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Le "resistenti dei resistenti "

Publie le domenica 2 maggio 2004 par Open-Publishing

Così sono state definite le donne partigiane dal patriarca partigiano Ferruccio Parri, all’indomani del 25 aprile 1945

Anche Roberto Rossellini nel suo film " Roma, città aperta " non è da meno. Pina, ( Anna Magnani ) è l’operaia eroina che si sacrifica per la causa vissuta attraverso il proprio uomo. Secondo i ’resistenti’, anche con il mitra in mano, la nostra lotta ha valore solo se la viviamo attraverso un uomo, quindi nei tradizionali ruoli, di spose, di madri, di figlie, di sorelle, di educatrici e di fornitrici di servizi cui siamo state, per natura, destinate.

La Resistenza, all’inizio del ’45 contava 250.000 attivisti. Quanto alle donne ve ne erano 70.000 nei gruppi di difesa femminili e 30 mila nelle forze combattenti. Altre migliaia nascondevano i partigiani e i soldati alleati sbandati, aiutavano gli ebrei a sfuggire ai loro persecutori. Furono 4.600 le donne arrestate e processate, 2.750 quelle deportate nei campi di concentramento, 623 cadute in combattimento, in grande maggioranza operaie e contadine vicine alle formazioni comuniste. Le cattoliche fecero la Resistenza nelle parrocchie, come il loro leader De Gasperi, bibliotecario in Vaticano.

La partecipazione femminile alla Resistenza passò principalmente attraverso i ’gruppi di difesa della donna’, legati al Comitato di liberazione nazionale. Fondati a Milano nel 1943 avevano lo scopo di aiutare la Resistenza e di promuovere l’emancipazione femminile. Nella realtà noi donne non abbiamo aiutato la resistenza, ma l’abbiamo fatta in prima persona, nel ruolo di " jolly ", o di staffetta, che è la stessa cosa. Facevamo di tutto: le staffette, le informatrici, preparavamo le case rifugio, giravamo nei posti di polizia tedeschi e fascisti per individuare i partigiani arrestati. Anche informare le famiglie dei loro lutti, era compito nostro. Nella lotta la ’coscienza femminista’ cerco’ di farsi strada. Molte donne parlavano di emancipazione e liberazione, ma incontrarono scarsa solidarietà o perfino ostilità nei maschi partigiani. Molti romanzi documentano questo ’astio’; primo fra tutti ’Il partigiano Johnny’ di Beppe Fenoglio, offeso da questa ’abbondanza femminile’ di partigiane, con nomi di battaglia al pari degli uomini. Sconvolto perchè per la prima volta, le donne ribaltavano il tradizionale ruolo tra i sessi, si ponevano come compagne d’armi per una causa, non come amiche o femmine da desiderare.

Questo il modello patriarcale non poteva accettarlo. La partecipazione politica delle donne divenne un povero moncherino. Come spose, come madri per difendere la vita dei figli, per un mondo di pace e di libertà, contro le ingiustizie, tutto questo parolame coprì il nostro sacrificio nella lotta antifascista. Non si parlò più di liberazione femminile, ma di diritti ’maturati’, cioè, almeno quello del voto, dopo un secolo di lotte. Nel celebrare la vittoria della Resistenza, il contributo delle donne fu in larga misura sottaciuto e la nuova repubblica, sebbene ammettesse l’eguaglianza dei sessi, mantenne leggi e tradizioni che relegavano la donna in una posizione subalterna. Per leggittimarsi come forza di governo della società italiana anche la sinistra scoraggiò le donne dal partecipare in uniforme alle sfilate celebrative.

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