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Quale solidarietà verso i Paesi Baschi.

Publie le giovedì 8 maggio 2003 par Open-Publishing

La solidarietà verso i Paesi Baschi è in Italia insufficiente visto il
livello di repressione che quel popolo sta sopportando. Si deve trasformare
la diffusa simpatia verso la causa basca in una efficiente opera di sostegno
che, partendo dalla condivisione del progetto politico della sinistra
abertzale, sappia costruire ponti e battere l’isolamento in cui Aznar vuol
gettare i militanti indipendentisti. REDS. Maggio 2003.
Da www.ecn.org/reds/etnica/baschi/baschi.html

La lotta dei baschi per la propria autodeterminazione gode nella militanza
della sinistra italiana di una certa, storica simpatia. Ciò si deve al fatto
che la nostra antica estrema sinistra, poi confluita in parte nel PRC, in
parte oggi animatrice del movimento noglobal, pur essendosi con il tempo
piuttosto moderata, conserva pezzi di memoria della solidarietà a suo tempo
espressa in maniera significativa verso popoli senza stato quali i baschi,
gli irlandesi, ecc. Questa simpatia però non ha oggi in Italia alcun canale
o struttura che permetta una solidarietà continuativa, efficiente,
penetrante. Ciò lo si deve in parte all’atteggiamento dei vertici del PRC
(non della sua base, nè delle sue strutture intermedie) che sono sottoposti
a fortissime pressioni da parte di Izquierda Unida, in parte alla
regressione culturale di tutta la sinistra nei confronti della "questione
nazionale" in generale. Il risultato è che la solidarietà verso i baschi è,
come minimo, episodica.
Una serie di gruppi hanno cercato meritoriamente di riempire questo vuoto,
ma sono piccoli e non possono influire sull’"opinione pubblica" di sinistra.
Si tratta di alcuni centri sociali, ed anche di organizzazioni sindacali di
base, che hanno però una struttura interna troppo fragile per reggere una
solidarietà continuativa nel tempo.
Il tipo di solidarietà di cui necessitano i Paesi Baschi (Euskal Herria,
come il nazionalismo basco definisce la propria terra) deve innanzitutto
situarsi su un piano squisitamente democratico. Al solito argomento che
anche a sinistra si tira fuori dal cappello ogni volta che si parla di
baschi (le azioni di ETA) dobbiamo opporre contenuti puramente democratici:
le leggi liberticide non hanno colpito ETA, che, da sempre, è in
clandestinità, ma una sinistra, quella rappresentata da Batasuna, che si
colloca ampiamente sopra il 10% dell’elettorato. Non si può giustificare con
l’esistenza di ETA il fatto che in Euskal Herria si torturi impunemente,
oppure che vengano rese illegali intere e storiche associazioni a difesa dei
diritti umani, o che si chiudano quotidiani. Questo tipo di solidarietà
prescinde anche dall’opinione che ciascuno può nutrire riguardo al diritto
di autodeterminazione dei baschi. Chi non è d’accordo con esso, ha comunque
il dovere di schierarsi contro il fatto che, per esempio, un partito con
radicamento di massa non possa concorrere a libere elezioni e che nel cuore
dell’Europa siano violati diritti umani fondamentali. Su un piano dunque di
denuncia democratica è giusto che i militanti solidali chiedano a chiunque,
personalità politiche e istituzioni (consigli comunali, ad esempio), di
pronunciarsi, ovviamente facendo sì che queste adesioni non siano di una
tipologia tale da compromettere la simpatia del popolo di sinistra nei
confronti della causa basca.
Anche la richiesta della sinistra abertzale (la sinistra indipendentista
basca) di un dialogo nazionale che includa tutti, quindi anche ETA, dovrebbe
essere difeso da ogni sincero democratico. ETA non è una piccola e disperata
organizzazione isolata dal mondo e dalla società come Aznar e i media
vogliono dipingerla, ma dispone a sua volta di un radicamento tale da
rendere impossibile la sua sparizione con metodi polizieschi. A questo
proposito i punti espressi da AuB e che riportiamo in altra parte della
rivista, ci sembrano condivisibili anche al di là di un ambito di sinistra
antagonista.
Vi è poi un tipo di solidarietà più politica. Questo tipo di solidarietà
implica la condivisione di punti di vista più complessi di quelli
semplicemente democratici. In poche parole, a tutti si deve chiedere
solidarietà sul piano democratico, ma dalla nostra sinistra antagonista si
deve e si può chiedere di più. Noi non troviamo alcuna buona ragione per cui
comunisti, sindacalisti combattivi, attivisti dei movimenti sociali non
debbano sostenere il progetto politico della sinistra abertzale.
Pensiamo che la nostra sinistra abbia molte cose da imparare dalla sinistra
abertzale e dal suo progetto di "costruzione nazionale". Si tratta
innanzitutto di una sinistra allo stesso tempo radicale e popolare.
Assistendo alle manifestazioni basche si nota facilmente come ad esse
partecipino tutte le generazioni, dai più giovani sino ai più anziani e vi
si trovi ogni tipologia sociale (dagli universitari agli operai). La
sinistra abertzale è riuscita a creare un vasto spettro di "organizzazioni
di massa" (sindacali, giovanili, per i diritti civili, culturali, ecc.) che
hanno un radicamento notevolissimo.
Naturalmente esistono anche altre organizzazioni nazionaliste di sinistra
(Alarar, ecc.), ma, come ha dimostrato la partecipazione alle diverse
manifestazioni in occasione dell’Aberri Eguna il 20 aprile, queste non
portano in piazza nel loro insieme piu’ di un migliaio di persone, contro le
20.000 della sinistra abertzale (se sommiamo i partecipanti alla
manifestazione di Iruña e quelli dell’atto organizzato da Udalbiltza, ma
sostanzialmente retto dalla sinistra abertzale). Non vogliamo certo
teorizzare che si debba stare col più forte, semplicemente quell’enorme
sperimentazione di radicamento sociale alla quale dovremmo essere
interessati (perché prima o poi dovremmo riuscire a costruire qualcosa di
simile - come qualità del radicamento - anche in Italia), la sta facendo
l’area politica che fa riferimento a Batasuna, e non altri.
La regressione che ha colpito la sinistra italiana riguardo la questione
nazionale dopo l’esplosione della Jugoslavia e dopo la nascita della Lega
Nord, porta spesso ad equivocare e a non cogliere il carattere progressivo
di quella che la sinistra abertzale definisce "costruzione nazionale". Essa
non significa in alcun modo una sacra unione con la propria classe
dominante, tant’è che la stessa componente politica anima il sindacato più
radicale dello stato spagnolo: LAB, che non rinuncia certo a lottare contro
padroni baschi. Significa il radicamento "vivo", di massa, nel popolo di
Euskal Herria. Un gigantesco esperimento di coscientizzazione sociale.
Insomma: dovrebbe farci riflettere il fatto che in Euskal Herria vi è un
grado di attivismo politico collocato a sinistra ben più pronunciato che in
ogni lato d’Europa, Italia compresa. Per gli standard baschi una
manifestazione di 20.000 persone è normale, ma essa corrisponde ad una
manifestazione in Italia di mezzo milione di persone (vere, non quelle che
siamo abituati a "sparare" quintuplicando il vero numero di partecipanti). E
ogni manifestante sa esattamente perché sta là.
La questione basca deve essere popolarizzata nel movimento noglobal, presso
quella nuova generazione che si sta avvicinando alla politica da due anni a
questa parte e che di baschi non sa nulla. Si possono inventare viaggi di
solidarietà (che in parte già avvengono, ma in modo poco sistematico, e che
i compagni baschi sono molto disponibili a supportare), organizzare concerti
(come già ha fatto qualche centro sociale approfittando dell’interessante
scena rock basca), cene e serate culturali. Chi è attivista di partiti,
associazioni, sindacati deve spendere le proprie energie per far conoscere,
anche direttamente sul posto con l’invio di delegazioni, la causa basca, e
così creare una pressione interna che condizioni anche i vertici.
In definitiva per chi condivide dall’Italia il progetto politico della
sinistra abertzale, il compito è chiaro, e ci viene chiesto dagli stessi
compagni baschi: far entrare la questione basca in ogni ambito, costruire
ponti, non rinchiudersi in ghetti.