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Risultato del sondaggio sul referendum aert. 18

Publie le lunedì 5 maggio 2003 par Open-Publishing

Ci vuole una legge per evitarlo 22.8%
La sinistra unita voti sì 38.9%
L’Ulivo discuta e prenda una decisione unitaria 24.8%
Astenersi 4.6%
Non se ne può più dei referendum 9.1%

Totale votanti: 7206

[Come si vede, nonostante la crescita del numero dei votanti, giunto a 7206, la percentuale di coloro che chiedono alla sinistra di votare sì unitariamente si mantiene quella più alta]

2) Il quesito per abrogare la "servitù da elettrodotto"
Elettrosmog, l’"altro referendum"
di Roberto Musacchio

L’"altro referendum": potremmo chiamarlo così. E’ quello sull’elettrosmog che è stato ammesso insieme al quesito sull’art.18. Naturalmente i riflettori sono puntati sullo scontro in materia di giusta causa ma il secondo quesito non deve proprio essere dimenticato.
L’intenzione referendaria era infatti quella di affrontare un pacchetto di questioni con al centro il tema dei diritti - del lavoro, dell’ambiente, alla scuola pubblica - sulla base di lotte dal basso di comitati e movimenti. L’idea del pacchetto voleva indicare una prospettiva di alternativa complessiva cui alludevano le richieste referendarie.
Bocciati due quesiti sull’ambiente (inceneritori e alimentare) e quello sulla scuola, resta il quesito sull’elettrosmog comunque ad indicare una allenza per i diritti tra lavoro e ambiente. Il tema dell’elettrosmog viene affrontato a partire da quello degli elettrodotti che sono una delle fonti di inquinamento. In particolare il testo è relativo all’obbligo di consentire il passaggio degli elettrodotti stessi (servitù da elettrodotto). E’ bene riflettere, anche perché osservazioni in materia sono state avanzate, su come norme che avevano finalità di interesse pubblico siano state e siano sempre più distorte per interessi del tutto privati.
Nella fattispecie l’imposizione degli elettrodotti non serve più all’elettrificazione del paese che è stata già fatta ma a garantire gli allacci alle centinaia di centrali private (oltre 600 richieste!) che con la liberalizzazione vogliono essere imposte al nostro territorio da parte di multinazionali grandi e piccole (a partire dalla Fiat) per fare profitti, con buona pace della produzione elettrica pubblica, dell’ambiente, dell’effetto serra e della salute. Contro queste richieste folli, frutto della deregulation e della controriforma energetica privatistica, sono mobilitati decine di comitati in tutta Italia, per i quali il referendum è strumento efficace di lotta.
Ma gli elettrodotti devono essere imposti anche per fare l’alta velocità, altra opera "pubblica" devastante e privatistica. E anche qui il referendum aiuta la lotta.
Questo uso distorto delle norme di pubblica utilità va oltre perché tutta la normativa Lunardi se ne avvale per imporre scelte, che di pubblico hanno solo il nome ma sono in realtà al servizio degli affari privati, e per impedire la partecipazione democratica.
Vale per l’imposizione delle grandi opere (come il Ponte sullo Stretto o le autostrade) o per le 80mila antenne portate dalla nuova generazione di telefonia Umts o per le centrali elettriche autorizzate di forza.
Naturalmente non è in discussione l’autorità di esproprio, che resta normata, ma il caso specifico di servitù imposta in condizioni storicamente mutate. Dobbiamo naturalmente difendere e riproporre il valore del pubblico e della pubblica utilità, ma cogliendo il tentativo in atto di stravolgerla e rilanciandone le funzioni in una nuova centralità della salute e dell’ambiente e di una logica di intervento non più "sviluppistica" e "cementificatrice" ma rispettosa delle priorità della riqualificazione ambientale, reinverando in ciò la funzione pubblica.
Comunque il referendum sugli elettrodotti deve consentire di porre con forza il tema dell’elettrosmog su cui sono mobilitati centinaia di comitati in lotta che avevano prodotto anche sbocchi legislativi e normativi colpevolmente disattesi e sempre più manomessi. Stiamo facendo da cavie all’elettrosmog per ragioni di assoluta prevalenza dei profitti, esponendoci dal vivo all’introduzione di nuove tecnologie con un’assenza di tutela che ricorda le antiche rivoluzioni industriali. A fronte di ciò ci sono movimenti che si radicalizzano sulla priorità assoluta della salute e dell’ambiente e a partire da ciò leggono e combattono le centralità del profitto e dell’impresa, le politiche di "liberalizzazione" che moltiplicano gli impatti a dismisura, la separazione crescente tra "sviluppo" e benessere.
Questi movimenti con i quali il Prc lavora in tutta Italia sono protagonisti dell"altro referendum".