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Modigliani,un economista contro il fascismo(eBerlusconi)

Publie le giovedì 25 settembre 2003 par Open-Publishing

25.09.2003
Modigliani, un economista contro il fascismo
di Oreste Pivetta

Abbiamo visto tutti qualche giorno fa la sua lettera (insieme con altri studiosi e altri premi Nobel, Paul Samuelson e Robert Solow), una lettera semplice per spiegare per quali motivi sembrava inopportuno che una lega americana contro la discriminazione razziale premiasse Berlusconi. Nella lettera stava scritto: «Mussolini è stato responsabile della morte di molti oppositori politici, di molti partigiani, di molti ebrei. Il dittatore perseguitò il popolo ebraico con le Leggi Razziali e fu responsabile, durante il conflitto mondiale, della deportazione di almeno settemila ebrei».

Una nota storica che però toccava da vicino, anzi intimamente e drammaticamente, la sua esistenza: Franco Modigliani, ebreo, aveva provato su di sè il peso di quella dittatura, a ventun anni, appena laureato in giurisprudenza, era stato costretto, con la moglie, Serena Calabi, appena sposata, a emigrare negli Stati Uniti. Un esilio, un rifugio e poi soprattutto il luogo della sua formazione culturale, dell’insegnamento, anche del successo fino al premio Nobel nel 1985 e della popolarità. Ma ancora in questi giorni Modigliani raccontava lo strazio di quella partenza e del viaggio e testimoniava comunque nel ricordo l’amore per l’Italia, anzi «l’immenso amore», che lo spingeva a seguire le vicende di un paese che aveva abbandonato sei decenni fa. A proposito di popolarità, molti ricorderanno il suo viso simpatico, bonario, il fisico asciutto, la sua parlata italiana che tradiva la lunga frequentazione americana e soprattutto quel dire chiaro di problemi enormi, la grande economia svelata al pubblico, i giudizi netti, taglienti, le argomentazioni precise e rapide.

A proposito di popolarità molti lo ricorderanno in televisione, persino in trasmissioni quasi di varietà: non si tradiva, era sempre il professore del Mit, premio Nobel, il professore che sapeva comunicare con tutti, senza trascurare la sua scienza e il bisogno di spiegare a tutti, quasi un bisogno morale di sperimentare le grandi leggi o le grandi teorie economiche, di svelare le congiunture e le tendenze nella concretezza spesso drammatica del vivere quotidiano. Gli era capitato, anche per questo, di considerare e criticare momenti diversi della politica italiana. Gli era capitato di criticare tante scelte di Berlusconi e del suo governo. Non solo pochi giorni fa con quella lettera al New York Times, rispresa dai giornali di tutto il mondo. Proprio all’Unità, appena rinata, alla vigilia del voto, nel maggio di due anni fa aveva scritto, quasi prevedendo che cosa prima o poi presentato al nostro orizzonte: «Credo che la democrazia in Italia sarebbe davvero in pericolo...

Dall’indipendenza della magistratura alla libertà di stampa non credo che i valori democratici facciano parte della cultura del candidato premier del centrodestra. Anzi... Resto molto scettico sulla sua capacità di dire qualcosa e persino di capire che cosa l’espressione "conflitto di interessi" significhi. E cioè rinunciare a qualunque intervento, decisione, presenza rispetto alle proprie aziende o ai propri investimenti. Bene: non vedo come una persona che possiede mezza Italia possa risolvere in maniera vera, e non con una buffonata, questa che è essenzialmente una questione morale. Di una legge non ci dovrebbe essere nemmeno bisogno...». Appunto.

Franco Modigliani è morto nella notte. L’altra sera aveva partecipato a un ricevimento. Stava bene. La moglie Serena, risvegliandosi, lo ha ritrovato, nel letto, privo di vita. Aveva ottantacinque anni. Era nato a Roma nel millenovecentodiciotto, figlio di Enrico e di Olga Flaschel, il padre pediatra famoso, la madre impegnata in attività sociali. In una breve autobiografia, si rivedeva studente di buon profitto. Non eccezionale, però. Nel 1932 gli morì il padre, in seguito a un intervento chirurgico, e fu per lui un evento doloroso, un trauma che si sentì addosso per anni, tanto che la sua stessa vita scolastica ne risentì. Si riprese. Si iscrisse al liceo Visconti, bruciò le tappe, riuscì a iscriversi all’università romana a diciassette anni di età.

Non seguì la carriera del padre, non scelse medicina, si dedicò invece allo studio della giurisprudenza. Ricordava anche d’aver partecipato ai Littoriali e d’aver vinto il primo premio. Poco alla volta comprese il fascismo, la sua natura liberticida e classista. Cercò di ampliare gli orizzonti della sua cultura, immergendosi nella lettura dei classici stranieri, s’avvicinò poco alla volta con passione all’economia. Proprio ai Littoriali conobbe altri giovani come lui e con quei giovani cominciò a riflettere sul fascismo, sulla necessità della politica contro il fascismo. Nel suo antifascismo una parte, come riconobbe più tardi, ebbero la giovanissima Serena, futura moglie, e il padre di lei, Giulio Calabi. Arrivò il 1938, vennero le leggi razziali. Andò con lei a Parigi, si sposò e insieme si iscrissi alla Sorbona. «Ma - annotava - l’università mi appariva una gran perdita di tempo. Preferivo studiare in biblioteca e in biblioteca preparai la mia tesi di laurea». Con la tesi pronta si ripresentò a Roma, per discuterla.

Con la laurea in giurisprudenza, ma in un paese ormai travolto dal fascismo, dalla sua vocazione imperialista, a un passo dalla guerra: «Assistevo alla corsa dell’Europa verso la sua tragedia, verso una guerra sanguinosa. Decisi allora di chiedere il visto per gli Stati Uniti. Nell’agosto del 1939 Serena ed io sbarcavamo a New York. Mi resi conto che il soggiorno americano non sarebbe stato breve e che davvero per noi stava per iniziare una nuova vita». Una vita non facile: per mantenere se stesso, la moglie e, presto, il primo figlio, Andrea, vendeva libri. Di notte studiava, con accanimento. L’economia era diventata il suo nuovo campo: capire i grandi fenomeni, che percorrevano il mondo, gli squilibri, la ricchezza e la povertà, il senso del denaro nella società moderna. I suoi maestri furono Adolf Lowe e Jacob Marschak: «Un periodo per me difficile, duro, faticoso. Ma se lo ripenso, lo ripenso con entusiamo, come un’avventura emozionante. Capire le leggi dell’economia era la mia ambizione...».

Il primo appuntamento fu un seminario a New York. Alla fine, nel 1941, cominciò ad insegnare: in una scuola per ragazze nel New Jersey. Cominciò a scrivere: il suo primo importante saggio fu pubblicato nel 1944, «La teoria dell’interesse e la moneta». Nel 1944 conseguì anche il dottorato in sociologia presso la New School of Social Research. Cominciava in questo modo, dopo un severo, tenace apprendistato, una carriera che avrebbe condotto Franco Modigliani nelle più importanti università americane, attraverso le ricerche più illumninanti e innovative: dal New Jersey College all’Università dell’Illinois, dalla Harward University al Carnegie Institute of Technology e alla Northwestern University. Finchè, nel 1962, divenne professore di economia e finanza al Massachusetts Institute of Technology (dove nel 1988 divenne profesdsore emerito).

In quegli anni sviluppò la sua ricerca con una particolare attenzione alla teoria monetaria, ai mercati finanziari, alla macroeconomia, ai modelli econometri. I suoi lavori più noti riguardano l’ipotesi del "ciclio vitale" che spiega il comportamento risparmio-consumo nelle famiglie e due teoremi, sviluppati negli anni cinquanta, assieme a Merton Miller, che forniscono un quadro analitico di riferimento per capitale le strutture del capitale delle imprese. Proprio per queste elaborazioni ottenne nel 1985 il premio Nobel per l’economia, «per le sue analisi pionieristiche sul risparmio e sui mercati finanziari».. Seguirono ovviamente molti altri riconoscimenti e conseguenti incarichi: membro dell’Accademia statuntense delle scienze e dell’American Association of Arts and Sciences, presidente dell’Econometric Society, consulente del Tesoroi e del Federal Reserve System degli Stati Uniti, consulkente di tante banche negli Usa e in Europa. Tra tanta America e tanti onori, continuava a stargli a cuore l’Italia, seguiva il dibattito politico e economico in Italia, interveniva secondo (lo ha fatto ancora sull’Unità, di recente, ad esempio in tema di pensioni e di liquidazioni) un’idea che assegnava la priorità agli obiettivi di piena occupazione e di promozione del lavoro e dei lavoratori, senza dimenticare l’imperativo di un sistema competitivo ed efficiente per garantire realistiche prospettive di crescita.

Di questo parlava e scriveva in modo schietto, perchè non era uomo da compromesso, senza temere reazioni. Che ci furono con il tono insultante di alcuni portavoce del centrodestra.

Ha scritto moltissimo e molti suoi libri sono stati pubblicati anche in Italia: uno dei più vicini, il più autobiografico, Avventure di un economista: la mia vita, le mie idee, la nostra epoca (Laterza, 1999). Di quest’epoca disse: «Un’epoca affascinante, in cui le cose si muovono così presto, al di là di ogni immaginazione. Mi secca di essere così vecchio. Ma forse avrò modo di vedere ancora molte cose. Sono ottimista: come non credo allo scienziato malvagio che studia il modo di rovinare il mondo, così credo che più gli strumenti innovatrivi sono potenti, più forte è l’incentivo a usarli in modo appropriato. L’umanità in fondo non si è ancora distrutta con la bomba atomica nè pare abbia l’intenzione di farlo. Bisognerà certo tenere gli occhi aperti...».

Da l’Unità 25-09-03