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«Ora ho più paura, ma resto»
Michele Bellomo parla dall’ospedale: «La scorta? Forse ci potevano pensare
prima»
«La mia è una città splendida. Ma serve una politica di apertura. Sarebbe utile
per evitare episodi come quello che è accaduto a me»
GIANNI ROSSI BARILLI
Il giorno dopo le botte, Michele Bellomo è ancora in un letto
d’ospedale. «Pensavo che mi mandassero a casa, invece mi tengono ancora qui in
osservazione. La testa mi gira e mi fa male, ho qualche ematoma in faccia e
dolore alla spalla sinistra, che devo avere sbattuto quando sono caduto a
terra». Michele non ricorda quasi niente di venerdì pomeriggio, quando è stato
aggredito alle spalle mentre lavorava nel suo ufficio all’Arcigay di
Bari. «Stavo davanti al video e ho sentito dei rumori, ma prima che potessi
capire cosa stava succedendo mi avevano già colpito. Sono rimasto intontito e
sentivo delle voci ovattate. Quando mi sono risvegliato era già tutto finito,
mi hanno detto che mi hanno ritrovato per terra e che continuavo a gridare e
piangere, ma non me lo ricordo». Anche la voce, al telefono, è pesta e incerta,
con una nota infantile che racconta meglio di qualunque spiegazione il trauma
subito. Ma dai modi diretti che usa per parlare della propria paura e
sofferenza si capisce che Michele è un ragazzo coraggioso. Se non lo fosse, del
resto, non gli sarebbe mai venuto in mente di avventurarsi con un gruppo di
amici nell’impresa che ha prodotto il più grande evento gay mai registrato a
sud di Roma. E non sarebbe stato punito per questo dai fascisti che lo hanno
mandato all’ospedale. «Se dicessi che non ho paura sarei un ipocrita. Stanotte
non sono riuscito a dormire, schizzavo appena sentivo il rumore di una porta.
Come negli incubi da bambino quando aspetti che venga a prenderti un mostro.
Prima pensavo alle minacce che avevo ricevuto ma speravo che non succedesse
niente. Adesso qualcosa è successo, tutto diventa più difficile, la paura è
molto più concreta. Ma una battaglia come la nostra non si può più fermare con
la violenza, perciò non me ne voglio andare da Bari. Se sarò costretto a farlo
sarà solo perché non trovo lavoro, visto che al momento sto per laurearmi e
sono disoccupato».
Il problema non è tanto la città, secondo Bellomo, quanto chi la governa: «Bari
è una città splendida, quando abbiamo fatto il Pride lo ha dimostrato. Però
manca quasi del tutto la volontà politica di promuovere una cultura
dell’integrazione e dello scambio. L’amministrazione di centrodestra finanzia
la stagione concertistica e la sagra di San Nicola, ma se proponi una rassegna
di film gay ti risponde che non è cultura. C’è bisogno di una politica di
apertura, di conoscersi e di parlarsi. Potrebbe essere molto utile per evitare
episodi come quello che è accaduto a me. La gente è pronta. Nel quartiere dove
abbiamo il circolo dell’Arcigay, quando siamo arrivati un anno e mezzo fa, ci
guardavano strano. Qualcuno ci chiamava pedofili. Adesso mi mandano la loro
solidarietà, bambini inclusi, perché hanno imparato a conoscerci per come siamo
veramente. La cultura dell’integrazione segna una differenza sostanziale
rispetto alla destra ed è un elemento essenziale della politica riformista. La
sinistra deve capirlo e imparare a comunicarlo meglio». In ospedale, a titolo
di conforto, sono arrivati messaggi e fiori anche da persone sconosciute: «Di
questo sono contento. Di essere un po’ più famoso e di essere vivo».
Qualcos’altro, invece, lascia l’amaro in bocca: «Mi dispiace che per questa
storia debbano soffrire anche i miei genitori. E poi mi offende il fatto di
essere stato picchiato solo perché desidero essere una persona libera. Non lo
dice anche il cardinale Ratzinger che siamo dei mostri solo perché vogliamo
amarci liberamente? Venerdì, prima di essere aggredito, stavo giusto pensando
di scrivere qualcosa sul documento del Vaticano. Poi qualcuno me l’ha impedito».
L’aggressione è avvenuta il primo giorno in cui è stato formalmente sospeso il
servizio di scorta di cui Michele usufruiva dal dicembre scorso, dopo che lui
aveva chiesto in tutti i modi una proroga almeno fino alla fine dell’anno.
Poche ore dopo il pestaggio la scorta è stata riassegnata in fretta e
furia. «Forse ci dovevano pensare un po’ prima - commenta Michele - Non conosco
le ragioni per cui abbiano deciso di togliermela, ma vorrei che qualcuno me le
spiegasse. Le responsabilità devono essere accertate. Io però non posso fare a
meno di avere fiducia nelle forze dell’ordine, e devo dire che gli agenti che
mi hanno accompagnato dovunque in questi mesi sono tutte persone a cui va la
mia massima stima e gratitudine, perché fanno bene il loro lavoro anche se lo
stato non assicura condizioni ottimali per svolgerlo».
Vivere una vita scandita dai turni dei poliziotti non è facile, «finisce che ti
limiti in quello che devi fare, esci meno con gli amici, hai pochissimi momenti
completamente tuoi». Almeno ti senti al sicuro, per quanto un po’in gabbia.
Però, prima che tutto ricominci, c’è in programma qualche giorno di vacanza
lontano da tutto per riprendere fiato.
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/03-Agosto-2003/art53.html