Home > Processo alla polizia

Processo alla polizia

Publie le domenica 14 settembre 2003 par Open-Publishing

Genova, processo alla polizia
I pm accusano 73 agenti e funzionari, tra cui Gratteri, per le violenze e
le prove false alla Diaz e Bolzaneto: falso, calunnia e abuso d’ufficio. La
celere romana di Canterini risponde del massacro. Il procuratore capo non
firma. Pisanu: La Ps è sana

ALESSANDRO MANTOVANI
INVIATO A GENOVA

Non furono «mele marce», non furono «abusi di singoli». E allora, come dice
un magistrato, «a pagare devono essere i generali, non i soldati». I 73
avvisi di fine indagine spediti ieri dalla procura di Genova, ultimo atto
prima delle richieste di rinvio a giudizio per le violenze alle scuole
Diaz/Pascoli e a Bolzaneto, sono un atto d’accusa contro la polizia
italiana. Franco Gratteri, vicinissimo a Gianni De Gennaro, dovrà
rispondere di falso, calunnia aggravata e abuso d’ufficio per quella
«perquisizione» che si risolse in un massacro, la notte del 21 luglio di
due anni fa dopo due giorni di scontri: 61 feriti, 93 arresti arbitrari,
due false molotov, una coltellata fantasma e verbali che parlavano di
«accesa resistenza» e di attrezzi da carpentiere usati come «armi
improprie». Le stesse gravi accuse toccano a Gianni Luperi e Lorenzo
Murgolo, indicati come coloro che comandarono l’operazione insieme a
Gratteri e al defunto Arnaldo La Barbera, allora capo dell’antiterrorismo.

Per i pm agirono «al fine di costruire un compendio probatorio a carico
degli arrestati e, quindi, per commettere i reati di calunnia e abuso
d’ufficio, nonché per giustificare la violenza usata». «Costituendo per
posizione gerarchica il livello apicale di riferimento - proseguono - ed
esercitando di fatto i poteri connessi, consapevoli di quanto nella realtà
accaduto, determinavano ed inducevano agenti e ufficiali di polizia
giudiziaria ad attestare falsamente: di aver incontrato resistenza; che
quanto rinvenuto nell’istituto (mazze, bastoni, picconi, assi, spranghe)
era stato utilizzato come arma impropria anche per commettere i reati di
resistenza; di aver rinvenuto due bottiglie incendiarie; l’aggressione ai
danni di un agente che sarebbe stato attinto da una coltellata vibrata
all’altezza del torace». E ancora: «Incolpavano, sapendolo innocente,
ciascuno dei predetti indagati per i delitti loro ascritti (associazione a
delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio, resistenza a
pubblico ufficiale, possesso di esplosivi e armi improprie), nonché un
soggetto ignoto ma tra costoro individuabile per tentato omicidio».

Altrettanto gravi le posizioni di dieci funzionari di medio livello, per lo
più vicequestori, che scrissero o firmarono i verbali: Gilberto Caldarozzi
(vice di Gratteri), Spartaco Mortola (ex capo della Digos di Genova), Nando
Dominici (ex capo della squadra mobile di Genova), Filippo Ferri (capo
della mobile di La Spezia), Massimiliano Di Bernardini (capo
dell’antirapine alla mobile di Roma) Fabio Ciccimarra (pluridecorato
«mobiliere» di Napoli), Carlo Di Sarro (ex Digos di Genova), Massimo
Mazzoni (ispettore dello Sco), Davide De Novi e Renzo Cerchi («mobilieri»
di La Spezia). Il verbale d’arresto, secondo i pm, lo scrissero Ciccimarra,
Ferri e Di Bernardini. Perquisizione e sequestro furono invece verbalizzati
da Mazzoni, che dipendeva direttamente da Gratteri.

Niente processo per la truppa. Per il massacro risponderanno i capi del
reparto mobile (ex celere) di Roma e del settimo nucleo antisommossa,
creato per Il G8. Concorso in lesioni gravi è l’ipotesi di reato per
Vincenzo Canterini - accusato anche di falso e calunnia - il suo vice
Michelangelo Fournier e gli otto capisquadra (Fabrizio Basili, Ciro Tucci,
Carlo Lucaroni, Emiliano Zaccaria, Angelo Cenni, Fabrizio Ledoti, Pietro
Stranieri e Vincenzo Compagnone). Scrivono i pm che costoro, «in concorso
con altri ufficiali ed agenti, cagionavano lesioni personali varie, anche
gravi, alle persone presenti all’interno dell’edificio, colpite con lo
sfollagente in dotazione o con altri atti di violenza, commettendo il fatto
o comunque agevolando o non impedendo ad altri tale condotta, dolosamente
eccedente il limite del legittimo uso di mezzi di coazione fisica (...),
colpendo con violenza le persone predette, tutte in palese atteggiamento di
non offensività e di resa, in talune occasioni infierendo più volte sulle
stesse già a terra». E giù con le lesioni: fratture alla testa e alle
braccia, una milza spappolata, un testicolo a pezzi...Si salvano i settanta
della «truppa», che erano a volto coperto. Del resto picchiano anche molti
altri, in borghese o in divisa ma mai identificati. Secondo la procura,
intervennero «oltre duecento» operatori di ps, ma una lista così lunga ai
pm non è mai arrivata. Non risultava presenti neanche Pietro Troiani, il
vicequestore che fece portare le molotov nella scuola, né l’assistente
Michele Burgio che confessò di avercele portate per poi lasciare,
disgustato, la polizia: a giudizio anche loro. Falso e calunnia sono
ipotizzati, infine, per il sedicente accoltellato Massimo Nucera e per
l’ispettore Maurizio Panzieri che confermò il suo racconto.

Rischiano il processo anche i tre funzionari che estesero la perquisizione
all’istituto di fronte alla Diaz, la Pascoli: sono Salvatore Gava, capo
della mobile di Nuoro, il napoletano Alfredo Fabbroncini e il «mobiliere»
romano Luigi Fazio, quest’ultimo accusato anche di percosse a un giovane
tedesco. Alla Pascoli entrarono «per errore», Gratteri se n’è assunto la
responsabilità, e lì distrussero i computer del Media center e quelli degli
avvocati: perquisizione arbitraria, violenza privata, danneggiamento. E
peculato perché presero gli hard disk.

Bolzaneto «inumana e degradante». Gli «avvisati» sono trenta per la
Diaz/Pascoli e 43 per Bolzaneto. Ma tra questi ultimi solo cinque sono
stati riconosciuti come protagonisti di specifici atti di violenza,
minaccia e ingiuria, gli altri erano i responsabili della caserma della ps
trasformata in avamposto carcerario. Così Giacomo Toccafondi, il medico
penitenziario in tuta mimetica: abuso d’ufficio, violazione di un elenco
infinito di norme del regolamento penitenziario, abuso di autorità su
arrestati, lesione del diritto alla salute previsto dalla Costituzione,
omissione di soccorso, violazione dei diritti umani fondamentali. Così il
poliziotto Massimo Luigi Piccozzi, che spezzò una mano a un ragazzo.

Per la ps il capo era Alessandro Perugini, numero due della Digos di
Genova, quello del calcio in faccia al ragazzino di Ostia. Risponderà di
aver «tollerato o comunque non impedito che le persone ristrette fossero
sottoposte a trattamento non conforme ad umanità, non rispettoso della
dignità umana, e quindi umiliante, inumano e degradante». Perché a
Bolzaneto, ricordano i pm, «nelle celle le persone erano obbligate a
mantenere per lungo tempo posizioni umilianti; nel corridoio durante gli
spostamenti venivano colpite e minacciate da personale disposto in modo di
formare due ali». E ancora, ricevevano «offese e insulti in riferimento
alle loro opinioni politiche (’zecche comuniste’, bastardi comunisti',ora chiama Bertinotti’, te lo do io Che Guevara e Manu Chao',Che
Guevara figlio di puttana’, ’bombaroli’)», alla loro sfera e libertà
sessuale, alle loro credenze religiose (’ebrei di merda’, frocio di merda') «ed erano costrette» ad ascoltare espressioni di ispirazione fascista (quali ascolto del cellulare con suoneria costituita dal motivo di Faccetta nera bella abbissina, ascolto della filastroccauno due tre viva
Pinochet, quattro cinque sei morte agli ebrei’)». E poi «percosse, minacce,
sputi, risate di scherno».

La procura spaccata. Firmano gli atti d’accusa sei sostituti: Francesco
Cardona Albini, Vittorio Ranieri Miniati, Monica Parentini, Patrizia
Petruzziello, Francesco Pinto ed Enrico Zucca. Mancano i capi: il
procuratore capo Francesco Lalla e l’aggiunto Giancarlo Pellegrino, che in
questi due anni hanno incoraggiato soprattutto le inchieste sui
manifestanti, gli arresti e i rinvii a giudizio per 26 accusati di
devastazione e saccheggio.

Pisanu si smarca ma non troppo. Immediato il commento del ministro
dell’interno: «E’ solo un atto dovuto - ha detto Beppe Pisanu - La polizia
italiana è così sana che può serenamente affrontare qualsiasi giudizio e,
se sarà necessario, prendere tranquillamente le decisioni di carattere
amministrativo che un eventuale giudizio della magistratura rendesse
opportune».