Home > «Sulla Diaz solo fatti, nessun teorema»
Il pm Zucca, che ha condotto l’inchiesta sui poliziotti: «C’è chi non vuole
aprire gli occhi»
«La Diaz è una ferita ancora aperta. Purtroppo, non è certo una ferita
pregressa». E’ una battuta, l’unica. Enrico Zucca è uno dei sei pubblici
ministeri che venerdì mattina ha messo la sua firma sotto agli avvisi che
chiudevano l’inchiesta sulle violenze della polizia durante l’irruzione del
21 luglio 2001. Il magistrato si riferisce a un episodio di quella notte.
Alle parole pronunciate dal portavoce del capo della polizia che davanti ai
cancelli della scuola, ai giornalisti spiegò il significato delle barelle
che trasportavano i manifestanti feriti fuori dall’edificio dicendo che si
trattava di «ferite pregresse, non fresche».
Il giorno dopo, l’onda dei commenti e delle prime pagine è arrivata nella
Procura ligure. «Purtoppo in questo procedimento - dice Zucca - ci sarà
sempre qualcuno che vorrà chiudere gli occhi di fronte alle cose spiacevoli.
Ma, per capirle, le cose bisogna vederle come sono. Con gli occhi bene
aperti».
Alcune reazioni hanno fatto male. I magistrati sono stati giudicati sulla
base di un atto di notifica, che non è ancora una richiesta di rinvio a
giudizio, quando si vedrà esattamente quali sono le prove e le carte di cui
dispongono. Enrico Zucca rivendica comunque la bontà e la buona fede del
lavoro di questi due anni: «Abbiamo usato un criterio prudenziale. Nessun
teorema. Ci siamo soltanto ancorati ai fatti. Tanti poliziotti sono usciti
da questa indagine, semplicemente perché non c’erano gli elementi per
procedere contro di loro». L’accusa di aver sparato nel mucchio ha indignato
i magistrati della Procura genovese. La lunga, difficile indagine sulla
scuola Diaz è stata fatta con ben altro criterio, dicono.
Dalle 21 pagine di contestazione delle accuse che segnano la chiusura dell’
inchiesta, i magistrati sono convinti di aver fatto emergere soprattutto un
dato poco appariscente, rispetto ai referti medici dei feriti, ma che
secondo loro non va trascurato. Un’operazione di polizia che porta all’
arresto di 93 persone (i manifestanti che dormivano nella scuola Diaz) non è
cosa di tutti i giorni. Per giustificare quegli arresti, ai giudici furono
portati una lunga serie di atti falsi. Verbali di sequestro, di arresto, di
perquisizione: falsi.
Due giorni dopo l’irruzione, dodici giudici per le indagini preliminari
rigettarono i provvedimenti di arresto. E pure non sapevano che la loro
decisione era stata presa sulla base di atti falsificati. Nella sua
relazione fatta poche settimane dopo la fine del G8, anche il poliziotto
Filippo Micalizio incaricato dal Vicinale di un’indagine, contestò ai suoi
colleghi che avevano «gestito» l’irruzione di non aver saputo dare all’
autorità giudiziaria elementi sufficienti per giustificare gli arresti.
Quello che hanno fatto i magistrati - sostengono in Procura - è stato
rivelare come quegli elementi di prova, seppur scarni, fossero anche falsi.
Ed erano alla base di un’operazione importante, non fosse che per il numero
degli arresti, della quale i funzionari presenti durante l’irruzione, come
Francesco Gratteri, allora capo del Servizio Centrale Operativo,
rivendicarono - davanti alla Commissione d’inchiesta del Parlamento - la
responsabilità.
Molte delle prove false miravano a dimostrare la «resistenza» dei
manifestanti alle forze dell’ordine durante l’irruzione. Scorrendo le 21
pagine dell’atto di chiusura indagini, ci si accorge che erano state
classificate come «armi» in possesso dei no global anche le aste che
sostengono il dorso degli zaini da viaggio. E quella «resistenza» fu usata
per giustificare la violenza da parte della polizia, 87 feriti, alcuni dei
quali in modo grave. E che - a leggere i referti - quella notte vi furono
soprattutto calci, tanti calci. Botte, scrissero i medici, mirate
soprattutto alla testa e alle braccia «posizionate in atteggiamento di
difesa».
Le parole del ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu («La polizia italiana è
sana») sono state ben accolte negli uffici dei giudici genovesi.
L’inchiesta - sostengono tutti - riguarda soltanto l’accertamento dei fatti
di quella notte. «Proprio per questo - conclude Enrico Zucca - credo che
siamo tutti sufficientemente sereni per accettare la possibilità che in
quella operazione ci siano stati dei reati commessi da gente in divisa. E le
persone dentro alla scuola Diaz che sostengono di aver visto all’opera una
polizia "diversa" hanno il diritto di sapere come e perché certe cose sono
avvenute».
Marco Imarisio