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ROSSANA ROSSANDA: Quel Cile trenta anni dopo
Publie le venerdì 12 settembre 2003 par Open-PublishingIl colpo di stato in Cile nel 1973 deflagrò sul mondo, assai più che la
vittoria di Salvador Allende nel 1970. Nel 1970 l’Europa era ancora sotto la
eco delle lotte che l’avevano percorsa - e non lei sola - dai primi anni
sessanta. Quasi senza sapere l’uno ell’altro, i giovani si erano mossi negli
Usa, dove si battevano per i diritti civili e contro la guerra nel Vietnam,
e in Cina dove contestavano ogni gerarchia dello stato e del partito, poi
dall’Italia alla Germania alla Francia e con lo stesso accento - investendo
l’ordine esistente, reinventando assemblee e cortei senza che nessuno li
organizzasse. Non volevano soltanto riparare ingiustizie, ma cambiare il
sistema nella sua natura, fini e valori.
Gli Stati uniti avevano dovuto
iniziare la trattativa col Vietnam che avrebbero lasciato nel 75, in
Francia il governo era stato rovesciato, in Cina la rivoluzione culturale
segnava una cesura storica e l'Italia era entrata in oltre un decennio di
rivolgimenti. Perciò quando il dottor Allende batté in Cile la Democrazia
cristiana di Frei attraverso le più normale delle elezioni, l'Occidente non
ne fu particolarmente colpito, salvo, come poi si vide, il Dipartimento di
stato. Era diffusa nei movimenti di contestazione, per nulla antipolitici ma
molto antistituzionali, la battuta Elections piège à cons (anche se in
Italia coesisteva con il crescere dei voti al Pci) e nessun partito
socialista pareva entusiasmante. Del Cile si sapeva la tradizione moderata,
democratica e la decantata lealtà dell'esercito. In breve le sinistre
europee si occupavano d'altro.
E non avevano troppo riflettuto sul fatto che
in Bolivia era stato ucciso dai rangers Ernesto Che Guevara
nell'indifferenza dei contadini e dei minatori, in Francia De Gaulle aveva
ripreso saldamente le redini, e così Willy Brandt, anche se in condizioni
mutate, in Germania. Restava nelle società la eco del 1968 e il Vietnam si
avvicinava alla vittoria. Insomma sul Cile si fu distratti.
Non era più così già un anno dopo. Quel governo così perbene procedeva a
misure fracassanti: nazionalizzava senza indennizzo le miniere di rame di
proprietà americana, metteva in cantiere la riforma agraria, faceva
fibrillare l'America latina. Andai a Santiago nell'ottobre del 1971 su
invito di quella Università, perfino nel manifesto qualcuno protestò che
stavamo perdendo tempo con un episodio secondario, e a Parigi Sartre mi
aveva lanciato uno scettico: «Quell'Allende non farà niente».
Ma nella capitale cilena, e poi a Concepcion, trovai un'aria tutta diversa,
il paese era in moto, operai, contadini, indios, intellettuali e tecnici. Le
nazionalizzazioni avevano galvanizzato la gente, tutto il paese era un
cantiere di programmi. E non c'era diffidenza fra il giovane Mir
filocastrista e quello strano partito socialista, il primo incalzava ma
anche custodiva il secondo, erano noti i rapporti di rispetto fra Allende e
i dirigenti miristi. Anche i cattolici di sinistra erano lanciati. Freddo
era solo il partito comunista di Corvalan. Quanto ad Allende, l'aspetto
garbato e affabile d'un medico progressista, considerava ovvio che per il
Cile democrazia e antimperialismo fossero la stessa cosa, un riappropriarsi
di sé per via istituzionale, con una maggioranza di popolo, un'opposizione
acerba ma corretta e la fedeltà delle forze armate.
Un anno dopo il clima era cambiato. Gli Stati uniti erano
esplicitamente ostili e con loro la grande stampa cilena. La situazione
economica era pesante e la destra incitava una piazza populista, le donne
che picchiavano le casseruole, la borghesia amica o dipendente dagli
espropriati e forse un certo sottoproletariato avevano cominciato a
rumoreggiare fin dagli ultimi mesi del 1971. E una visita di Fidel Castro
non aveva calmato le acque, anzi. Il Cile diventava di colpo visibile. Nel
1972 la situazione economica si aggravò, un grande sciopero degli
autotrasportatori mise il paese a terra: e ci sgomentò. Com'era possibile
che i «salariés de la peur» volessero la caduta d'un governo di sinistra?
Allende chiese all'Urss un prestito che Mosca non concesse, anche se sarebbe
stato assai meno di quel che annualmente passava a Cuba. Il Mir pensava che
bisognasse radicalizzare, prevenire il consolidamento del blocco avverso,
dare una spallata e lo stesso ritenevano, credo, le nuove sinistre europee.
Per Allende, e probabilmente aveva ragione, non ce n'erano le condizioni.
Alle elezioni del 1974 sarebbe stato probabilmente battuto; non se ne
impressionava si atteneva all'alternanza, convinto che il popolo non si
sarebbe lasciato portare via quel che aveva appena conquistato. Stati uniti
e grande proprietà non aspettarono le elezioni. Prepararono con l'esercito
quel golpe che Allende aveva ritenuto impossibile. Si trovò assediato l'11
settembre alla Moneda, non si arrese, abbracciò un mitra, sparò e si sparò.
Stentai a crederlo, vedo ancora le scale di quel modesto palazzo e le stanze
dove lavorava e ci riceveva con allegra calma. Ma il tradimento e la
percezione di aver tutto perduto, e forse molto sbagliato nelle previsioni,
dovettero essere amarissimi. Si uccise. Lo stadio fu riempito di
prigionieri. Chi cercò uno scampo in Argentina sarebbe stato liquidato tre
anni dopo da un altra giunta militare.
Il Cile del 1973 divenne il simbolo che, dunque, in America Latina ma
forse dovunque una rivoluzione non si poteva fare per vie democratiche. La
rete dei grandi poteri legati agli Usa non avrebbe permesso, dopo
l'eccezione cubana, una ancor più infettiva democratizzazione avanzata del
subcontinente. Dove crebbero le guerriglie e la repressione, e le dittature
militari. E benché l'appoggio statunitense fosse chiarissimo e il
procedimento scandaloso, per il Cile gli Usa non pagarono nessun prezzo di
fronte all'opinione mondiale.
In Germania e in Italia, movimenti di contestatori andarono rifluendo
e una loro minoranza entrò in clandestinità organizzando i gruppi armati.
Sorprende che nessuno sembri ricordarsi come il Cile facesse disperare delle
infinite possibilità del metodo democratico. Il Pci era notoriamente per la
via pacifica, ma nel 1973 non ci fu assemblea pubblica dove non si
discutesse se era mai possibile una rivoluzione maggioritaria o se non
bisognasse aspettarsi che venisse in ogni caso repressa. E quindi che fare?
Per qualche anno le posizioni estreme non fecero scandalo: la gente ammutolì
quando le Brigate Rosse e poi Prima Linea si misero a sparare. Fra il
silenzio e la violenza parve restringersi ogni spazio, gli anni '70 furono
in gran parte questo.
Il Pci, da parte sua, non sosteneva più che invece un rivoluzionamento
sia pur graduale era possibile, come aveva fatto fino ad allora: dall'esito
cileno derivò che non solo le forze dell'avversario erano imbattibili - i
poteri forti essendo anche armati e sostenuti da Washington, ma che si era
in presenza di una controffensiva fascista ai movimenti degli anni
60. Nel
famoso saggio sul compromesso storico dell’ottobre 1973 Enrico Berlinguer
proponeva alla Democrazia cristiana: accordiamoci nell’impedire il fascismo,
da parte nostra cesseremo di sbilanciare a sinistra il sistema. Berlinguer
sbagliava nel prevedere una avanzata fascista - dal 1974 al 1976 venivano
abbattuti i fascismi residui in Portogallo, Grecia, Spagna. In Italia non
avanzava l’estrema destra, ma Bettino Craxi. Oggi anche la sinistra moderata
la chiama modernizzazione.
Paradossalmente l’estrema sinistra e il Pci facevano la stessa
analisi: era impossibile dare in Italia uno sbocco istituzionale, anche
parziale, alle grandi lotte degli anni sessanta. Il Pci ne dedusse la
necessità di un’alleanza con il centro cattolico e un capitale possibilmente
intelligente. Ruppe così l’esile filo che ancora lo collegava alle nuove
sinistre e predicò esplicitamente la pace sociale. All’opposto chi volle
afferrare le armi non riuscì che a ferire l’avversario e anche se stesso,
contribuendo all’arretramento del quadro politico.E quella parte del
movimento che non condivise la critica delle armi dismise in genere anche le
armi della critica.
La storia degli anni `80 è storia di un ripiegamento, il Pci accettò
sempre più compromessi, neppur mantenne i risultati fino ad allora ottenuti
e nel 1979 si dovette ritirare dall’unità nazionale. I movimenti rifluirono
fra sangue e ritorno al privato, lasciando qualche minoranza riflessiva. Il
1989 passò sul grande invaso già devastato che era stata la sinistra
italiana.
Nel riflettervi, non andrebbe dimenticato quale terribile colpo avesse
dato la classe dominante, con i servizi e le armi degli Stati uniti, al solo
tentativo al mondo di passare per via democratica a un socialismo. (rossana
rossanda)