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Sulla manifestazione per Cuba

Publie le martedì 1 luglio 2003 par Open-Publishing

Abbiamo ricevuto da un giovane comunista di Napoli un’informazione e un commento ("dall’interno")
sulla manifestazione per Cuba del 28 giugno a Roma, che concordano con altre valutazioni, anche
più severe, che ci sono state espresse da altri compagni che hanno partecipato.
Ci sembra interessante, quindi, mettere il testo in circolazione, con alcune precisazioni: 1)
sulla questione degli omosessuali, su cui è intervenuta anche Liberazione con un intervento di Titti
De Simone e Nichi Vendola nell’insieme condivisibile, crediamo ci si riferisca soprattutto agli
atteggiamenti sbagliatissimi del passato, mentre ora (dopo "Fragola e cioccolato") nel complesso ci
sembra esagerato parlare di "gravi condizioni". 2) Quanto ai meccanismi elettorali, invece, non si
può negare che permangano i criteri ereditati dal modello sovietico, e la "partecipazione delle
masse" è meccanica, e assicurata da vari elementi di pressione per impedire l’unica forma di
dissenso possibile in un sistema a candidato unico, cioè la non partecipazione al voto (il "reato" dei
dissidenti condannati è aver criticato questo meccanismo). 3) Effettivamente la funzione dei
sindacati rimane nulla anche di fronte ad aziende miste gestite da capitalisti stranieri (in questo caso,
il modello è quello non più dell’URSS, ma della Cina, a cui guardano oggi molti dirigenti cubani).
4) Quanto ai criteri di mancata trasparenza con cui periodicamente - anche in tempi recentissimi -
vengono sostituiti bruscamente alcuni dei massimi dirigenti, non c’è dubbio che così si lasciano
all’oscuro i cubani e anche i sostenitori di Cuba all’estero sui dibattiti, probabilmente molto
vivaci, che si sviluppano in seno al gruppo dirigente del PCC.

Condividiamo anche le considerazioni di Antonello sull’area di "nostalgici" che frena la
rifondazione, anche se probabilmente non tutto può essere addebitato all’eredità diretta del togliattismo:
non pochi dei "giustificazionisti" vengono da altre esperienze: ad esempio Grimaldi da "Lotta
Continua" e Burgio da DP! Ma su questo problema sarà bene ritornare.

In ogni caso si può concludere che i promotori, indicendo una manifestazione con questa
impostazione (e mettendo al bando ogni possibile critica), hanno reso un pessimo servizio a Cuba. (a.m.)

P. S.: Abbiamo già scritto molto in BaRoNews sull’ultima fase della politica cubana, e non
vogliamo aggiungere altri commenti. Segnaliamo tuttavia che nel prossimo numero di "Guerre e pace" uscirà
un articolo di Antonio Moscato di messa a punto sulla situazione dopo le ultime vicende
(manifestazioni alle ambasciate e dinamica di rottura con l’intera UE). Non sarà spedito a tutti gli
iscritti alla lista di BaRoNews, ma chi non fosse abbonato a "Guerre e pace" o comunque volesse conoscere
subito questo articolo può richiedercelo.
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Non si può certo dire che la manifestazione "Difendiamo Cuba" sia stata un successo, non solo per
la scarsa partecipazione (2000 circa i presenti) ma anche per il clima generale espresso dagli
interventi dal palco (con alcune lodevoli eccezioni) e della reazione del pubblico ad un paio di
essi.
In una afosa giornata romana, il colpo d’occhio offerto da P.zza Farnese è deludente: al di là
della normale affluenza di turisti intenti con aria indifferente a sorseggiare bevande ghiacciate
seduti ai tavolini dei numerosi bar della piazza, di fronte al palco allestito la mattina dagli
organizzatori si dispone ordinatamente una piccola folla eterogenea per età, genere, composizione
sociale e appartenenza politica. La classica immagine del volto del Che che campeggia alla destra del
palco sembra osservare pensosamente l’emiciclo della piazza chiuso in fondo da una serie di stand
di varie associazioni di solidarietà con l’isola caraibica. Tra queste la Villetta e Italia-Cuba le
più conosciute. Notiamo la presenza dei Comunisti Italiani, i cui striscioni sono disposti a un
lato della piazza e le cui bandiere coprono la consistenza numerica reale dei loro militanti, del
PRC ( ci sono anche Fausto Bertinotti ma solo per un po’, Gennaro Migliore e Giovanni Russo Spena
che parleranno dal palco),dei Verdi con Paolo Cento e di altri piccoli gruppi organizzati di vari
orientamenti politici.
Già dai primi interventi si percepisce l’aria che tira, e non è buona. La maggior parte degli
oratori insiste sulla (reale) strategia di destabilizzazione statunitense nei confronti dell’isola,
utilizzando però questa chiave interpretativa come elemento di giustificazione delle recenti
condanne a morte e della stretta repressiva ad opera del governo cubano. Si susseguono membri di
Italia-Cuba, della Villetta, esponenti dei partiti e religiosi (Giulio Girardi), direttori di riviste e
giornali di sinistra. L’unico punto comune di accordo tra i vari interventi, su cui è stata
formulata la piattaforma dell’iniziativa, peraltro apologetica nel suo impianto finale, è la richiesta del
rispetto dell’autodeterminazione di Cuba e del suo popolo e il rigetto della aggressiva strategia
nordamericana di dominio mondiale che si esprime anche nell’annichilimento dei popoli e delle
diversità che dimostrano che un altro mondo è davvero possibile. Cuba ha rappresentato storicamente e
rappresenta tuttora, anche per l’originalità della sua rivoluzione, una speranza concreta di
liberazione dall’oppressione coloniale per i popoli latino-americani e la possibilità di resistenza
contro il bulldozer statunitense. Vengono sottolineate le conquiste sociali di Cuba nel campo della
sanità, dell’istruzione, delle energie alternative, tutte verità indiscutibili, ma brandite come
una clava nei confronti di chi ha più di un dubbio su quello che succede attualmente nell’isola. E’
superfluo ogni commento sugli interventi pietosi di gente come Grimaldi, tutti fatti di paranoia
dietrologica, giustificazionista e apologetica, o di analoghi fatti da appartenenti all’area de
"L’ernesto" (Fosco Giannini) o da Oliviero Diliberto.
Di altro spessore quelli di Gennaro Migliore e di Giovanni Russo Spena: entrambi sottolineano la
necessità della solidarietà verso l’esperienza cubana contro i piani degli USA, le caratteristiche
che fanno di Cuba una realtà per certi versi unica e soprattutto il valore della resistenza del
suo popolo, raccontando anche esperienze importanti vissute sull’isola. Ma non è tutto: diversamente
dalla maggioranza degli oratori questi compagni sottolineano con coraggio il profondo dissenso
sulle ultime scelte del governo cubano, l’imprescindibilità della critica fraterna ma ferma nei
confronti di elementi fortemente negativi per lo sviluppo della rivoluzione nell’isola. Partono i primi
fischi, seguiti0da commenti malevoli urlati a squarciagola. Non è un bello spettacolo e
soprattutto rende la cifra degli umori prevalenti nella piazza, una piazza dominata dal Pdci, da nostalgici,
apologeti e giustificazionisti ad oltranza.
Per parte nostra vorremmo stimolare solo qualche riflessione all’attenzione delle compagne e dei
compagni sullo stato all’interno del partito e su elementi imprescindibili della rifondazione
comunista nel nostro paese, riflessioni nate dalla visione di uno spettacolo per molti versi avvilente
ma illuminante su certe questioni di primaria importanza.
Nel PRC esiste un ampio settore permeato di mentalità giustificazionista, condita da nostalgia del
"socialismo reale" e "identitarismo". Ciò costituisce uno dei nodi irrisolti della rifondazione
comunista che affondano le radici nell’humus culturale del vecchio PCI togliattiano e che ne hanno
determinato, venendo meno il riferimento internazionale, il decadimento e la trasformazione in
partito social-liberista. Coloro che non sono passati dall’altra parte della barricata hanno però
riproposto la visione teorica generale del togliattismo in un periodo di profonda crisi delle istanze
di liberazione sociale e del pensiero trasformatore e marxista, determinando così un’incapacità di
fondo nella comprensione non solo delle dinamiche sociali del capitalismo attuale ma anche della
storia del movimento operaio e dei suoi partiti più rappresentativi in Italia e internazionalmente.
L’obsolescenza di questo approccio è palese anche in rapporto alla questione cubana e riguarda
direttamente la concezione generale del socialismo, del bilancio delle esperienze otto e
novecentesche di creazione di una società socialista ( la Comune di Parigi, ancora troppo poco conosciuta a
livello di massa e tra gli stessi militanti, i primi anni della Rivoluzione d’Ottobre, la
Rivoluzione Spagnola) così come dello studio approfondito dei fenomeni di burocratizzazione delle società di
transizione, e del socialismo che vogliamo costruire.
Quando Gennaro Migliore ha espresso chiaramente la posizione del PRC sulle condanne a morte e
sulle incarcerazioni a Cuba, al di là dei fischi quello che ha destato profonda preoccupazione in chi
scrive è stata una frase urlata da un manifestante, con ingenuo candore: "Ma Cuba è socialista!!!"
Eloquente: se Cuba è socialista, allora tutto è permesso, quello che il suo governo fa è
giustificato a priori, la critica è sinonimo di "oggettiva connivenza con la controrivoluzione". Come si
vede la visione stalinista del mondo è ancora radicata in una grossa fetta del "popolo della
sinistra" nel nostro paese e nel nostro partito. A volte assume una valenza fortemente psicologica e
allora le resistenze al cambiamento si fanno più tenaci. Non si può sottovalutare la presenza di
queste forze anche in seno al partito; si avverte dunque il bisogno di una grande battaglia delle idee
all’interno del PRC, una ricerca teorico-storica a tutto campo che coinvolga davvero tutto il
corpo militante, perché ci troviamo davvero ad un bivio dirimente per il futuro di un partito
comunista organizzato in Italia: o regressione teorico-pratica-culturale e conseguente irrilevanza ai fini
della trasformazione sociale, o innovazione nella ricerca della via verso la rivoluzione (o
meglio, delle rivoluzioni).
La seconda questione è connessa più strettamente a Cuba, oggi ma apre anche uno sbocco di
riflessione più generale: come si aiuta veramente la Rivoluzione Cubana e qual è il socialismo che
vogliamo costruire? A prima vista, ma solo superficialmente, non sembrerebbero due problemi direttamente
legati.
Cuba non si aiuta tacendo i suoi errori bensì criticando all’occorrenza le posizioni dannose per
l’evoluzione della Rivoluzione, ma sempre da un punto di vista socialista, da sinistra. Se il
paragone non è troppo azzardato, si ricorderà la posizione di Trotsky nei confronti dell’Urss
staliniana alla vigilia della II guerra mondiale: difesa dell’Urss contro l’aggressione imperialista, ma
contemporaneamente strenua lotta contro la burocrazia sovietica e i suoi crimini, che il grande
rivoluzionario denunciò implacabilmente.
Coloro che credono di difendere Cuba giustificando sempre e comunque tutto quello che fa, in
realtà la danneggiano nel modo più grave. E’ un problema di metodo e cultura politica. Lasciando ad
altre sedi la discussione approfondita sulle caratteristiche della burocrazia cubana, è pur doveroso
dire qual è la direttrice della nostra critica. Essa parte dalla concezione generale che abbiamo
del socialismo ed è a questa strettamente collegata: il socialismo rappresenta la più vasta
partecipazione delle masse popolari al governo della società attraverso gli organi istituzionali che
creano autoorganizzandosi democraticamente.
E’ quindi tensione permanente all’autogoverno politico e all’autogestione della produzione unita
alla lotta contro qualsiasi oppressione, di classe, politica, economica, culturale. Se è chiara
dunque la processualità di tale percorso dopo la rottura rivoluzionaria, lo sono anche i principi che
guidano una politica socialista: solidarietà, libertà, uguaglianza, internazionalismo, senza il
quale nessuna rivoluzione può vivere e svilupparsi sulle proprie basi, andando incontro a fenomeni
più o meno inevitabili di burocratizzazione ( e Cuba non fa eccezione ).
Come si possono tacere le gravi condizioni in cui versano gli/le omosessuali a Cuba? Come si può
tacere la mancanza di libertà sindacale? Come tacere la natura di un sistema elettorale che non
permette una reale partecipazione popolare?
Non neghiamo certo i successi di Cuba, cui abbiamo già accennato sopra, ma rifiutiamo che servano
da alibi alle deficienze del sistema. E, si badi bene, queste sono osservazioni che nascono
dall’individuazione di un percorso possibile di sviluppo della Rivoluzione in senso socialista, perciò
sono inaccostabili all’ipocrisia dell’imperialismo statunitense ed europeo. Il socialismo è tale
perché assicura le condizioni materiali di sviluppo della personalità di ciascuna e di ciascuno.
Contro il riduzionismo di un materialismo volgare e contro i miti identitari dobbiamo allora opporre,
a tutti i livelli, la lotta intransigente di chi è convinto che il socialismo sia inseparabile (
se non arbitrariamente e astrattamente ) dalla più piena democrazia, dalla libertà,
dall’uguaglianza.
Antonello Zecca, g.c. Napoli