Home > Modello Fiat
Straccioni e forcaioli come sempre - che altro si può dire del padronato
Fiat, o delle banche che gli stanno alle costole, nella vertenza di Melfi?
E’ uno stabilimento chiave, essenziale nel sistema del just in time, che
abolisce magazzini e scorte, è il secondo complesso per produttività in
tutta Europa, ma la Fiat pretende di tenere i cinquemila dipendenti a salari
più bassi dal 15 al 25 per cento rispetto a quelli delle altre sue
produzioni, a ritmi più serrati e in settimane di lavoro di sei giorni. E
quando, dopo anni d’un contratto capestro firmato come Fiat-Sata, i
lavoratori di Melfi chiedono di essere portati al livello contrattuale degli
altri, manco gli risponde.
E quando, esasperati, organizzano la protesta gli
scaraventa addosso la polizia con caschi e manganelli. Questo è successo
ieri mattina. Siamo nel 2004, ci si riempie la bocca di globalizzazione e
competitività ma gli eredi dell’Avvocato dirigono la manodopera come un
fattore micragnoso di cento anni fa. Pensano che con la gente della
Basilicata si può far quel che si vuole, è una regione meridionale povera,
hanno reclutato i lavoratori su un vastissimo territorio perché siano
distanti a due ore di viaggio, e con mezzi propri, e per strade sgangherate
dove gli incidenti sono la regola, in modo che restino divisi fuori come
dentro i grandi spazi del complesso.
Non importa che siano stanchi morti,
che le punizioni piovano a migliaia (novemila in cinque anni), che molti se
ne vadano perché non reggono, cosa che non succede in questa misura in
nessun altro luogo, ma meglio disperdere il know how puntando sui
disoccupati dei dintorni piuttosto che pagare i propri dipendenti a prezzo
normale e per orari normali. Così pensa la nostra classe dirigente che si
vantava di aver fatto dell’Italia la quinta potenza industriale del mondo.
E’ una dirigenza non solo arrogante, è anche stupida. Non deve essersi
pagata neppure qualche sociologo abbastanza intelligente da spiegarle che
nel mezzogiorno è un errore credere che la mancanza di una lunga tradizione
di lotte significhi eterna rassegnazione. La Fiat ha tirato troppo la corda
e ora si trova davanti a una protesta che si è infiammata di colpo su
esigenze elementari e decenza avrebbe dovuto prevenire. E’ la Rsu,
l’organismo di fabbrica, che è partita bloccando gli accessi a uno
stabilimento nel quale la comunicazione interna è difficile.
La direzione ha
creduto di aggirarla accordandosi con le malleabili Fim-Cisl e Uil nonché
terrorizzando i lavoratori di Mirafiori, sospesi fra una cassa integrazione
e un’altra, finché alcuni di loro non hanno scritto a Melfi supplicandola di
smettere perché: il nostro lavoro è nelle vostre mani. Come se non fossero
tutti e due nelle mani della famiglia di Torino. La stampa scritta e parlata
non ha mancato di precipitarsi a deprecare la scarsa coscienza globale degli
operai e a predicare la libertà di crumiraggio. Tutto sbagliato. Melfi ha
tenuto, diecimila persone hanno circondato il complesso l’altro ieri, e la
Fiat come, suppongo, il prefetto di Potenza hanno perduto la testa mandando
la polizia a sciogliere i presidi.
Incauta mossa. Domani sciopereranno tutti i metalmeccanici d’Italia e
vedremo chi la spunta. E fin quando il governo potrà fingere di tenersene
fuori. E fin quando l’opposizione esiterà a entrare in campo su una
questione di equità salariale e normativa così elementare. Non siamo ancora
la pallida imitazione degli Stati Uniti della destra repubblicana.