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Un atto di genocidio

Publie le giovedì 2 ottobre 2003 par Open-Publishing

Un atto di genocidio

Ricordando Sabra e Shatila

Le cataste di cadaveri gonfi e l’odore asfissiante della carne in
decomposizione sono ricordi ancora vividi nella mente di Mahir al-Srour.
Era il 16 settembre del 1982 nei campi profughi palestinesi di Sabra
e Shatila, a Beirut, ed il rumore degli spari echeggiava in tutta l’area,
densamente abitata ed impoverita.

Una spessa nube di inquietudine aleggiava sulla parte ovest di Beirut,
occupata da Israele. Due giorni prima, il leader della Falange e presidente
libanese Bashir Gemayel era stato assassinato, dopo solo tre settimane
dall’insediamento.

La milizia, alleata di Israele, accusò i palestinesi dell’assassinio.
Mentre il suono delle armi diveniva sempre più insistente, il padre di
Mahir gli disse di andare a casa di un vicino. Mahir, che aveva all’epoca 15
anni, ricorda di essersi allontanato nella notte con sua sorella Su’ad,
allora 18enne. L’elettricità era stata tagliata dopo il violento
bombardamento israeliano su Beirut ovest.
"Arrivammo a casa di Abu Yasser, che aveva il rifugio più spazioso di tutto
il vicinato", dice Mahir. Fuori, file di uomini fiancheggiavano le strade.
"Pensavamo che dormissero. Era normale che qualcuno dormisse fuori, perché
il rifugio doveva essere troppo affollato". Invece esso era vuoto. "Allora
mia sorella urlò: Corri, sono tutti morti!".

Mentre i fari israeliani illuminavano il cielo, Mahir guardò i corpi in
strada, e capì che tutti i suoi vicini erano stati assassinati.
E questo e’ solo uno dei suoi ricordi della carneficina durata tre giorni.
Per 62 ore, i membri della Falange imperversarono in un’orgia di stupri ed
omicidi, massacrando donne, bambini e vecchi - il tutto sotto lo sguardo
vigile di Ariel Sharon, 200 metri più in là, posizionato sul tetto
dell’ambasciata del Kuwait.

Sharon, all’epoca ministro della Difesa, era responsabile globale delle
forze d’occupazione ed aveva il compito, secondo le Convenzioni di Ginevra,
di proteggere i civili.
Secondo storici e giornalisti, la decisione di inviare i falangisti a
"ripulire" i campi, secondo l’eufemismo usato da Sharon, fu presa due giorni
prima che Gemayel fosse assassinato. Un giorno prima che avesse inizio
l’eccidio, l’esercito israeliano circondò completamente il campo,
costringendo i civili in fuga a farvi ritorno.

Tutti questi andavano incontro alla loro morte.
Secondo le investigazioni dopo il massacro, molti cadaveri erano stati
mutilati e sventrati, prima o dopo la morte.
I giornalisti arrivati per primi sulla scena, trovarono prove evidenti di
esecuzioni sommarie di centinaia di giovani.
Moris Draper, l’inviato speciale USA in Medioriente all’epoca, disse di aver
inviato un cablogramma a Sharon subito dopo l’inizio delle uccisioni,
dicendogli:
"Deve fermare il massacro ... LA situazione e’ assolutamente orribile.

Stanno uccidendo bambini. Il campo e’ sotto il suo completo controllo e
dunque lei e’ completamente responsabile in quell’area".
Gli uomini della milizia batterono violentemente alla porta di Mahir
all’alba del 17, dopo aver visto un vicino sul tetto. Suo padre aprì la
porta dopo che fu lanciata una bomba a mano contro la casa.
Armati e coperti di sangue, i falangisti guardarono la famiglia
terrorizzata.

"Un uomo disse all’altro: Non li hai ancora sparati? Ecco come si spara", e
cominciò a sparare", dice Mahir nel tono fermo di chi ha rivisitato quella
scena con la memoria molte volte.
Dal suo nascondiglio in bagno, Mahir vide i suoi familiari cadere l’uno dopo
l’altro. In un inferno di urla, i miliziani uccisero suo padre ed i suoi
fratelli: Bassam, di 13 anni, Farid, di 6, Shadi, di 4 e Shadia, di un anno
e mezzo. "Shadia cercò di strisciare verso di me. Mi aveva intravisto, e
piangeva gridando "dada". Quando videro che si muoveva ancora, la spararono
in testa. Vidi il suo cervello esplodere", narra con voce spenta. La bimba
si accasciò tra il cadavere di suo padre e il corpo di sua madre, ferita ma
non morta.

"Volevo aiutarla ed il falangista la uccise. Non potei fare nulla", continua
dopo una pausa. "Non dimenticherò mai questa sensazione".
Il numero esatto delle vittime non sarà mai conosciuto. La Commissione
Internazionale della Croce Rossa inizialmente contò 1500 cadaveri, ma il 22
settembre la conta aveva raggiunto i 2400. Il giorno successivo, furono
scoperti altri 350 corpi, portando il numero totale a 2750.
Comunque, questa cifra non include i dispersi, seppelliti in fosse comuni o
portati via dai miliziani, per non essere più ritrovati.

Il 16 dicembre 1982, l’Assemblea Generale dell’ONU condannò il massacro, e
lo definì "un atto di genocidio".
Nel 1983, una commissione d’inchiesta israeliana composta da tre membri
[Commissione Kahan] dichiarò Sharon ed altri ufficiali israeliani
"personalmente responsabili" dell’eccidio. Sharon si dimise dal governo, per
diventare Primo Ministro d’Israele nel 2001.
La sorella di Mahir, Su’ad, fu gravemente ferita alle gambe e fu impossibile
per lei scappare dalla casa dopo l’uscita dei miliziani. Mahir e suo
fratello Ismail, che si era rifugiato in bagno con lui, insieme alla madre
ferita, uscirono in cerca di un’ambulanza. Per tre giorni, Su’ad giacque tra
i corpi in decomposizione dei suoi familiari. Durante quel periodo fu
violentata almeno una volta dai miliziani.

Su’ad e’ una dei 23 sopravvissuti che hanno portato il caso Sharon di fronte
ad un tribunale belga, grazie alla legge di giurisdizione universale per
atti di genocidio e crimini contro l’umanità vigente nel paese europeo.
Secondo tale legge, i tribunali belgi possono processare chiunque sia
sospettato di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio,
dovunque l’incidente sia avvenuto e qualunque sia la nazionalità
dell’accusato.

A causa, però, delle intense pressioni americane ed israeliane, la legge e’
stata rettificata, sicché ora sarà compito di un giudice decidere quali casi
sono di sua competenza.
Il primo ministro israeliano, responsabile di quello che e’ stato descritto
come "uno dei crimini più efferati del 20esimo secolo" non e’ mai stato
punito.

Mahir crede che gli sforzi di sua sorella siano vani, perché "lei non ha né
soldi, né potere, ed il mondo ruota attorno ai soldi ed al potere".
Cade poi in un breve silenzio, ricordando i volti delle migliaia di uccisi.
"A volte sento che voglio parlarne. A volte credo che sia inutile. Nessuno
vuole ascoltare".

traduzione a cura di www.arabcomint.com
da al-jazeera TV