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PRESIDIO SOTTO IL TRIBUNALE DI COSENZA

Publie le mercoledì 11 giugno 2003 par Open-Publishing

MERCOLEDI 11 GIUGNO ORE 12
PRESIDIO SOTTO IL TRIBUNALE DI COSENZA

Non poteva finire che con un’archiviazione l’inchiesta della Procura cosentina, gestita dalla Digos di Cosenza e diretta dai pm Curreli e Gaito, contro il compagno di Rifondazione Comunista, Francesco Gaudio.
Nessuna prova di "eversione" esisteva allora, nel novembre del 1999, quando questa assurda odissea ebbe inizio, nessuna prova esiste oggi, dopo anni di intercettazioni telefoniche e ambientali, pedinamenti,
interrogatori, perquisizioni, ai danni di decine e decine di cittadini, ritenuti "informati sui fatti", perché hanno scelto la libera formazione nei Centri
Sociali Autogestiti e il camminare domandando una società più libera, giusta e democratica.

Difficile per noi archiviare quattro anni di persecuzione giudiziaria operata volutamente contro i movimenti, le lotte sociali, il diritto al dissenso.Impossibile archiviare l’arresto tutto politico - pianificato sempre dalla Digos - del nostro compagno Andrea, privato per nove mesi della libertà dalle leggi proibizioniste dello Stato italiano, che consentono ai tutori del dis/ ordine di mettere a tacere i militanti politici, arrestandoli per "fumo".

Impossibile dimenticare le domande arroganti e le minacce sottili di sbirri e giudici durante gli interrogatori; i blitz anti- eversione nelle abitazioni
e negli spazi sociali; la violazione sistematica della privacy con i telefoni sotto controllo e le microspie nelle auto; senza contare i soldi pubblici sperperati per le indagini (basti pensare che l’affitto di una "cimice" costa intorno ai 35 euro al giorno, ai quali bisogna aggiungere gli straordinari degli spioni attaccati giorno e notte agli apparecchi ricetrasmittenti).
La domanda a questo punto nasce spontanea: ma possibile che in una città come Cosenza, piegata dall’usura, minacciata dalla riorganizzazione delle cosche mafiose, in una regione come la Calabria, dove i legami tra ceto politico, appalti e ’ndrangheta sono fin troppo evidenti, possibile che in un simile contesto i giudici cosentini trovino il tempo e isoldi per indagare insegnanti, studenti, docenti, giornalisti, disoccupati, mamme, figli, liberi
cittadini di una libera repubblica?

Pare proprio di sì. Tant’è che morta un’inchiesta, se ne fa un’altra. Arriva il Ros dei Carabinieri, la Digos c’è sempre, il pm è Fiordalisi, il gip Plastina.
Questa volta gli arresti preventivi sono venti, gli indagati quaranta. La Procura punta a rifarsi la faccia, a livello nazionale, ma finisce per perderla
completamente. E’ il novembre scorso e sotto accusa stavolta è il Sud che si ribella. La farsa è troppo evidente, insorge prima un’intera città, poi tutto il movimento dei movimenti, contro la riesumazione del codice Rocco e del reato d’opinione.
Questa seconda inchiesta, che della prima ha acquisito impianto e
obiettivi, non è ancora stata archiviata. Ciò significa che chi fa politica nei movimenti è ancora sotto controllo, pedinato, registrato, perseguitato.
La giustizia italiana è profondamente malata. Le carceri scoppiano di migranti, tossicodipendenti, poveri diavoli senza buoni avvocati. Il dibattito
nazionale sulla riforma della giustizia è in mano a Berlusconi. Intanto Fini stringe il cappio attorno al collo di immigrati, consumatori di droghe, ribelli
globali.
Nessuno ci ha ancora detto che cosa ci faceva nelle caserme di Genova durante i giorni del G8, dei pestaggi di piazza, della violenza di poliziotti e carabinieri sui pacifisti, dell’omicidio del nostro fratello Carlo Giuliani. Sono loro le vere "persone informate sui fatti" protette da impunità, sono loro i
violenti, gli attentatori della democrazia, gli eversori, i fascisti.
Contro di loro e contro i loro tribunali, non ci stancheremo mai di gridare la nostra verità.