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Il trasferimento del Forum Sociale Mondiale al di fuori del Brasile si è rivelato un’intuizione straordinaria. Il movimento ne esce un po’ scosso ma assolutamente arricchito.
Una delle più popolose città del mondo, con 16 milioni di abitanti censiti di cui almeno 1 milione vive per terra lungo la strada, ospita in un’enorme fabbrica dismessa questo vivacissimo e coloratissimo Forum. Gli organizzatori indiani hanno fatto un lavoro impeccabile, non solo dal punto di vista organizzativo ma anche dal punto di vista politico. I protagonisti di questo Forum sono infatti gli “ultimi” che, diversamente da quanto avveniva a Porto Alegre, sono presenti dentro il Forum. I Dalit, gli intoccabili, la più bassa delle caste indiane, sono la parte numericamente più consistente della delegazione indiana. Persone che vivono ben al di sotto della soglia di povertà, discriminati ferocemente in un paese che ha formalmente bandito le caste ben 54 anni fa.
La loro festante e rumorosa presenza riporta il Forum ai suoi obiettivi centrali: per garantire cibo, acqua, dignità, lavoro per tutti in ogni parte del pianeta serve un radicale cambiamento dell’attuale sistema economico che finisce per concentrare la ricchezza invece di ridistribuirla. Questo approccio protegge il percorso del Forum Sociale Mondiale da possibili derive elitarie- congressiste che a tratti erano sembrate affiorare. Le traduzioni delle conferenze, peraltro di ottimo livello, sono soltanto in hindi, una delle 16 lingue ufficiali di questo paese che assomiglia più ad un continente e questo non agevola certo la partecipazione di tutti ai grandi eventi, Eppure sia dentro i seminari in cui si parlano le varie lingue che per la strada ognuno ha la possibilità di fare sentire la propria voce, di esprimersi. C’è, pur nella difficoltà linguistica, uno straordinario senso di fratellanza che accomuna tutti i partecipanti, di provenienze geografiche, culturali e sociali diverse.
Le centinaia le iniziative in programma sono tutte partecipate. Per il movimento dallo scorso Porto Alegre sembra passato un secolo. Prima il 15 febbraio con le grandiose mobilitazioni contro la guerra capaci di coinvolgere non soltanto i paesi dell’Europa occidentale o dell’America Latina, ma numerosissime città in ogni continente. Poi il successo di Cancun, con l’emergere, dentro il vertice, del blocco dei G20 (Brasile in testa) ma anche dei G96, il raggruppamento dei paesi dell’Asia e del Pacifico. Fuori del vertice il movimento vede in piazza l’ascesa del protagonismo delle delegazioni asiatiche ed africane, sudcoreani in testa. In questa ottica lo straordinario Forum di Mumbai segna anche simbolicamente il riequilibrio geografico dall’asse sudeuropeo- latinoamericana (Brasile e Francia in testa) su cui il WSF è nato a Porto Alegre, all’asse anglosassone-asiatica.
Non è un caso che qui siano più numerose non soltanto le delegazioni asiatiche, ma anche quelle nordamericane e nordeuropee. Questo spostamento di accenti, di priorità, di linguaggi pone i movimenti sociali di fronte a nuove sfide e si rifletterà anche sull’appello finale dei movimenti sociali che verrà definito alla fine del Forum e finisce per rappresentarne ogni anno l’unico risultato politico scritto. Le assemblee della rete mondiale contro la guerra stanno andando molto bene e hanno posto delle ottime basi per una piena riuscita delle mobilitazioni del prossimo 20 marzo. D’altro canto moltissimo lavoro rimane ancora da fare su altri temi, come su quelli del libero commercio, a partire dal rilancio delle iniziative in previsione del probabile nuovo vertice del WTO ad ottobre a Hong Kong.
Proprio per questo il percorso del Forum Sociale Mondiale si conferma uno strumento potentissimo non soltanto per rafforzare e dare unità al movimento del paese ospitante, ma per far crescere quella rete di azione internazionale di cui tutti, Dalit per primi, hanno un estremo bisogno.