, ad alcuna
mobilitazione, alcuna lotta conseguente su scala europea né contro la privatizzazione dei servizi e
delle imprese pubbliche, lo smantellamento delle pensioni, e della sanità pubblica, né contro i
licenziamenti. I suoi dirigenti preferiscono la collaborazione quotidiana con la Commissione di
Bruxelles e con le organizzazioni padronali europee, accontentandosi delle prebende che questi ultimi
gli accordano per comperare la loro inazione e la loro accettazione dell’ordine stabilito.

Chiarificazione indispensabile

Questa campagna elettorale deve essere l’occasione per operare le chiarificazioni politiche
necessarie per dare tutto il suo senso alla convinzione largamente condivisa che un’altra Europa è
possibile e alla prospettiva di una Europa dei lavoratori.

La prima chiarificazione consiste nell’affermare senza ambiguità che ogni progresso in questo
senso implica la rimessa in discussione dei trattati di Maastricht, di Amsterdam e di Nizza e il
rifiuto della nuova Costituzione, totalmente inemendabile. Questa sistematizza In effetti la politica
liberale di rimessa in discussione del diritto al lavoro, di smantellamento dei servizi pubblici
della loro apertura alla concorrenza e della loro privatizzazione già realizzata o pianificata,
della cancellazione dei diritti collettivi e, complemento indispensabile a tutto ciò, di ipertrofia
dell’apparato di repressione legittimato in nome della lotta al terrorismo. Infine, essa iscrive
la politica estera europea in modo assolutamente chiaro nel quadro dell’Alleanza atlantica e
disegna i contorni di un’Europa potenza, basata sullo sviluppo delle sue capacità militari.

E se a
tutto ciò si aggiunge che l’elaborazione e la messa in funzione del trattato costituzionale sono state
fatte in maniera totalmente antidemocratica, senza la possibilità di scelta tra diversi progetti
discussi pubblicamente e sottomessi al voto popolare in ciascun paese della UE, ci sono tutti gli
elementi per respingere il progetto di Costituzione che mette insieme liberalismo economico e
militarismo imperialista.

Ma un «no» di sinistra non basta da solo a dare consistenza a un orientamento coerente rispetto ai
partigiani del liberalismo. È altrettanto necessario definire un piano di rivendicazioni
d’urgenza su scala europea che permetta la soddisfazione dei bisogni e delle aspirazioni di tutti gli
sfruttati e di tutti gli oppressi e di determinare «i mezzi necessari alla loro applicazione
effettiva, che si tratti del controllo dei mezzi necessari alla loro messa in opera, o delle definizione
delle leve di potere che permettano la loro realizzazione». È un modo di ridare in qualche modo
corpo a «un inizio di concretizzazione della prospettiva degli Stati uniti socialisti d’Europa nelle
condizioni politiche ed economiche attuali. (François Chesnais, articolo per il prossimo numero
della rivista Carré rouge: http://www.carre-rouge.org)

La logica che deve sostenere questo piano d’urgenza (leggere il riquadro che segue) è quella «del
primato del diritto all’esistenza sul diritto di proprietà, del servizio pubblico e
dell’appropriazione sociale sull’interesse egoistico e la proprietà privata, della solidarietà sulla guerra di
tutti contro tutti.» (Introduzione del numero 9 di ContreTemps: “L’autre Europe, pour une
refondation sociale et démocratique” - L’altra Europa, per una rifondazione sociale e democratica”).

Questo implica non solo una (ri)appropriazione dei servizi pubblici che devono essere estesi ed
organizzati su scala del continente, ma anche dei grandi gruppi industriali e finanziari,
onnipotenti in settori decisivi come l’energia, l’armamento, la salute, i trasporti o il credito. Una tale
appropriazione, senza la quale è illusorio credere che sia possibile porre dine allo sfruttamento,
alla concorrenza reciproca tra i lavoratori, ai disastri ecologici, alle guerre, implica
l’esproprio senza indennità dei detentori dei grossi pacchetti azionari e delle grandi fortune familiari
che decidono la sorte degli abitanti del pianeta. Cosa che poi non sarebbe altro che un atto di
giustizia, dato che, come cantiamo nelle piazze, «tutto quello che hanno lo hanno rubato».

Rottura necessaria

Una simile operazione di rottura con il quadro delle istituzioni e dei trattati europei, e di
rimessa in discussione del sacro diritto di proprietà privata, potrà essere attuata solo se i
lavoratori salariati prenderanno realmente in mano i loro affari, si impadroniranno dei luoghi di potere e
di decisione e istituiranno un governo al loro servizio. Una simile prospettiva può apparire
illusoria o fuori portata nell’immediato, però è la sola realistica, e sarebbe la peggiore illusione
credere che il ritorno di governi socialdemocratici, aperti o meno ad altre componenti della
sinistra, permetterebbe di porre un freno alla politica di regressione sociale che si aggrava di giorno
in giorno.

Da qualche anno cominciano a emergere embrioni di alternativa. I Forum sociali europei hanno
permesso la costituzione di un quadro di discussione, di confronto ma anche di azione su scala
europea. Si sono costituite reti come le marce europee, i «senza voce» (sans-papiers /immigrati
clandestini – lett. senza documenti), senza casa, senza lavoro), la Marcia mondiale delle donne,
coordinamenti di organizzazioni sindacali in settori come i trasporti, l’energia o la sanità, spesso per
iniziativa di sindacati come SUD in Francia o i Cobas in Italia.

Si sono fatti i primi
euroscioperi. Sul piano politico, le riunioni della sinistra anticapitalista che si tengono regolarmente da
ormai tre anni, testimoniano non solo di una comprensione comune dell’importanza di dare vita a
mobilitazioni europee ma anche di costruire a questa scala la necessaria alternativa
anticapitalista.

Leonce Aguirre
07/05/2004

Un piano d’urgenza

Una Europa dei diritti sociali: convergenza e unificazione verso l’alto dei diritti sociali
riguardanti i salari, le condizioni di lavoro, le pensioni e la legislazione sociale, sviluppo dei
servizi pubblici europei, attuazione di un piano di grandi lavori pubblici, garanzia per tutte e tutti
del diritto al lavoro, riduzione del tempo di lavoro, istituzione di una fiscalità fortemente
ridistributiva.

Una Europa democratica: cittadinanza basata sul solo criterio della residenza (ciò
che significa in particolare, diritto di voto ed eleggibilità di tutti i residenti extracomunitari,
uguaglianza dei diritti), libera circolazione e libero insediamento per tutti gli immigrati,
rispetto del diritto di asilo, uguaglianza di diritti tra i sessi, (uguaglianza professionale e
salariale, servizi pubblici per l’infanzia, diritto di aborto, legislazione repressiva contro la violenza
alle donne, …), uguaglianza tra omosessuali ed eterosessuali.

Una Europa ecologista: sostiene all’agricoltura contadina e biologica, moratoria sugli OGM,
arresto immediato del nucleare militare e organizzazione dell’uscita dal nucleare civile per una
politica di diversificazione energetica, rifiuto di un mercato del diritto a inquinare, ratifica degli
accordi di Rio e di Kyoto ed attuazione di un piano europeo di salvaguardia dei grandi equilibri
ecologici, rifiuto della brevettabilità degli organismi viventi.

Una Europa solidale e pacifica: cancellazione del debito dei paesi del Sud, fine delle sovvenzioni
alle esportazioni agricole, accesso dei paesi del Sud ai farmaci necessari per lottare contro le
epidemie, distruzione unilaterale delle armi di distruzione di massa e riduzione drastica dei
bilanci militari.

L. A.

Rouge