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Rancore e rancidità

par Antonio Recanatini

Publie le giovedì 11 giugno 2015 par Antonio Recanatini - Open-Publishing

Il rancore è tutto ciò che si porta dentro come astio, una rabbia incondizionata che apre le porte al pregiudizio e alla cattiva interpretazione, il rancore è quasi sempre una condizione della permalosità.
Il gene, l’etimologia di questo termine proviene dal latino rancor-rancorem, praticamente rancidità, spesso veicolata, trasmessa con il cattivo odore delle sostanze andate a male. Possiamo cospargere il viottolo della nostra esistenza con profumi inebrianti, compiere gesta eroiche, ma il tanfo del rancido annienta qualsiasi coscienza, spesso diventa l’unico grande ostacolo dell’esistenza. Il rancore è uno sprezzo assoluto, un risentimento disposto e assistito dalla competizione personale, spesso solitaria, a senso unico; "nel senso che il soggetto a cui dirigiamo, convogliamo o, semplicemente, la vittima del nostro risentimento non sente rivalità, concorrenza, antagonismo nei nostri confronti". Il rancore come un pasto conservato per troppo tempo, una mela marcia, una deterioramento interiore, perché tanto più si preserva la rabbia, tanto più si rischia un compromesso con la vendetta. Tutto questo per dirvi che il rancore potrebbe marcire dentro di noi, marcire con noi nell’inferno inventato dai cattolici, dentro la tomba in cui seppelliremo ossa e pelle, quindi un popolo che non esprime la rabbia, spesso va in cancrena assieme ai suoi rancori.