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Lettera aperta a Cofferati

Publie le lunedì 19 maggio 2003 par Open-Publishing

In molte città abbiamo verificato una notevole difficoltà dei comitati per il si locali, per la
scarsità di materiale centrale adeguato, e a volte per la resistenza di certi compagni a
distribuire il materiale a stampa di altre organizzazioni. Il risultato che spesso si distribuiscono
materiali generici che non spiegano nulla ("io voto si, tu pure") o che riproducono semplicemente il
testo dell’articolo 18 (che come tutte le leggi, non è facile da decifrare. In realtà è possibile
ricavare dall’ottimo materiale di Liberazione dei testi da mettere in circolazione localmente,
riprodotto a cura e sotto la responsabilità di una componente locale del comitato, come questo articolo
di Gigi Malabarba (tratto da Liberazione del 12 maggio 2003), che abbiamo trovato molto utile
perché sottolinea gli aspetti politici dello scontro sul referendum, ma fornisce anche gli argomenti
per coinvolgere i lavoratori oggi formalmente protetti dall’art. 18.

Lettera aperta a Sergio Cofferati
Riprendiamoci l’articolo 18

di Luigi Malabarba

Caro Sergio, come fai a dire che esiste una rottura tra le lotte dello scorso anno per difendere
l’articolo 18 e il referendum per la sua estensione ai lavoratori delle imprese con meno di 16
dipendenti?
Certo, esiste una ragione fortissima che porta ad estendere un diritto fondamentale a chi non ce
l’ha ed è il motore principale dell’iniziativa. Ma credo che tutti quanti dobbiamo fare un passo
avanti insieme rispetto alle novità già avvenute sul piano legislativo, che impongono una risposta
immediata.
La legge delega n. 30 (ossia il ddl 848) ha già di fatto cancellato l’articolo 18 in tutte le
imprese, anche ai lavoratori più garantiti con contratto di lavoro a tempo indeterminato, attraverso
lo sfondamento della normativa sulla cessione di ramo d’azienda. Il comma 2, lettera L, del primo
articolo - non a caso - di quella legge, che dà mandato al governo di mettere in atto i decreti
attuativi entro l’anno, prevede infatti che, per espellere un gruppo di lavoratori da un’azienda
pubblica o privata anche con migliaia di dipendenti, non sia necessaria la condizione di "autonomia
funzionale preesistente" del ramo d’azienda da cedere.
Quindi, se già oggi la normativa esistente ha consentito una polverizzazione societaria che ha
disarticolato le strutture aziendali (e la forza strutturale della classe operaia - e di conseguenza
del sindacato - e più in generale di tutto il lavoro dipendente), con l’attuazione del decreto
proveniente da una legge dello Stato recentemente approvata, ogni resistenza giuridica al
licenziamento senza giusta causa anche nelle grandi imprese è già stata abbattuta!
Per rendere più esplicito il concetto: se io prendo dieci lavoratori del Comune di Roma o della
Fiat-Iveco di Brescia, che hanno lavorato in attività diverse dalla propria azienda, e li metto in
una stanza e dico che sono un ramo d’azienda il giorno stesso della cessione, quei lavoratori sono
espulsi dalla società madre e a loro non si applica più lo Statuto dei lavoratori da subito.
Rispetto all’epoca in cui furono raccolte le firme per il Referendum è subentrata questa clamorosa
novità, che concerne proprio il cuore della mobilitazione straordinaria del 23 marzo e di qualche
coraggioso sciopero generale. Credo che sia proprio tuo compito spiegarlo agli oltre dieci milioni
di lavoratori e lavoratrici che stanno in impresa con più di 15 dipendenti, perché sono loro oggi
il vero e principale obiettivo del governo e della Confindustria, che puntano esplicitamente a
cancellare in modo definitivo a tutti loro Statuto dei lavoratori.
La vittoria del Sì al referendum vanifica non tanto e non solo il ddl 848 bis (il cosiddetto
"stralcio" dal Patto per l’Italia), che rappresenta lo sfondamento palese della soglia dei 15
dipendenti nell’abolizione di un diritto che è alla base di tutti gli altri diritti. Il Referendum cancella
l’operazione principale sul licenziamento dei lavoratori attualmente con contratto a tempo
indeterminato del ddl 848.
Infatti, estendendo l’articolo 18 alle imprese con meno di 16 dipendenti, si blocca la
drammatizzazione del processo di esternalizzazione in programma (il sottosegretario Sacconi in Commissione
Lavoro al Senato ha esplicitamente parlato di voler "favorire l’aumento degli standard di
terziarizzazione"). In questo senso, il Referendum è lo sbocco - l’unico possibile ed efficace - delle lotte
del 2002, che hanno costretto il governo a mascherare l’attacco attraverso il Patto per l’Italia e
il Pacchetto Biagi; ma, appunto, non l’hanno bloccato.
Altra strada non c’è, caro Sergio. Puntare sui referendum abrogativi dei decreti attuativi, al di
là di quando potranno mai essere celebrati nei prossimi anni, non ha più neppure le ragioni
avanzate nei mesi scorsi, quando pure scontavano il carattere solo difensivo e non inclusivo della
proposta.
O ci saranno quesiti estensivi alle imprese con meno di 16 dipendenti, o saranno semplicemente
inefficaci. In sostanza, dovranno avere contenuti identici a quelli del Referendum del 15 giugno!
Come tutti noi possiamo vedere, la situazione obiettiva ha creato uno scenario completamente
diverso, mentre la discussione nella sinistra mi sembra tremendamente attardata su vicende non più
attuali. Solo chi è apertamente schierato con gli obiettivi dei padroni può lavorare per il fallimento
del Referendum in campo. La straordinaria efficacia del quesito referendario oggi è tale perché
ottiene un consenso popolare su un’operazione estensiva dei diritti a milioni di lavoratori che ne
sono privi, riconquistando nel contempo la tutela effettiva dell’articolo 18 per i contratti di
lavoro a tempo indeterminato.
Siamo all’allarme rosso e nessuno si può sottrarre alle proprie responsabilità. O riusciamo a
rendere protagonisti i dieci milioni di "garantiti" nella gestione della campagna referendaria per la
difesa di questa tutela che ci hanno già scippato, o lo Statuto dei lavoratori in quanto tale
sparirà.
Le soluzioni da proporre per l’estensione dei diritti a tutte le figure lavorative possono essere
e sono diverse, ma queste hanno un’implicazione più ridotta rispetto all’attacco fondamentale da
respingere. Serve pronunciarsi per il Sì e serve impegnarsi in una campagna di massa capillare per
raggiungere il quorum e per vincere.