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Mondo. uomo americano...

Publie le mercoledì 2 luglio 2003 par Open-Publishing

È singolare che un osservatore di così lunga lena della politica internazionale come Grimaldi non capisca o finga di non capire che le politiche dei governi non sono - se si vuole: purtroppo - dettate da principi astratti, ma solo da quello di massima convenienza. Nella politica USA, di fatto, troviamo, allo stesso tempo o in rapida successione, il duro contrasto con l’Iran sul sequestro degli ostaggi, il finanziamento degli ayatollah attraverso l’operazione Iran-contras e il via libera all’aiuto militare di Israele all’Iran, il sostegno all’Iraq di Saddam Hussein nella fase finale della guerra contro l’Iran, sia direttamente sul campo di battaglia che attraverso un gigantesco finanziamento allo stato iracheno erogato dalla BNL di Atalanta e, da ultimo, la Prima Guerrra del Golfo, un sistema criminale di sanzioni e una seconda definitiva operazione militare. Il compito del cronista e dell’analista dovrebbe essere quello di chiarire i legami contorti tra questi avvenimenti (che sono tutti reali, e vanno tutti citati senza censure), e non quello di semplificare arbitrariamente la storia filtrandola attraverso le proprie discutibili convinzioni. In questo modo ai compie un’operazione scorretta deontologicamente e di dubbia utilità, qualsiasi sia lo scopo che ci si prefigga, fonte di incomprensioni e di inimicizie. (A meno che non sia esattamente questo che si vuole.)

Ancora qualche esempio degli errori marchiani in cui Grimaldi incorre a causa della sua immotivata sicurezza di essere nel giusto e della sua paranoia censoria: detto che nella situazione irachena attuale è difficile capire il reale seguito di ciascun partito, pure colpisce l’assoluto e aprioristico disprezzo di Grimaldi sia verso il Partito Comunista d’Iraq, sia verso il Partito Comunista Operaio d’Iraq; entrambi i partiti hanno passato lunghi anni in esilio, hanno rifiutato la complicità con l’aggressione statunitense, apprezzano l’assenza di Saddam Hussein, condannano l’occupazione e sono critici verso gli attacchi armati. Eppure di iracheni si tratta, il cui punto di vista andrebbe rispettato e valutato, giacché, a differenza di quello di Grimaldi, concorre a definire l’opinione pubblica irachena. È vero anche che degli attacchi armati è difficile stabilire la paternità. Tranne in un caso, quello ultimo di Basra, dove sei militari inglesi sono stati linciati dalla folla esasperata. Proprio il caso su cui cala la scure censoria di Grimaldi, che vorrebbe anche questo opera di un fronte di liberazione nazionale che per lui conta assai più della volontà e degli umori popolari. Un bell’esempio di comunista.

Non è solo un teorema sbagliato quello che espone Fulvio Grimaldi nel suo "L’uomo degli americani". È una vera e propria paranoia che lo affligge. I sintomi ci sono tutti. La confusione anche.

Ecco la sindrome del complotto ("Poi, ... certi della credibilità conquistata negli ambienti-target, ... ecco che ti piazzano il colpo"), che non gli permette di prendere in considerazione l’idea che qualcuno possa essere critico verso gli USA sull’11 settembre, filojusgoslavo e, al stesso tempo, filoisraeliano; no: o si è antimperialisti su tutto o si è spie della CIA. Che sono queste balle del pensiero critico? Nessuno ha diritto ad esercitarlo finché c’è Grimaldi che indica la linea! Se almeno fosse in grado di esporre qualche elemento concreto del supposto tradimento di Jared Israel, che so, una sua frequentazione dell’amministrazione USA o un documento da cui risulti che concorda con i servizi segreti la sua strategia di controinformazione. Niente: condannato per le sue idee. In Italia, dopo il 45, non dovrebbe succedere, ma se ci eravamo illusi che questa libertà fosse una conquista e una vittoria sul fascismo avevamo sbagliato; Grimaldi ce lo spiega così, semplicemente, con i suoi toni neanche tanto garbatamente bonapartisti.

E poi la percezione deformata e univoca di tutti i discorsi ("Saddam uomo degli americani" e quindi "Saddam doppiogiochista"). Saddam è stato uomo degli americani, finché è durata, ma questo non significa affatto che Saddam sia un doppiogiochista: egli ha lavorato per sé e solo per sé, costruendo all’interno dell’Iraq una rete di controllo che non è mai stata messa a repentaglio dall’opposizione interna. Nel far questo ha fatto uso dell’unico argomento che accomuna tutti i regimi fascisti: la forza spesa senza nessun risparmio, le sparizioni, le uccisioni, le torture degli oppositori, che faceva inseguire e uccidere anche all’estero. Altro che "democrazia pluralistica, con tanto di diritto di associazione partitica e pluralismo di mezzi d’informazione"! Nella regione kurda, dall’arabizzazione forzata è passato in 15 anni ad un vero e proprio genocidio dei kurdi, attuato con tutte le risorse militari disponibili, persino le armi chimiche usate - per la prima volta nella storia - da un governo contro la propria popolazione. Ma per Grimaldi l’accusa di fascismo va subordinata alla possibilità di iscrivere l’Iraq di Saddam nell’elenco dei governi antimperialisti; deve essere un grande disappunto per lui il fatto che questo elenco non sia - chissà come mai - affatto lungo: non si può tollerare di perderne un elemento così prezioso a causa di ubbie borghesi sulla democrazia, i diritti umani e i diritti dei popoli. Una linea di pensiero che Mussolini avrebbe certamente apprezzato.

Ma non ci sono solo le questioni interne della democrazia e dei diritti umani a bollare Saddam Hussein. Tutta la sua azione politica costituisce un tradimento del popolo iracheno, un tradimento consumato parecchi anni prima dell’ipotetico accordo che avrebbe posto bruscamente fine alla guerra con l’invasore angloamericano. Nel 1980 ha attaccato e invaso l’Iran; di questa guerra la dirigenza irachena non ha mai ritenuto di dovere chiarire le motivazioni e gli obiettivi. Di fatto, quando la guerra finirà nel 1988, la frontiera con l’Iran non avrà subito cambiamenti significativi. In compenso, le enormi riserve valutarie dello stato iracheno erano evaporate già nel primo anno di guerra, spese in una folle corsa agli armamenti; erano morti quasi un milione di iracheni e un numero ben più grande erano gli invalidi permanenti. Nel corso della guerra l’Iraq aveva per primo fatto uso di armi chimiche, seguito a ruota dall’Iran. Finita la guerra, Saddam non ha perso tempo per intraprendere altre operazioni dissennate: prima la campagna genocida contro i kurdi e poi la sciagurata invasione del Kuwait, che ha segnato l’inizio dell’ultimo atto.

Anche per lo stato sociale iracheno c’è poco da esaltarsi: l’istruzione era sì gratuita, ma subordinata all’iscrizione al partito Baath; nella situazione a dir poco tragica dopo la Prima Guerra del Golfo solo l’Oil for food valeva a sfamare e curare la popolazione, mentre continuavano le spese per gli armamenti, per le grandiose e inutili "opere del regime", e continuavano ad arricchirsi i patrimoni personali dei singoli componenti del governo, Saddam Hussein in testa. Quanto all’emancipazione delle donne, che pure era stato un punto di forza dell’Iraq laico, anche questo aspetto cominciava ad affievolirsi dopo la Prima Guerra del Golfo, quando Saddam Hussein, in un estremo tentativo di stabilizzazione, aveva cominciato a reintrodurre elementi di propaganda religiosa nella sua politica. E che dire poi dell’"ospitalità" che l’Iraq ha offerto a centinaia di migliaia di arabi - spesso palestinesi - che rimpiazzavano i kurdi sterminati o espulsi; i contrasti "etnici" che vediamo oggi, soprattutto nel nord (Kirkuk è stata la città piu interessata dall’arabizzazione forzata), ma anche a Baghdad, sono l’ultima velenosa eredità del regime

Federico Della Valle

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"L’UOMO DEGLI AMERICANI"

MONDOCANE FUORI LINEA

di

FULVIO GRIMALDI

Oggi, per trattare il tema, mi soccorre l’intelligenza del bassotto Nando. Per sputtanare i cani, opina, non c’è di meglio che lo stereotipo: il cane è per sua natura servile. Magari ha morso il padrone, ma siccome sta sempre lì, sull’aja o in casa o in giardino, resta inesorabilmente servile, servo del padrone. Ci vuole pochissimo a capire che questo, come tutti gli stereotipi, oggi padroni del linguaggio - e quindi delle idee - come mai in passato (ci vorrebbe un D’Annunzio, o un Weber, o un Barthes, per i loro diversi versi, a disintegrarli), nasce da osservazione superficiale, specista ed antropocentrica, totalmente ignara della psicologia ed etologia del cane.

Il pensiero di Nando bassotto è sollecitato da un fenomeno ricorrente che, come tutto il resto, non manco di sottoporre alla sua analisi. Appaiono siti che per qualche tempo catturano positiva attenzione sparando bordate di denunce e argomentazioni antimperialiste e antisharoniane (antisioniste no, per carità). Poi, un giorno, certi della credibilità conquistata negli ambienti-target, tra una cronaca di torture americane a prigionieri iracheni e lo strazio di una vecchia palestinese cui hanno sotterrato sotto le macerie della casa figli e nipoti, ecco che ti piazzano il colpo, il discorso che ti disgiunge le sconnessure del mondo. Ci resti sbigottito ma, tenuto conto di tutto il buon materiale che ti è arrivato prima, magari superi il dubbio e quel colpo lo prendi per buono. Rimani appeso all’amo. La crepa si è aperta e promette di diventare voragine, pronta ad accogliere ben altre nefandezze della disinformazione. Tattica vecchia come il cucco, ma sempre astuta ed efficace.

Successe con un sito USA, Emperors clothes, di Jared Israel. Questo Israel lo incrociai parecchie volte in Jugoslavia, prima e dopo la caduta di Milosevic e della Federazione. Era tra i più accaniti ed acclamati, dai compagni serbi, denuncianti della cospirazione imperialista anti-Jugoslavia. Dal suo sito, poi, si diffusero documentate accuse, non solo sulle tresche Nato e USA contro quel grande paese ucciso, ma addirittura sconvolgenti rivelazioni sui retroscena istituzionali degli attentati dell’11/9, cioè sulle dirette, poi anche altrimenti documentate, responsabilità della banda di golpisti al potere a Washington. Israel si rovesciò come un calzino nel suo opposto: un bel giorno incominciò a mitragliare i corrispondenti delle sue e-mail e i visitatori del suo sito con fantastiche accuse di nefandezze terroristiche ai palestinesi e agli arabi tutti, riscrivendo negazionisticamente una storia del conflitto che faceva degli ebrei la civiltà in arrivo e degli arabi poco più di ignoranti e sanguinarie belve. Poco mancò che riesumasse quello slogan che mi accolse in Palestina nel 1967, inviato alla guerra dei Sei Giorni, e che era affisso su mille muri e sopra cadaveri di soldati egiziani lasciati alle mosche: "L’unico arabo buono è quello morto".

Qualcuno ci cascò: ma come, Jared era stato tanto bravo sulla Jugoslavia! Non poteva non essere credibile adesso! E le crepe si aprivano.

Non dico che lo stesso discorso valga pari pari per il sito Al Awda che da qualche tempo ci offre ampi e validi resoconti non solo sulla Palestina,. ma anche sugli altri gironi infernali dell’imperialismo USA.

Ma certo sorprende e sconcerta quando, tra tanta accuratezza e passione, spunta un bel giorno l’inusitato ma non insolito stereotipo dell’intossicazione Mossad-CIA: "Saddam, uomo degli americani".

Vedete, quello di attribuire al leader di una comunità aggredita e ribelle il ruolo di un doppiogiochista è il sistema più raffinato e perfido per decapitare una resistenza e minare la solidarietà a sinistra che le spetta (Saddam si è venduto, ha contrattato il suo salvacondotto con gli USA in cambio della dissoluzione del suo esercito). Lo fecero anche con Slobodan Milosevic, attaccandosi al fatto che aveva fatto uno stage in una banca di New York e che aveva firmato, spalle al muro con tutto il suo popolo sotto embargo e minacciato di sterminio, la pace di Dayton. E ricordate come giocarono sul presunto conflitto Che-Fidel?

L’operazione "Saddam americano" è stata affiancata dall’operazione "Arafat tiranno", poi malamente corretta, operazione per tempistica analoga ai clamori dirittiumanisti pro-società civile iraniana in simultanea con l’escalation aggressiva USA.

Sono questi tanto uomini degli americani che vengono perseguitati, incarcerati, uccisi insieme al loro popolo. Incongruo, vero? Ma veniamo ai fatti, alle accuse di "americanismo" a Saddam. "E’ un dittatore". Me ne sono già occupato. Ecco il classico colonialismo eurocentrico della "Sinistra". Incapacità di esaminare come un altro popolo percepisca il suo governo e la sua cultura, espressi da retroterra, percorsi, valori, tempi totalmente diversi dai nostri, e totale subalternità ai criteri di valutazione strumentali dell’imperialismo "dei diritti umani". La tua democrazia, Susanne Scheidt, è il sistema perfetto e ultimo. Va totalitariamente imposto a tutti, che ne sentano la necessità o no. Anche se per diritti umani questi popoli - vedi anche Cuba o i bolshevichi - intendono per primo la conoscenza (istruzione gratuita per tutti), la salute (sanità gratuita per tutti), l’alimentazione (lo Stato che ha fatto mangiare gratuitamente il 75% per cento della popolazione fino all’ultimo giorno dell’embargo in quello che l’ONU ha definito "il più efficiente e meno corrotto sistema di distribuzione di cibo del mondo"), la protezione (casa garantita a tutti), la riproduzione sociale e biologica (piena occupazione con in sovrappiù, in Iraq, 2 milioni di lavoratori stranieri dal mondo arabo), la piena emancipazione delle donne. E magari più in là il diritto umano individuale e individualistico di dire ognuno la sua, anche a rischio di far crollare uno sforzo gigantesco e vittorioso di emancipazione nazionale, sociale e culturale. Facile predicare la democrazia, poi, dimenticando (ignoranza, malafede?) chi l’ha praticata nel proprio contesto specifico, governando in coalizione con comunisti e democratici kurdi fino al 1979, e poi si è ritrovato sotto un assedio micidiale di aggressori imperialisti, con terrorismi, guerre, infiltrazioni di spie e sabotatori, compravendita di quisling e ceti malavitosi. S’è visto cosa è costato a Milosevic l’insistenza a mantenere, perfino sotto le bombe Nato, una democrazia pluralistica, con tanto di diritto di associazione partitica e pluralismo di mezzi d’informazione: tutta l’opposizione comprata e corrotta dai tedeschi, prima, e dagli USA, poi.

Guerra Iraq-Iran, Iraq al servizio della Nato e degli USA. Saddam è stato tanto filo-occidentale da fare, nel 1958, una rivoluzione socialista antimperialista, da essere perseguitato e incarcerato insieme ai comunisti dalla dittatura di Aref dal 1963 al 1968, da fare una nuova rivoluzione con Baath, comunisti, nasseriani e democratici kurdi nel 1968, rispostando l’Iraq nell’area non allineata e filo-sovietica, da nazionalizzare il petrolio nel 1972, cacciando le multinazionali angloamericane dal monopolio del petrolio iracheno, da concedere ai kurdi un’ampia ed effettiva autonomia con autogoverno e parlamento a Irbil (prima che gli USA, Kissinger, riattizzassero la rivolta dei pashà fantocci Balzani e Talabani e che i curdi si schierassero con il decimatore di kurdi iraniani, Khomeini, per la promessa di spartizione dell’Iraq e indipendenza kurda); da riunire nel 1979 a Baghdad, contro la resa araba di Camp David (Sadat-Begin) e il tradimento della causa palestinese, il Fronte del Rifiuto, che raccolse la maggioranza degli Stati arabi e soprattutto tutte le organizzazioni sociali, sindacati, movimenti e partiti di sinistra, che da sempre avevano in Baghdad un punto di riferimento. Non per nulla immediatamente scoppia la guerra Iraq-Iran, certo istigata dagli angloamericani (Kissinger: "E’ necessario che queste due potenze, minacciose per Israele, si dissanguino a vicenda"). L’Iran aveva rimesso in discussione il confine tra i due paesi, avanzando richieste territoriali (Shatt el Arab) e aveva minacciato di strangolare l’Iraq laico e apostata chiudendogli lo stretto di Hormuz, vitali per i suoi scambi. Ero presente io, quando nel 1980, unità militari iraniane, in piena pace, facevano sortite provocatorie oltre i confini. L’Iran fu subito sostenuto da Israele (quello sì, strumento degli USA) che, bombardata piratescamente la centrale nucleare dell’"amerikano" Saddam, Osirak, fornì all’Iran, istruttori, piloti e mezzi. Ricordate l’Iran-contras: Israele fornisce armi a Khomeini e col ricavato, attraverso la banca mafiosa e narcotrafficante BCCI, sostiene i macelli dei contras in Nicaragua. Gli USA si limitano, per simmetria (Kissinger!) a fornire comprensione diplomatica all’Iraq. La storia di forniture di armi USA è una bufala: basta vedere l’armamentario iracheno nelle due guerre del Golfo: neanche un obice USA, tutta vecchia roba sovietica, francese, italiana e irachena. Fallita l’aggressione integralista e pari e patta la guerra, l’imperialismo USA si rivolge direttamente contro un nemico storico (dal 1958) che non pare né distrutto, né domo nel suo appoggio ai palestinesi (è il paese che in tutte le guerre arabo-israeliane ha fornito il maggior numero di caduti e, fino all’ultimo, i finanziamenti più cospicui alla resistenza palestinese). Tanto che Saddam è da anni per tutti i 300 milioni di arabi (escluse le cliques dirigenti) il punto di riferimento nella lotta contro l’espansionismo israeliano, la nuova colonizzazione imperialistica e la classi dirigenti proconsolati e compratore. Questa è la realtà di massa con cui un comunista, un rivoluzionario si deve confrontare.

E per venire alle elucubrazioni sulle "ambiguità" dell’attuale resistenza (l’esercito iracheno dissoltosi, ma, come si vede ora, saggiamente, per preservare le forze in vista di una guerriglia che è già poderosa) e sulle perfidie propagandistiche del sedicente Partito Comunista dei lavoratori iracheno, avanzate da un altro interlocutore, si chieda se una sinistra antimperialista debba sostenere i "nazionalisti" del Baath e islamici che, uniti, si oppongono con la lotta armata di liberazione, avendo per questo scopo sottratto le proprie forze al macello tecnologico degli angloamericani in fase di invasione, oppure un partitello "comunista" solidale, in esilio, con la banda di ladroni venduti del Consiglio Nazionale Iracheno di Londra e della CIA, che ora saluta l’invasione come necessaria alla caduta del regime e l’occupazione come utile per la fase di ricostruzione di un movimento operaio di massa (ma figurarsi cosa ne pensa Paul Bremer).

IL PCI se non è creazione della CIA, poco ci manca. La solita falsa sinistra, collaborazionista, che serve a depistare la lotta contro il nemico e che in nessuno dei suoi decennali documenti ha mai denunciato l’ecatombe dell’embargo angloamericano. Perché si ignorano le informazioni sui comunisti della Coalizione Nazionale Irachena, che hanno tenuto insieme ad altre forze progressiste il loro congresso a febbraio a Parigi e che hanno posto come contraddizione principale quella nazionale tra Iraq e invasori imperialisti, tanto che oggi lottano insieme a migliaia di volontari arabi con i partigiani del Baath?

Si denuncia il carattere " nazionalista" della rivolta armata guidata dal Baath e da Saddam Hussein. E meno male che è nazionalista: non è una nazione che è stata aggredita, strangolata, disintegrata, squartata? Non è oggi una priorità assoluta, come nella lotta anticolonialista condotta in egemonia dal Baath contro gli inglesi, la cacciata dell’occupante dalla nazione tutta? Patria o muerte. Vuole suscitare scontri etnici? Peccato che, nonostante tutti gli sforzi USA per suscitare conflitti interetnici, finora il popolo iracheno (ad esclusione delle bande kurde narcotrafficanti di Barzani e Talabani) pare fortemente unito nell’obiettivo prioritario della cacciata del "liberatore" e, ahinoi, lo è sotto la guida di una resistenza ben organizzata, diffusa su tutto il territorio, la cui correttezza e sacrosanta giustezza può essere diffamata solo da un titolo inaccettabile come quello di Liberazione del 26/6, "Soldati inglesi linciati dalla folla", passivamente e non innocentemente, temo, tratta dalle agenzie capitaliste, a rovesciamento non solo della realtà (vedi il Manifesto) di una battaglia con armi da fuoco tra inglesi, assassini di civili, e partigiani armati, ma anche del diritto di ogni iracheno di difendere, anche con le nudi mani, il proprio paese. Ricordo una pediatra irachena che, nell’imminenza dell’arrivo degli statunitensi a Baghdad, aveva affilato i propri coltelli da cucina (vedi il video "Un deserto chiamato pace").

Per la sinistra, dopo l’imbarazzante guerra del bandito Bush alla "belva sanguinaria", ora c’è l’imbarazzo di scegliere tra l’astuta e unilateralmente disarmante nonviolenza dei "moderati" e il sostegno a una lotta armata di liberazione popolare, necessariamente e ineluttabilmente "nazionale", dove chi ci sta è un compagno e un patriota e chi non ci sta un rinnegato o un arreso, PCI o non PCI. PC iracheno che farebbe meglio a denunciare le stragi di civili in corso a opera degli angloamericani, la natura colonialista dell’occupazione, il carattere brigantesco e quislinghiano di Chalabi e Co., la minaccia mondiale dell’imperialismo (e non solo per mascherare il proprio sostanziale collaborazionismo), e a prendere le armi insieme ai compagni del Baath e agli islamici, che mettono la vita al servizio della sovranità e dignità della propria comunità nazionale e della resistenza mondiale contro gli USA motore del capitalismo e del’imperialismo. La storia è maestra di verità: la liberazione araba negli anni ’50 e ’60 è stata condotta dalle borghesie nazionali e dalle intellighenzie in collaborazione con le masse sfruttate dalle monarchie vassalle al soldo del colonialismo. Pare che questa situazione debba ripetersi. Chi ha più filo, tesse e fa egemonia.

C’è da trarre una conclusione non esaltante: palestinesi, iracheni, arabi, cubani, ecc. vanno bene, vanno sostenuti e compianti quando li si fanno a pezzi, se ne polverizzano le case, se ne fa un olocausto, se ne uccidono i bambini. Sono terroristi, nazionalisti, etnicisti quando combattono.

Intifada fino alla vittoria, in Palestina e in Iraq. Anche con Arafat e Saddam, visto che gli altri si è visto quanto sono credibili.