Home > Torture, un dossier mette nei guai anche Bush

Torture, un dossier mette nei guai anche Bush

Publie le giovedì 20 maggio 2004 par Open-Publishing

di Bruno Marolo

A Washington si sente odore di sangue. Potrebbe cadere qualche testa nel governo americano, alle
prese con lo scandalo dei prigionieri torturati. Il padre di Nicholas Berg, l’ostaggio decapitato
da Al Qaeda, ha chiesto le dimissioni del ministro della Difesa Donald Rumsfeld. I senatori della
commissione per le forze armate respingono il tentativo della Casa Bianca e del Pentagono di
scaricare la responsabilità su pochi soldati e sulla donna generale della riserva che comandava la loro
brigata.

Ogni giorno nuove rivelazioni confermano che la decisioni venivano prese molto più in
alto. Non soltanto il ministro Rumsfeld, ma lo stesso presidente George Bush approvarono le
violazioni della convenzione di Ginevra. L’avvocato della Casa Bianca, Alberto Gonzales, fornì la base
legale con un memorandum che oggi ricade sulla teste del governo americano come i missili imperfetti
delle guerre stellari. Nel gennaio 2002, il giurista di Bush decise che la natura stessa della
guerra al terrorismo «rende obsoleti i limiti imposti dalla Convenzione di Ginevra per
l’interrogatorio dei prigionieri».

Michael Berg, il padre di Nicholas, si è rivolto alla radio israeliana per lanciare accuse che gli
organi di informazione americani preferiscono ignorare. «Considero - ha detto - il ministero della
difesa, l’Fbi, il governo Bush e il ministro Rumsfeld in particolare responsabili della morte di
mio figlio. Credo che le dimissioni del ministro sarebbero appropriate». Gli assassini di Nicholas
Berg hanno sostenuto di aver proposto invano agli americani uno scambio di prigionieri.
L’uccisione dell’ostaggio è stata messa in rapporto con le torture degli iracheni in carcere. «Quella gente
 ha sostenuto Michael Berg - non aveva nulla contro mio figlio. Lo ha ucciso per rappresaglia
contro ciò che gli Stati Uniti stanno facendo in quella parte del mondo».

Bush ha difeso il ministro della Difesa, ma le richieste di dimissioni diventano sempre più
insistenti. Tim Russert, l’informato commentatore della Nbc, si dice sicuro che nessuno sarà silurato
prima del viaggio del presidente in Italia e in Francia e il vertice del G8 negli Stati Uniti. Bush
non vuole ammettere la gravità della crisi mentre discute il futuro dell’Iraq con gli altri capi
di governo dei paesi industrializzati. Se dopo queste scadenze lo scandalo si allargasse ancora la
pressione potrebbe diventare insostenibile. Fonti della Casa Bianca confermano che l’ipotesi di un
sacrificio umano per placare il furore internazionale è stata presa in considerazione, lungo una
catena di comando che porta al sottosegretario responsabile dei servizi segreti Stephen Cambone e
sopra di lui al ministro Rumsfeld. L’ultimo anello della catena tuttavia è il presidente Bush in
persona, e gli sarebbe difficile scaricare i sottoposti senza essere coinvolto nella caduta.

Il Pentagono ha smentito con veemenza le rivelazioni del settimanale New Yorker, secondo il quale
Rumsfeld avrebbe approvato un programma segreto per strappare informazioni ai prigionieri con la
tortura. La Casa Bianca, invece, non ha potuto smentire l’esistenza del memorandum del consigliere
giuridico di Bush. Il settimanale Newsweek, che è arrivato ieri nelle edicole americane, se ne è
procurato una copia. Il portavoce Allen Abney ha dovuto nascondere il suo imbarazzo con una
dichiarazione sibillina: «Siamo una nazione in guerra, e siamo una nazione che rispetta le leggi».

Secondo Newsweek, il segretario di stato Colin Powell "saltò fino al tetto per l’indignazione"
quando gli fu sottoposto il memorandum che dichiarava "obsoleta" la Convenzione di Ginevra. Ma Bush
ignorò le sue rimostranze. Nel 2002 firmò una direttiva riservata che autorizzava la Cia ad
allestire carceri segrete fuori dagli Usa per interrogare i nemici catturati. Il presidente assicurava
l’immunità non soltanto agli agenti dello spionaggio ma anche ai privati assunti da loro. Nel 2003
il ministro Rumsfeld, alle prese con la rivolta in Iraq, ordinò al sottosegretario Cambone di
mandare a Baghdad il generale Miller, comandante del campo di Guantanamo, per fare in modo che gli
interrogatori dei prigionieri iracheni dessero gli stessi risultati ottenuti da Miller con i Talebani.
Colin Powell, che ormai nell’amministrazione Bush è un corpo estraneo e non ha più niente da
perdere, ha dichiarato: «Da parte mia ho sempre detto che gli accordi di Ginevra dovevano essere
rispettati». Per la prima volta ha ammesso di avere ricevuto dai servizi segreti informazioni
«deliberatamente fuorviati» sull’esistenza di armi di sterminio in Iraq.

Di fronte alle richieste di una punizione esemplare, il Pentagono ha preso in considerazione
l’idea di incriminare per omicidio il consulente privato che ha ammazzato di botte un prigioniero ad
Abu Ghraib ed è tuttora in libertà. Ma la commissione del Senato vuole fare luce sulle
responsabilità politiche. Hillary Clinton, membro della commissione, ha spiegato: «Se pensassi che le
dimissioni del ministro Rumsfeld servissero a cambiare la direzione su cui è avviato il governo in Iraq,
forse le chiederei. Ma il mio problema va molto oltre gli abusi commessi dai militari. Credo che ai
livelli più alti del governo di George Bush gli errori di giudizio siano una costante, che si
aggiunge all’incompetenza e alla mancanza di credibilità. È chiaro che questo presidente non può
chiedere né a Rumsfeld, né ad alcun ministro, di rispondere dei propri errori».

http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=34609