Home > Tornando da Riva del Garda in treno...

Tornando da Riva del Garda in treno...

Publie le martedì 9 settembre 2003 par Open-Publishing

Premetto che nelle righe che seguono non c’é alcun intento di critica a
chi da un punto di vista prettamente logistico ha organizzato il
controvertice. Le critiche sono rivolte invece e con forza alle scelte
politiche e di "filosofia" di gestione del controvertice. Questo si.
Eccome. Vorrebbero essere uno spunto di discussione già per i primi
appuntamenti in gioco: Roma, Bologna, Parigi. Se vi va, buona lettura.

Tornando da Riva del Garda in treno mi sono finalmente rilassata dopo
tre giorni faticosi e anche un po’ tesi e ho anche finalmente trovato il
tempo di guardare e ripensare alle cose vissute negli ultimi giorni e
alle persone incontrate, di guardarmi dentro qualche minuto insomma, e
quello che ho visto dentro di me non mi é piaciuto per niente: mi sono
scoperta furente e più rileggevo la tre giorni di riva e più furente
diventavo e più furente diventavo più capivo che avevo ragione ad
esserlo perché chi é venuto a Riva ha subito e si é trovato in delle
situazioni assurde e che ogni tanto sembravano quasi delle angherie del
tutto ingiustificate.

La prima:

A Riva il livello delle conferenze, dei workshop, dei seminari era,
salvo qualche luminosa eccezione (e ripenso con gratitudine ad esempio
all’intervento di Paola Rudan del Tavolo Migranti di Bologna) di livello
vergognosamente basso, vago, generalista. Chi viene ai controvertici é
molto probabile che già sappia, ad esempio, che un cpt é un posto
orribile o che la costituzione europea è un?aberrazione,non ha bisogno
che glielo si ridica per ore, ha bisogno invece di informazioni
tecniche, utili, circostanziate, di analisi politiche che poi ognuno
possa elaborare per trovare nel quotidiano le proprie pratiche politiche
e per avere gli strumenti per poter spiegare le proprie ragioni anche
mentre parla con il vicino di casa o con la cassiera del supermercato.

Quello che é stato detto in molti incontri avrebbe potuto essere
riassunto in tre pagine fotocopiate con le informazioni di base da
potersi leggere prima dell’inizio dei seminari. Chi va in "cattedra" in
questi incontri dovrebbe cominciare ad avvertire la responsabilità del
suo ruolo in quel momento e capire che se ci va non é per fare
passerella, ma per condividere con i compagni, che non valgono né più né
meno di chi parla, cose veramente utili, veramente approfondite,
veramente "scelte" con oculatezza. Incontri di questo genere, per
capirci, dovrebbero essere dei master più che delle scuole elementari. E
dovrebbero infine essere occasioni per discutere collettivamente, ma
collettivamente davvero, le forme di lotta e soprattutto di divulgazione
di informazioni che altrimenti restano confinate ad ambiti
straordinariamente minoritari.

La seconda:

Mi é parso incredibile che benché da molti partecipanti venisse posta
l’esigenza di una giornata di mobilitazione di piazza per il venerdì
(mobilitazione non prevista da programma) non sia venuto in mente
all’organizzazione di prevedere un’assemblea straordinaria per discutere
la questione. L’assemblea c’é stata comunque, ma ha dovuto essere
autoconvocata da una parte dei compagni presenti: guarda caso però poi é
stata una delle assemblee più numerose e partecipate della tre giorni.

Chi organizza un controvertice come quello di Riva non può rimanere
immobile su un programma redatto a priori, ma rendersi sensibile alle
istanze che vengono dal basso e farsene carico per lo meno aprendo spazi
di discussione, non solo prendendo atto del fatto che qualcun altro se
li apre, e giustamente, con le proprie energie.

La terza:

La giornata di venerdì é stata caratterizzata anche dai blocchi stradali
e dalla presenza di parecchi compagni in piazza e nelle strade. Durante
il blocco cui ho partecipato i più infastiditi non sono stati i
cittadini di Riva che dovevano andare al lavoro o simili e che hanno
aspettato pazientemente che li si lasciasse poco a poco passare
ascoltando se non condividendo le nostre ragioni. I più arrabbiati sono
stati dei "compagni" che in stato di totale isteria ululavano che gli
facevamo perdere l’inizio delle conferenze!!!!

Che ci dicevano che non
avremmo dovuto bloccare quella strada perché pur essendo la strada che
dovevano percorrere i delegati era anche quella che portava alla Baltera
(e che importanza può avere fermare una delegazione rispetto a perdersi
una conferenza!!!)e che comunque loro avrebbero dovuto avere un
trattamento di favore! Mi chiedo: poiché dei blocchi si sapeva dal
giorno prima, perché queste persone non si sono mosse in anticipo? E
soprattutto : quale mondo desideriamo se la prima cosa con cui ci si
scontra é il disconoscimento e il non rispetto per le forme di lotta
altrui (per inciso forma di lotta assolutamente non violenta come un
semplice blocco)? Questa gente quando si trova uno sciopero dei treni se
la prende con gli scioperanti perché la fanno arrivare tardi a
destinazione? E vogliamo un mondo nuovo dove però valga la regola un po’
mafiosa per cui a un blocco gli estranei stanno fermi però "sai io vado
alla conferenza lasciami passare"? Ognuno ha le proprie ottime ragioni
per chiedere di non essere fermato (paradossalmente anche i delegati se
é per questo!), ma dai cosiddetti compagni, visto che in teoria dovremmo
avere un fine comune, mi aspetto, non dico partecipazione, ma perlomeno
solidarietà e rispetto.

La quarta:

Mi chiedo quale sia stato il senso del corteo campestre di sabato. Un
corteo per partecipare al quale moltissime persone si sono alzate
all’alba e che é iniziato nel mezzo del nulla ed é finito nel mezzo del
nulla compiendo un percorso interamente dispiegato nel mezzo del nulla.

Un corteo cui hanno assistito più susine e mele e campi coltivati che
cittadini di Riva (trecento persone incontrate lungo il percorso a dir
tanto). Un corteo in cui non abbiamo potuto comunicare le nostre ragioni
a nessuno perché sostanzialmente non abbiamo incontrato nessuno. Un
corteo che se lo facevamo su Marte era uguale o forse meglio: almeno ci
guardavano dal satellite. Un corteo in cui la comunicazione al mondo
esterno (e geograficamente lontanissimo) escluso il mediattivismo
fortunatamente presente è stata affidata interamente ai media
tradizionali, quegli stessi media che sappiamo sparano bestialità
continue sul movimento. Mi chiedo : é stato concesso solo quel percorso?

Non voglio nemmeno pensare che la risposta possa essere no e che quindi
quel percorso surreale sia stato scelto scientemente, ma, se la risposta
é si, la domanda seguente é: cosa lo abbiamo fatto a fare? Per guardarci
tra noi ?

La quinta:

Per i cittadini dei paesi coinvolti noi siamo stati semplicemente un
corpo estraneo. E per forza: nessun contatto con loro ci é stato
concesso, ma non solo dalla logica delle zone rosse del potere. La
negazione del contatto con Riva e Torbole e Arco ce la siamo cercata
anche da soli. Le conferenze si tenevano in un non-luogo enorme, deserto
dentro per i pochi partecipanti e deserto fuori per la dislocazione in
una zona industriale dove mancavano solo i cespugli secchi che rotolano
al vento per essere in un desolato far west. Il camping che non era un
camping ma un qualsiasi prato stava in un altro non-luogo imbucato su
per una collina dove gli unici esseri umani trentini erano il gestore e
le cameriere del bar (e meno male che c’era, il bar, caro come il fuoco
ma c’era, perché invece di bar e luoghi di ristoro di movimento al
campeggio manco l’ombra).

I parcheggi anch’essi dislocati a chilometri
dall’uno e dall’altro non-luogo. Tutte queste tappe collegate
esclusivamente da bus navetta. Risultato: i paesi in cui stavamo li
abbiamo visti solo da dietro i finestrini e cosa ancor più grave le
popolazioni locali ci hanno visti solo dietro i finestrini. Ci hanno
conosciuti solo come pendolari in perenne nevrotico movimento e come i
teppisti, terroristi, folli raccontati in malafede dalle pagine
dell’Adige che non ti dico che splendida e valente pubblicazione é... Mi
chiedo di nuovo qualcosa: posto che il controvertice era stato pensato
come una cosa completamente altra rispetto al vertice, come qualcosa che
non avrebbe superato i confini delle proprie riflessioni, conferenze,
cortei campestri, qualcosa che non avrebbe cercato di disturbare il
vertice dei ministri ma solo proposto una discussione sui medesimi temi,
allora perché farlo a Riva con i mille problemi di cui sopra? perché non
é stato fatto comodamente, che so, a Trento???? e se invece la
dislocazione di Riva aveva un senso perché la vicinanza geografica
doveva favorire il disturbo perché prevedere solo conferenze e un corteo
finale totalmente demenziale sia nella tempistica (vertice finito) che
nel percorso???

Noi siamo stati un corpo estraneo non solo con i
cittadini del posto coi quali non abbiamo potuto parlare, ai quali non
abbiamo potuto mostrare le nostre facce e la nostra umanità e normalità
che forse li avrebbe convinti più di mille parole che non siamo, e non
lo siamo davvero, i mostri che descrive l’Adige, ma persone; siamo stati
corpi estranei anche per noi stessi e con noi stessi. ci siamo scissi in
tre, quattro parti a seconda dei luoghi, dove dormo, dove discuto, dove
manifesto e in mezzo l’onnipresente tempo morto della navetta. E? stato
ricreato un meccanismo da banlieu per cui il posto dove lavoro o studio
(in questo caso discuto e cerco di imparare qualcosa) è totalmente altro
rispetto a dove dormo e in mezzo prendo l’autobus o la macchina: questo
meccanismo non solo non ha favorito, ma ha fatto completamente fallire
quello che in queste occasioni diventa un valore aggiunto importante: la
dimensione comunitaria per cui conosco, discuto, frequento, mi confronto
non solo con le persone e le situazioni da cui provengo ma anche altre,
nuove, diverse da cui posso imparare e a cui posso insegnare.

La
sensazione é stata quella di due zone rosse diverse e contrapposte
certo, ma poi alla fin fine uguali: quella del potere e la nostra,
entrambe basate sulla preservazione di sé, della propria inarrivabile
integrità, del proprio corpo, dei propri penosi, inutili, sterili
rituali deprimenti, su un’autoghettizzazione rassicurante e pelosa e
normalizzante. E invece quello che ci rende veramente diversi
dall’Impero non é il dire cose più belle, giuste, buone, é la voglia di
contaminare e contaminarsi, é l’energia di spiegare le nostre ragioni a
chi non ci ha mai incontrato, é la capacità di comunicare con gli altri.
A parte la postazione di Global e la presenza in piazza di Lilliput noi
per Riva, se non ci fosse stata la giornata di disobbedienza di venerdì,
non saremmo esistiti e non prevedere questo significa essere miopi in
modo drammatico.

Diciamocelo: per chi é un militante il controvertice é stato una
delusione che necessita di parecchia buona volontà per essere superata,
chi é venuto per la prima volta ad un appuntamento del genere deve avere
una dose di masochismo molto elevata per tornarci la prossima volta, chi
non ci é venuto e se lo fa raccontare non ci verrà mai. Giorni come
questi servono esclusivamente a sprecare forze ed energie e a perdere
consensi perché se é vero come sosteneva Lilliput nella conferenza sulle
forme di lotta dopo Cancun (una delle pochissime interessanti e non del
tutto soporifere) che bisogna dare spazio alle forme di lotta più
condivisibili per ottenere il consenso é anche vero che il consenso si
ottiene anche dando stimoli culturali e politici, altrimenti rischia di
essere un consenso superficiale e volatile.

Ed é proprio perché credo
con convinzione nella forza e nelle potenzialità del movimento che ho
scritto questa critica che mi rendo conto é piuttosto pesante.Ll’ho
scritta perché ritengo che questo sia un periodo delicato e difficile e
che promette nei prossimi mesi e nei prossimi anni di essere ancora più
difficile e
ritengo che noi oggi non ci si possa permettere di fare errori così
grossolani: dobbiamo evolverci per non perderc,i perché altrimenti
rischiamo di lasciare indietro pezzi di noi che non riprenderemo, che ci
assottigliano e che ci mettono a rischio di estinzione proprio nel
periodo più decisivo per tanti argomenti fondamentali quale, uno per
tutti, la costituzione europea. E questo, mi auguro, non lo desidera
nessuno.