Home > La resistenza operaia batte cassa
La resistenza operaia batte cassa
GABRIELE POLO
La Fiom riscopre le Casse di resistenza. Sorte nell’800, nel passaggio dalle Società di mutuo
soccorso al classismo delle Leghe per affrontare lo strapotere padronale, oggi tornano d’attualità per contrastare l’attacco ai diritti e l’obiettivo delle imprese di voler dominare su tutto.
Cassa di resistenza: suona d’antico, evoca immagini di operai baffuti e col cappello floscio in testa,
odora di polvere di lima e olio che scivola sul ferro del tornio. Sa di Ottocento. Eppure la Fiom ha appena deciso di costituirne una per "sostenere i lavoratori impegnati in iniziative di lotta gravose e prolungate nel tempo".
Sarà finanziata con il versamento volontario dei lavoratori metalmeccanici e aperta al contributo di tutti coloro che vorranno solidarizzare con essi. Un Carta etica in via di definizione ne fisserà i criteri di gestione, il sito informatico del sindacato (www.fiom.cgil.it) fornirà le informazioni.
Perché la Fiom rispolvera uno strumento così antico del movimento operaio, a lungo usato e poi per molti decenni abbandonato? L’ipotesi di partenza è che di fronte a una situazione di conflitto profondo e prolungato non sono più sufficienti gli strumenti ordinari (la cassa dell’organizzazione frutto del tesseramento) per reggere lo scontro e le sue ricadute sul reddito dei lavoratori: il riferimento è alle grandi vertenze aziendali (Fiat su tutte) e contrattuali che costano decine di ore di sciopero ai lavoratori.
Ma, più nel profondo, ci si rifà al concetto di solidarietà come valore costitutivo del movimento operaio, quello che faceva dire ai promotori delle prime Camere del lavoro "Uniti siamo tutto, divisi siam canaglia". In un caso come nell’altro (asprezza dello scontro e solidarietà come radice del movimento) c’è una sorprendente analogia con le prime istituzioni del movimento operaio, di fronte a un rapporto di lavoro sempre più precarizzato e imposto su basi individuali.
Le prime casse di resistenza nascono nel passaggio dalle società di mutuo soccorso alle Leghe di resistenza (fondate sul mestiere), nel crinale che separa il solidarismo interclassista del mutuo soccorso da quello classista delle Leghe (base costitutiva dei sindacati di categoria e, poi, delle Camere del lavoro).
E’ nella violenza dell’industrializzazione forzata, nella rivoluzione dall’alto del capitalismo di fabbrica che si rompe definitivamente il rapporto paternalistico tra borghesia liberale e nascente proletariato industriale, in un panorama politico in cui il lavoro subordinato non ha alcuna rappresentanza politica e il diritto di voto è ancora fissato per censo (nell’Italia post-unitaria potevano recarsi alle urne 400.000 adulti maschi su una popolazione di 28 milioni di abitanti).
E’ lo scontro sociale sulle condizioni e sul prezzo fissato per la vendita del lavoro che spinge quasi spontaneamente alla creazione di organizzazioni autonome dei lavoratori in una prassi che ha al centro i valori della solidarietà, della libertà e dell’eguaglianza: proiezioni classiste delle tre parole chiave della rivoluzione del 1789.
Dall’Inghilterra - dove tutto avviene prima - all’arretrata Italia il processo è lo stesso in tutta Europa: alla resistenza operaia contro il nascente capitalismo industriale (luddismo in Inghilterra, primi scioperi in Francia, fasci operai e rivolte contadine in Italia) le oligarchie reagiscono con la repressione e la messa fuori legge delle organizzazioni operaie.
Ed è nell’emergere dal buio dell’illegalità che sorgono le Società di mutuo soccorso, basate sulla reciproca assistenza e confortate dalla "filantropia" della borghesia trionfante. Ma è una fase che dura poco, spiazzata presto dai conflitti sul prezzo della mano d’opera, sulle condizioni di lavoro, sulla gestione del mercato del lavoro. Già nel 1825 in Inghilterra - solo un anno dopo l’abrogazione dei Combinaction Acts che vietavano l’associazionismo oepraio - le società di mutuo soccorso cominciano a trasformarsi in Leghe di resistenza; in Francia il mutamento prenderà forza dopo le rivolte dei setaioli di Lione del 1831 e 1834; in Italia - dove le Società di mutuo soccorso saranno legalizzate solo con lo Statuto Albertino del 1848 e si diffonderanno parallelamente al processo unitario - tutto andrà più a rilento, ma già negli anni 70 capellai, tipografi, metallurgici, iniziano a fondare le prime Leghe, tutte basate sulla solidarietà di mestiere. E, dentro le Leghe, nei loro statuti, le Casse di resistenza assumono uno spazio rilevante, decisivo, come - più tardi - le cooperative e le scuole operaie accompagneranno la nascita delle Camere del lavoro.
L'iscrizione alla Lega comporta automaticamente l'iscrizione alla Cassa di resistenza: ci si associa per far fronte al padrone, in primis alla sua libertà di licenziare e, quindi, la Cassa serve essenzialmente a "sostenere il socio che non per sua volontà ha perso il lavoro" fino al momento in cui non trova una nuova occupazione. Gli statuti delle Leghe a questo proposito sono precisissimi: il socio deve versare una quota annuale, ha diritto, in caso di disoccupazione, a un preciso sussidio prelevato dalla Cassa di resistenza, può essere escluso se cambia mestiere o se viene meno al principio di solidarietà con i suoi colleghi, cioè per "collusione con il padrone in caso di sciopero o conflitto" (Statuto della Lega di Resistenza fra gli Operai metallurgici e affini di Milano, 1892). Il vincolo solidaristico è sulla base del mestiere comune, "l'assistenza al socio" avviene su base individuale, coerentemente con l'ingaggio e il rapporto di lavoro che è tra singolo lavoratore e impresa: è l'autonomia dal padrone - il potergli resistere - che dà un senso collettivo all'iniziativa dei lavoratori, siamo ancora lontani dai contratti collettivi, ma la loro base costitutiva è già concretamente posta.
Le Casse di resistenza diventano la concreta manifestazione della solidarietà di mestiere che nel passare degli anni diventa solidarietà di classe: sono il fondamento materiale del processo di autonomia che porta alla nascita dei sindacati e dei partiti operai; sono lo strumento della prima autonomia operaia dalla borghesia industriale e dal potere politico che rappresenta le oligarchie. Che ne sono ben coscienti e se ne preoccupano, come evidenzia la circolare inviata da Paolo Onorato Vigliani, ministro di Grazia e giustizia, ai magistrati nel 1873, anno di grandi scioperi: "Queste associazioni - si legge - eccitano gli operai e compilano statuti con cui costituiscono Casse di resistenza per dare sussidi a coloro che si porranno in isciopero, ovvero, dopo avvenuto, aprono sottoscrizioni e fanno deliberazioni a pro degli scioperanti". E il ministro sollecita i procuratori del Regno a procedere "contro i colpevoli con sollecitudine e vigore".
Fino alla fine dell'800 le Casse di resistenza crescono e si moltiplicano, costituiscono la rete solidale per i lavoratori, non li lasciano in balia del mercato e del rapporto di lavoro individuale, sono un welfare dal basso. Poi, con la nascita del Partito socialista, dei sindacati di categoria, della Cgil, passano la mano ad altri istituti: la solidarietà si dota di nuovi strumenti, più a carattere nazionale e più politici e col decennio giolittiano lo stato accetta la logica del compromesso sociale, avvia le prime riforme, mentre il rapporto di lavoro diventa sempre più collettivo e nascono i primi embrioni di contratti aziendali e di categoria.
La solidarietà di classe trova nuove forme e il ruolo dei partiti politici diventa sempre più forte nel sostenere le lotte di resistenza. Il
900 formalizza un doppio livello di solidarietà di classe: quello ufficiale che istituzionalizza un compromesso sociale tra borghesia e proletariato nelle varie forme statali di assistenza sociale al lavoro (persino il fascismo - col corporativismo, le case popolari, i dopolavori - accetta, a modo suo, la logica della mediazione sociale) e quella informale, fatta di iniziative ad hoc, organizzate principalmente da partiti e sindacati per sostenere le lotte dei lavoratori (dai polli dei contadini emiliani per gli operai delle Reggiane nel loro anno di occupazione della fabbrica nel 50-51 alle sottoscrizioni per i lavoratori della Fiat durante i 35 giorni dell'autunno
80).
Lo spirito delle Casse di resistenza sopravvive così, nelle forme centralistiche tipiche del `900 ma nutrendosi sempre, sotterranemente, della cultura solidaristica e di affermazione dell’autonomia del lavoro dal capitale che le aveva ispirate. Ora ritornano anche come "istituzione", rilanciate da un sindacato alle prese proprio con l’individualizzazione del rapporto di lavoro, forte compressione dei salari (quelli dei metalmeccanici italiani sono i più bassi d’Europa), di fronte a una controparte che, spalleggiata dal potere politico, persegue lo smantellamento di tutti gli istituti che hanno segnato la mediazione novecentesca tra capitale e lavoro.
In un panorama che nega al lavoro qualunque diritto all’autonomia, che lo riduce a semplice merce da comprare al prezzo più basso possibile e assolutizza il dominio dell’impresa e del mercato su tutti gli aspetti della vita. In una parola nell’era della precarizzazione totale che fa dell’insicurezza la condizione quotidiana di milioni di persone. Una scelta, quella della Fiom, che può apparire "d’altri tempi", ma che, in realtà, è tutta dentro al nostro tempo.