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Terremoto, se lo Stato non risarcisce più i danni
par Francesca De Benedetti
Publie le lunedì 4 giugno 2012 par Francesca De Benedetti - Open-PublishingE’ senz’altro uno strano Paese quello in cui i fallimenti tutti umani del potere vengono convertiti, nel discorso pubblico, in cataclismi naturali, e di converso le disgrazie naturali diventano un problema a cui fa fronte ognuno per sé. Eppure questa è la contraddizione che gli ultimi avvenimenti mettono in evidenza. Sono mesi, quelli del 2012, in cui il terremoto del sistema capitalistico odierno viene narrato con il linguaggio della catastrofe, della inevitabilità, a cui rispondere con senso di sacrificio collettivo. E in cui viceversa le scosse telluriche della terra hanno il peso di una disgrazia a cui ognuno deve provvedere per sé.
Il terremoto che colpisce ormai cronicamente dal 20 maggio l’Emilia-Romagna allargandosi al Nord Italia ha gettato la luce su un provvedimento che altrimenti sarebbe passato pressocché sotto silenzio, e di cui tuttora si discute forse troppo poco. Si tratta del decreto legge 59/2012 del 15 maggio, un provvedimento approvato quindi in prima istanza dal governo Monti con motivazioni di necessità e urgenza e che dovrà essere convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni dalla pubblicazione per mantenere la propria efficacia. La necessità e l’urgenza consistono, se si legge il decreto, in una azione di riforma della Protezione civile. L’articolo 2 si intitola “Coperture assicurative su base volontaria contro i rischi di danni derivanti da calamità naturali” ed esordisce così: “Al fine di consentire l’avvio di un regime assicurativo per la copertura dei rischi derivanti da calamità naturali sui fabbricati, a qualunque uso destinati…”.
Da un estremo all’altro, se con la Protezione civile dell’epoca Berlusconi era stato allargato fino all’indefinizione il concetto di “grande evento”, trasformando persino gli eventi sportivi o religiosi in eventi a carico collettivo ed emergenziali, la Protezione civile nell’era Monti ci consegna un modo ribaltato di vivere l’emergenza. Il bene primario, la casa, deve essere assicurato in forma privata, abbandonando così quel ruolo storico dello Stato nel costruire una rete di solidarietà pubblica e politica in caso di disgrazia che colpisca una zona del Paese.
In realtà la continuità tra il vecchio e il nuovo non manca, e fa riflettere. Già nel 2003 infatti Silvio Berlusconi faceva pressing su Tremonti perché desse vita a un sistema assicurativo in caso di calamità naturali. “Non credo che l’Italia possa rimanere ancora uno dei pochi Paesi industriali in cui lo Stato si assuma l’onere di ripagare i danni prodotti dalle calamità naturali”, dichiarava all’epoca l’allora premier, a sua volta proprietario di compagnia assicurativa. E il nuovo premier Mario Monti deve pensarla evidentemente allo stesso modo, o comunque deve pensarla allo stesso modo la sua maggioranza politica. Sta di fatto che ad oggi questa è la strada imboccata: in caso di neve, le Regioni colpite hanno dovuto pagarsi l’aiuto dell’esercito o ancora dichiarare l’emergenza e così facendo imporre imposte sulla benzina ai loro cittadini. In caso di terremoto e di catastrofe naturale, anzi già prima che arrivi, i cittadini devono pagarsi l’assicurazione. Ognuno per sé. Almeno fino alla prossima catastrofe naturale dei mercati, in cui l’equità del sacrificio e il principio di solidarietà torneranno a regnare sovrani nel discorso pubblico.