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Da Liberazione del 20 settembre 2003
intervento di Gigi Malabarba (capogruppo al senato del Prc)
Una comprensibile incertezza percorre le fila del nostro partito di fronte ad atti
politici e a rapporti intrecciati con le forze del centro sinistra, che sembrano
rovesciare la priorità del nostro ultimo congresso - centralità del rapporto e della
costruzione dei movimenti e subordinazione ad essi delle interlocuzioni politiche
istituzionali. Quasi che la difficoltà della fase ci spingesse a una revisione. Sono in
molti anche all’esterno a dare questa interpretazione politica della nostra azione
successiva al risultato referendario.
Le grandi lotte di questi anni - che scontano le difficoltà ereditate dalle passate
sconfitte ma che nondimeno hanno permesso una eccezionale ripoliticizzazione dei
giovani - in effetti, non sono ancora riuscite ad invertire i rapporti di forza sociali, a
strappare successi significativi. Anzi, le scelte economiche del governo Berlusconi
hanno continuato a triturare il mondo del lavoro con un’erosione salariale, una
progressiva distruzione dello stato sociale e delle pensioni, un aumento
indiscriminato della precarietà che non hanno precedenti. E i metalmeccanici, nel
tentativo di rimettere in moto la partecipazione dei lavoratori sono rimasti, per ora,
isolati. Tutto questo induce a pensare che il movimento - elemento strutturale della
politica italiana e internazionale come dimostra il successo di Cancùn - debba riuscire
a consolidare più partecipazione, ad ampliare il consenso, a ottenere vittorie.
Uscire dal liberismo: un nuovo programma
Questo obiettivo è tanto più urgente vista la crisi delle politiche liberiste e delle
istituzioni della globalizzazione capitalista. La vittoria del no all’euro in Svezia, il
fallimento del Wto a Cancùn, mostrano chiaramente questa parabola. I dettami del
libero mercato non convincono più: un ciclo politico ed economico sembra essere
finito. E una nuova fase evidentemente si apre. La crisi del liberismo da un lato, e lo
sviluppo dei movimenti, dall’altro, contribuiscono a generare una forte richiesta di
cambiamento (anche se ancora generica), che in Italia è rafforzata dalla specifica
natura reazionaria ed aggressiva, con forti venature antidemocratiche, del governo
Berlusconi. La combinazione di questi due elementi, quindi, determina un forte
sentimento antigovernativo, alimentando le difficoltà della coalizione di governo e
pone il problema di uno sbocco politico.
Per essere in grado di intervenire in questa nuova fase le forze della sinistra
alternativa, sia in Italia che in Europa, devono fare un grande salto di qualità in
termini di elaborazioni di alternative portatrici della radicalità, la stessa di cui il
movimento finora è stato capace. Si tratta di realizzare un programma, quello che in
altri tempi si sarebbe chiamato "programma transitorio", suscettibile di realizzare
obiettivi-ponte tra la resistenza attuale e una prospettiva di trasformazione radicale.
Questa necessità non è più rinviabile. Oggi dovremmo discutere di come restituire
centralità a un’economia pubblica e partecipata attraverso un piano di (ri)
nazionalizzazioni di settori strategici; di come ricostruire un potere del salario
attraverso meccanismi automatici di recupero dell’inflazione; di come articolare uno
stato sociale di cui reddito sociale, pensione e sanità per tutti siano i capisaldi; di
come sancire per legge una democrazia sindacale che dia potere contrattuale e
dignità ai lavoratori e alle lavoratrici; di come fermare la guerra a cominciare dal ritiro
dei soldati italiani da tutte le missioni militari all’estero, dal rifiuto netto dell’esercito
europeo e della Nato, dalla drastica riduzione delle spese militari; di come realizzare
una cittadinanza universale in cui nessun cittadino sia straniero e in cui la libertà di
circolazione sia garantita nella Costituzione; di come ricostruire una scuola davvero
pubblica a partire dalla gratuità degli studi; gli esempi sono innumerevoli. Di questo
programma oggi abbiamo bisogno per parlare ai movimenti, ai lavoratori, ai giovani,
a tutti coloro che cercano un’alternativa. Non può essere redatto per entrare in una
trattativa politicista con chicchessia ma pensato per dare nuovo slancio ai
movimenti, nuonva linfa alle lotte e agli strumenti del conflitto sociale.
Quale unità a sinistra?
Ovviamente, la natura reazionaria del governo Berlusconi e la pratica unitaria
realizzata nei movimenti degli ultimi anni, spingono a una pratica unitaria anche sul
fronte politico. Ma qui bisogna intendersi. Se per unità intendiamo l’azione comune
dal basso per rilanciare l’opposizione a Berlusconi, siamo già in ritardo. Su pensioni,
precariato, guerra, immigrati, democrazia e libertà costituzionali, la piattaforma per
opporsi con una grande iniziativa sociale al governo Berlusconi è di fatto tracciata.
Occorre solo raccogliere la spinta che proviene dal basso e darsi gli appuntamenti
utili. Molti sono già indicati: il 4 ottobre a Roma, il 17 con la Fiom, il 12 nella
Perugia-Assisi. La manifestazione delle opposizioni appena lanciata deve essere la
naturale prosecuzione di questo percorso e nutrirsi di contenuti sociali, unica
garanzia per cacciare Berlusconi.
Questa prospettiva, però, non può non fare i conti con un’altra evidenza: il
fallimento delle politiche liberiste e del Patto di stabilità europeo non ha determinato
un serio ripensamento delle proprie strategie da parte della sinistra moderata e
socialdemocratica, italiana ed europea. L’attacco alle pensioni, ad esempio, è
concertato direttamente da Bruxelles dove "governa" Prodi e coinvolge esecutivi di
diversa natura: Raffarin-Chirac in Francia, Berlusconi in Italia e Schroeder in
Germania. E il centro sinistra italiano appare ancora del tutto interno a questa
logica, se è vero, ad esempio, che su scala europea è parte costitutiva del progetto
di Costituzione liberista.
Siamo quindi di fronte a una contraddizione stridente: da un lato la forte necessità
di un’alternativa politica al governo delle destre e al modello di sviluppo neoliberista,
dall’altra la mancanza assoluta delle condizioni sociali, dei rapporti di forza adeguati
perché questo cambiamento sia oggi possibile. Occorre accumulare molte più forze,
ottenere successi, strappare risultati, costruire democrazia dal basso per poter
immaginare un’alternativa effettiva.
Non dobbiamo dunque cedere all’illusione di un cambiamento radicale da realizzarsi
in un ipotetico governo, magari a guida Prodi, in cui ministri di Rifondazione non
avrebbero nessun margine di manovra credibile. L’esperienza francese della gauche
plurielle, i limiti e l’impasse che rischia Lula in Brasile ne sono un valido esempio.
Cacciare Berlusconi, costruire la sinistra alternativa
Altra cosa è la necessaria disponibilità a trovare le convergenze democratiche e di
voto che si renderanno tatticamente indispensabili per poter cacciare Berlusconi
nell’attuale quadro di leggi elettorali antidemocratiche. Il centrosinistra invece di
lamentarsi della spropositata maggioranza parlamentare di Berlusconi, che potrebbe
permettergli di cambiare la Costituzione, dovrebbe battersi coerentemente per il
ritorno al proporzionale!
Per queste ragioni non possiamo che ripartire dallo schieramento antiliberista che si
è impegnato nel referendum, dagli undici milioni di Sì che troppo velocemente
abbiamo abbandonato anche con atteggiamenti mediatici impropri. Dalle forze del
movimento, dai metalmeccanici, dal sindacalismo anticoncertativo di base e
confederale, dalle associazioni, dai social forum, dai tanti giovani che abbiamo
incontrato in questi anni. A queste forze dobbiamo proporre una prospettiva
comune, fuori dal politicismo e dalle formule di apparato ma capace di disegnare il
profilo di una reale sinistra alternativa, una sinistra anticapitalistica e soprattutto
capace di produrre pratiche di conflittualità. Un soggetto esplicitamente alternativo a
quel partito riformista che è nei sogni del duo Prodi-D’Alema e che rappresenta
l’ennesimo spostamento a destra della sinistra liberale. Un soggetto che tenga
insieme le diversità e che sia, da subito, accomunato da una piattaforma per
l’opposizione sociale a Berlusconi. Ma anche un luogo che affronti con
determinazione, come spesso ha saputo fare il movimento nei Forum sociali, il tema
dell’altro mondo possibile, dell’alternativa al liberismo e al capitalismo. Il 4 di ottobre
a Roma è un’occasione preziosa per incamminarsi su questa difficile, ma ineludibile,
strada.
Gigi Malabarba
capogruppo Prc al Senato