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O Giscard o l’Europa dei diritti

Publie le mercoledì 23 luglio 2003 par Open-Publishing

O Giscard o l’Europa dei diritti. A Genova il «movimento» fa politica
dall’inviato Piero Sansonetti

Il movimento no-global lancia la sua nuova battaglia: contro l’Europa come l’ha disegnata Giscard
D’Estaing. Quella dice - è un’Europa che fa del liberismo la gabbia della vita collettiva, e
rovescia il senso di tante Costituzioni conquistate nel secolo scorso, come quella italiana. La
nostra Costituzione fondava la Repubblica sul lavoro, la Costituzione di Giscard fonda l’Europa sul
mercato e sull’impresa. Porta la storia della civiltà indietro di mezzo secolo. E per la prima volta
"costituzionalizza il liberismo".

Il movimento intende concentrare gran parte delle proprie forze su questo tema, indicando una sua
via alternativa all’Europa. La sua idea di Europa si fonda su un modello politico-sociale che
mette al primo posto i diritti, e sacrifica il mercato, mette al primo posto il disarmo ed esclude la
guerra, mette al primo posto il Welfare e rinuncia a sgravi fiscali per i ceti ricchi. E’ una
ricetta abbastanza semplice.

Il modello proposto da Giscard invece mette al primo posto la competitività e scommette
sull’esercito europeo. Cioè vuole contrapporsi all’America solo nel senso che vuole competere con l’America,
su tutti i piani - economico, produttivo, militare - ma senza contrapporsi al modello americano.
Anche quella di Giscard è una ricetta semplice: però è opposta a quella del movimento.

Il movimento dice che l’Europa che sa sta costruendo è una Europa privata e oligarchica, l’Europa
del futuro invece deve essere pubblica e democratica. La Costituzione di Giscard prevede sistemi
di decisione basati sul potere dei governi e degli organismi internazionali che comandano
l’economica globalizzata; la sovranità popolare è pura finzione. La Costituzione che vuole il movimento
prevede invece il ritorno del potere ai popoli, e cioè un percorso di democrazia.

Questa è una discussione politica? Cioè, è una piattaforma che pone questioni politiche? Si, è
evidente. Si può dissentire o concordare con l’analisi del movimento, ma non si può negare che il
terreno nel quale si muove è quello della politica-politica. E quindi è subito risolta la questione
se la sinistra, due anni dopo Genova, debba uscire dalla sua fase movimentista e tornare alla
politica. E’ una questione che non sta in piedi perché il movimento no-global è già immerso nella
politica fino al collo. Non c’è contrapposizione tra politica e movimento. La sinistra tradizionale, se
vorrà, potrà tenerne conto. Senza sperare in deleghe o passaggi di competenze, perché queste non
sono possibili. E senza immaginare che siano ragionevoli trattative e quindi alleanze o patti con
il movimento, o con alcuni suoi pezzi, perché il movimento non è un partito: è possibile invece
avviare la discussione sulle proposte concrete e sulle idee politiche, una per una: pace, disarmo,
mercato, privatizzazioni, diritti collettivi, stato sociale.

La linea europeista del movimento è stata discussa a Genova nella penultima giornata della nove
giorni organizzata per ricordare le drammatiche giornate del G8 di due anni fa, quando trecentomila
persone diedero l’assalto pacifico al vertice dei grandi del mondo, e la polizia sparò, uccise
Carlo Giuliani, e picchiò, arrestò e torturò varie centinaia di persone.

Domenica le manifestazioni in ricordo di Genova 2001 si concluderanno con un corteo che parte da
Piazza Alimonda - cioè dal luogo dell’omicidio del 2001 - e che dovrebbe essere un corteo
silenzioso, in segno di protesta per l’archiviazione delle inchieste contro polizia e carabinieri. E poi
con un concerto, una festa.

Nei giorni scorsi a Genova si sono tenute centinaia di riunioni, assemblee, mostre e spettacoli
teatrali. Sabato mattina c’è stata l’assemblea del forum sociale italiano, alla quale però hanno
partecipato - e preso la parola - diversi rappresentanti di altri forum europei, e anche una ragazza
indiana, Leni, visto che il prossimo forum mondiale si terrà nel gennaio prossimo a Bombay.
La relazione l’ha tenuta Franco Russo, un signore di 55 anni che lavora alla Treccani ed è uno dei
leader del movimento italiano (35 anni fa, quando era studente appena ventenne, era il capo
riconosciuto del movimento studentesco romano). Russo ha esposto la linea europeista del movimento, ha
presentato il programma politico, gli obiettivi e le prossime scadenze che sono molto impegnative.
Le principali sono tre.

La prima è la contestazione della riunione del Wto a Cancun, Messico (dal 9 al 14 settembre) che
sarà preceduta da un vertice di ministri europei a Riva del Garda (1-3 settembre) e da un
controvertice del movimento nella stessa cittadina (negli stessi giorni). La riunione di Cancun (e la sua
preparazione) è importantissima, perché l’ordine del giorno prevede: privatizzazione dell’acqua,
privatizzazione della sanità, privatizzazione dell’istruzione, privatizzazione delle produzioni
intellettuali. Se il Wto esce vincitore da Cancun vivremo in un mondo che è difficile definire
semplicemente liberista, sarà qualcosa di più: un mondo interamente privatizzato. Dove la democrazia sarà
relegata a decidere su aspetti assolutamente marginali della vita delle persone. Se il Wto esce
sconfitto da Cancun, cioè non riesce ad imporre il suo programma di privatizzazioni accelerate, sarà
una vittoria fenomenale per il movimento, e molte cose della politica internazionale, e di quella
dei singoli stati, cambieranno.

La seconda scadenza importante è il 4 ottobre, a Roma. In quella data si riunirà la commissione
intergovernativa europea. Si compirà un passo importante verso la nuova Europa che il movimento
contesta. Ieri è stata decisa la mobilitazione generale per il 4 ottobre, la manifestazione, il
corteo.

La terza scadenza ravvicinata è il 12 ottobre, e cioè la marcia per la pace Perugia-Assisi. Poi ci
sono altri appuntamenti, come lo sciopero generale dei metalmeccanici (17 ottobre) e poco dopo il
forum europeo a Parigi. La marcia Perugia-Assisi che fu inventata da Capitini 40 anni fa - è
entrata a far parte ufficialmente degli appuntamenti del movimento. E questo apre la questione del
pacifismo e cioè di un riesame dell’ultimo anno del movimento. Segnato dalle gigantesche
mobilitazioni contro la guerra in Iraq, ma anche dal fatto che la guerra c’è stata, l’Iraq è stato devastato,
occupato militarmente e trasformato in un protettorato degli Stati Uniti. Il movimento non ama
ragionare su questo. Giustamente sottolinea la grandiosità delle mobilitazioni e come queste abbiano
portato a enormi e stabili spostamenti nel senso comune e nell’opinione pubblica; e però non gli
piace prendere atto del colpo subito, visto che una nuova guerra devastante non è stata impedita e
migliaia di persone sono state uccise. Così come il movimento non ama discutere dei risultati del
referendum sull’articolo 18, che i no-global hanno sostenuto. Anche lì si è realizzato un forte
spostamento di opinione pubblica, con 11 milioni di elettori che si sono pronunciati per il sì,
contro tutti i partiti di destra e di centro e di centro-sinistra: ma anche lì il risultato è stato
negativo. Nella costituzione europea ha osservato Mario Agostinelli dopo il referendum italiano
è stata introdotta una modifica al capitolo "licenziabilità", e cioè si è affermata la necessità
di una differenza di normative tra piccola e grande impresa.
Il movimento su questi temi preferisce rilanciare, cioè baipassare il problema.

Piero Bernocchi, leader dei Cobas, ha detto che oggi la questione è quella di trasferire sul
terreno dei diritti sociali e del lavoro, l’enorme potenza che il movimento ha espresso sulla pace.
Unificare le due gambe del movimento, coordinarle: pace e diritti, lotta alla guerra e lotta al
liberismo economico. Vittorio Agnoletto dice che nella strategia liberista l’opzione militare e quella
del comando economico sono perfettamente coordinate, e anche il movimento deve coordinare
pacifismo e lotte sociali. Agnoletto dice anche che chi crede che il movimento sia in crisi e che si sia
concluso il "biennio rosso" (si riferisce a un articolo del "riformista") si sbaglia, perché il
biennio rosso non c’è mai stato: il movimento non pone problemi dei "rossi" e neanche problemi
"epocali", pone i problemi, ineludibili, della sopravvivenza del pianeta e dell’umanità. Per questo è
assurdo pensare che possa scomparire come d’incanto. Bernocchi dice che il movimento durerà quanto
il liberismo (una volta si diceva: "un minuto di più..."). Anche Raffaella Bolini pensa che la
questione della crisi del movimento sia infondata. Lei dice che semplicemente negli anni novanta era
successa una cosa stranissima: la sinistra aveva smesso di fare quello che ha sempre fatto e che le
tocca come dovere: pensare a come cambiare il mondo. La sinistra mondiale si era illusa che non
fosse necessario cambiarlo. Il movimento esprime l’inversione di tendenza, e quindi è forte ed è in
salute.