Home > Luca Casarini: il subcomandante Marcos del Nord-Est

Luca Casarini: il subcomandante Marcos del Nord-Est

Publie le lunedì 1 settembre 2003 par Open-Publishing

CASARINI STORY
Luca, il subcomandante Marcos del Nord-Est
Il guru dei Disobbedienti vive in una casa occupata, da dove dirige la rivoluzione
Scarso a scuola ma leader nato degli antagonisti

di Concetto Vecchio

TRENTO. Luca Casarini è nato l’8 maggio 1967 a Venezia, da una coppia di operai, mamma nel monopolio tabacchi, papà metalmeccanico. («Oggi sono molto preoccupati per me. Ma cosa vuole, questa è la mia vita»). Cresciuto è tra le nebbie di Porto Marghera, quelle vere della lattiginosa pianura padana e quelle del Petrolchimico, che tutto ammorba, anche di tumori, benché per la magistratura nessuno è colpevole. E’ inquieto. Alle superiori frequenta l’Istituto industriale termotecnico, si diploma col minimo (36/60), e debutta in politica con una mostra su Sabra e Chatila, lasciandosi suggestionare dagli echi, mai sopiti, dell’Autonomia veneta. «Non ho frequentato i partiti, io».

Nell’87 il battesimo di fuoco: occupa il Centro sociale "Pedro" a Padova, a cui in seguito saranno addebitate la distruzione del bar Coppo di piazza delle Erbe, dov’erano nascosti due militanti neri, e la spedizione punitiva al Plaza, l’albergo dove morì Enrico Berlinguer, poiché ospitava un convegno di Forza Nuova. Vi circolano manifesti come questo: «A volte non basta una certa dose di tenerezza ed è necessaria aggiungere una certa dose di piombo».

Ha vent’anni, i capelli lunghi, e arringa i compagni con uno scalcagnato megafono. La voce è tonante. Il fare guascone. Il mito è Blade Runner. Bazzica per un po’ il Circolo Città Nuova, che come logo aveva il Sole che ride ma col passamontagna. L’orizzonte dell’avvenire lo scorge in Messico, tra i «fratelli e le sorelle zapatisti», un certo numero di Tute Bianche corre loro in soccorso, un viaggio che è un film di Salvatores, coi 99 Posse come colonna sonora, tra albe stropicciate, troppi caffè e tacos. La rivoluzione sembra quasi che la puoi toccare, fosse una cosa viva.

S’iscrive a Scienze politiche, combinando poco o nulla, perché la contestazione lo risucchia dentro vortici sempre più ripidi. Lavora da precario, mille impieghi, una volta muratore, poi facchino, ma anche due anni da programmista Rai, Milano, «facevo un programma chiamato "La frontiera nascosta". Ora, da un anno, finalmente un lavoro regolare: editore di Global, la rivista dei Disobebdienti. Vi scrive Toni Negri.

Fonda le Tute Bianche, la cui ragione sociale è occupare centri sociali. Si presentano con buffe tute lunari di garza bianca, scudi di plexiglas, corazze di gommapiuma. E parlano un linguaggio mai sentito prima. Azioni eclatanti, nello stile di Greenpeace. Un giorno convincono anche Marina Ripa di Meana, (che si presenta senza mutande), a tentare l’assalto all’ambasciata francese di Palazzo Farnese per protestare contro gli esperimenti di Mururoa. Nel’98 irrompono nello studio di Moby Dick, dove Santoro ospita Bertinotti e l’economista del Polo, Brunetta, il quale grida: «Le vostre sono mistificazioni!». Risposta dei Disobebdienti romani, detti gli «Invisibili»: «Pijate’na camomilla!». Il mondo comincia a conoscere Luca Casarini-guru a Genova, al G8. L’Espresso gli dedica perfino la copertina: «Tuta bianca, fifa blu». Dice: «Genova è stata la mia fortuna-sfortuna».

Ad un certo punto, occupati tutti i centri sociali possibili, decide di impadronirsi di case popolari sfitte, «veri tuguri che noi ristrutturiamo praticamente da zero». Tra Venezia e Mestre, solo negli ultimi anni, ne ha occupate sessanta. In una di queste Casarini vive con due compagni, un cane e un gatto. Paga venti Euro di affitto. Non sempre i suoi metodi sono compatibili con quelli ammessi dalla legge. La voglia di trasgredire prevale su tutto. E’, ovvio, una droga. Nel’99, incontrando Berlusconi a Rovigo, gli mette davanti un manifesto raffigurante un’enorme tazza del cesso: «Sforza Italia».

Due volte l’hanno arrestato, a Copenhagen perché faceva casino, a Trieste perché violò il foglio di via, presentandosi ad una manifestazione pubblica. Fu punito con 40 giorni di arresti domiciliari. Non può più mettere piede a Praga, Messico, Colombia e Genova. Ha collezionato più di cento denunce penali, che prima o poi lo seppelliranno in qualche galera, ma se glielo ricordate vi risponderà con una grassa risata: «C’è di peggio». Gli chiediamo se ha accresciuto il suo successo con le donne dopo l’avvento al ruolo di leader - Rostagno, nel’68, fece strage di studentesse - e risponde con un «Mmmh...». Meglio non dire niente. Rischierebbe un processo staliniano.

Questi Disobbidienti, che sognano di mettere a ferro e fuoco Riva («ma pacificamente!»), non sono avulsi dalla realtà, posto che pezzi della società veneta, tra cui il prosindaco di Venezia, Gianfarnco Bettin dialogano intensamente con loro. «E’ un fratello» lo definisce Casarini. Non a caso il Pedro, è stato il primo centro a convenzionarsi con un Comune. Nel’99 Casarini si è candidato a sindaco di Padova, pigliando l’1,5 per cento dei voti.

Quelli come lui vorrebbero vivere come si vive nei film di Ken Loach, miseria, politica e fratellanza. E’ vero che si presentano a mani nude, ed che dopo l’omicidio D’Antona e Biagi hanno preso le distanze dalle Brigate Rosse, ma ogni volta che vanno in piazza finisce sempre a botte. E’ la disubbidienza, baby. Dopo Genova ha rotto con Agnoletto, che nella sua biografia lo tratta con glaciale freddezza: per anni erano stati pappa e ciccia. Tutto questo, per arrivare dove? «Lotto per un mondo dove si vive tranquilli, dove si va a mangiare una piazza e al cinema, come dice Marcos. Ma tutti».

http://www.trentinocorrierealpi.quotidianiespresso.it/trentinocorrierealpi/arch_01/trento/trento/an404.htm