Home > Un regista occulto che conosce l’Italia
A proposito della recente richiesta da parte dei rapitori degli ostaggi italiani in Iraq (cioe’, organizzare una grande manifestazione contro la guerra e in sostegno della resistenza irachena). Davanzo suggerisce una teoria interessante, senz apero’ spingersi fino in fondo come, magari, dovrebe
Per voi.
di GIUSEPPE D’AVANZO, da La Repubblica del 27-04-04
SONO vivi. Sono prigionieri in un luogo più decente di quello che faceva da sfondo al primo video inviato ad Al Jazeera (le pareti sono imbiancate; hanno riso e carne a disposizione; si ode il gorgheggio di un uccello). Già sono due buone cose. La terza è addirittura migliore: i sequestratori vogliono trattare. Chiedono al governo di Roma di farsi avanti. Hanno fretta. Vogliono chiudere subito la partita con la liberazione degli ostaggi. Apparentemente le "frasi chiave" del comunicato spedito ad Al Arabiya sono nella richiesta di isolare nelle piazze il governo; nell’ultimatum di 120 ore; nella minaccia di morte.
Agli analisti della nostra intelligence quel che salta agli occhi è altro.
1. Nel gruppo dei sequestratori c’è un arabo, forse un iracheno, che ha vissuto in Italia. "Non sono così sprovveduti da imporre un appello a Salvatore Stefio senza poter controllare il significato delle sue parole. Se lo hanno fatto, se glielo hanno fatto fare, c’era di fronte a Stefio chi conosce l’italiano così bene da poter controllare quel che andava dicendo".
2. La richiesta politica di oggi - "dimostrare favore alla causa irachena con una grande manifestazione che percorra tutte le strade della vostra Capitale" - "non vuol dire nulla - dicono gli analisti del governo - è una richiesta che non ha alcun senso".
E’ utile cominciare da qui, allora, dallo scarto tra il primo comunicato video trasmesso da Al Jazeera (13 aprile, Fabrizio Quattrocchi era ancora tra gli ostaggi) e la richiesta diffusa, ieri, da Al Arabiya. Il primo ricatto era di forte significato politico. Ricordiamolo: "Scuse del governo italiano, per bocca del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, all’Islam e ai musulmani per aver appoggiato l’occupazione; il ritiro delle truppe italiane dall’Iraq; il rilascio dei detenuti iracheni, tra cui alcuni imam; negoziati diretti". Erano richieste che non lasciavano molti margini di manovra perché ipotizzavano una inversione della scelte politiche dell’esecutivo, impossibile da accettare o subire.
Il ricatto di ieri ha un altro, più esile spessore politico e soprattutto altri interlocutori. Non si rivolge al governo, ma al popolo italiano. Non si rivolge alla maggioranza che sostiene il governo, ma ai partiti e alle organizzazioni che sostengono l’opposizione. E’ un messaggio che pretende di isolare nel nostro Paese il governo tenendo un mitra appoggiato sulla tempia dei tre ostaggi. E’ la conferma che dietro questo sequestro c’è un regista "italiano", un arabo che conosce bene la situazione politica italiana, che si tiene informato su quanto bolle nella pentola di casa nostra.
Concorda con questa prima conclusione degli analisti di Palazzo Chigi lo scrittore iracheno Younis Tawfik. Che osserva: "Non vedo nel video alcuna simbologia religiosa, neppure quelle poche tracce di termini islamici che ricorrevano nel primo video. Semmai mi pare che con i rapitori ci sia qualcuno che conosce bene la realtà italiana. Un suggeritore". Un servizio segreto? "Non ne dubito personalmente. La mia impressione è che gli ostaggi siano più importanti di quanto li immaginiamo e la loro vicenda potrebbe intrecciarsi alla politica sotterranea di un soggetto non iracheno, forse un Paese dell’area".
Sia o non sia all’opera un servizio segreto di "un Paese dell’area" o un ex funzionario del Muhabarat (il servizio segreto di Saddam) già indicato dal Sismi come uno dei "canali" della mediazione, il calcolo politico del "suggeritore" si è dimostrato (apparentemente) avventato.
In Italia non c’è stata settimana, nell’ultimo anno, che non abbia visto sfilare, nelle strade di grandi e piccole città, manifestanti che chiedevano "la pace e il ritiro delle truppe italiane dall’Iraq". Per stare alla fonti ufficiali. Soltanto dal 20 marzo al 2 aprile dello scorso anno, cioè nelle prime settimane delle operazioni in Iraq, furono contate in Italia 516 manifestazioni a favore della pace, 289 cortei, 177 presidi, 21 fiaccolate, 20 sit-in, 18 assemblee, 15 blocchi ferroviari e 5 blocchi stradali. Sei sono state in quest’anno le grandi manifestazioni nazionali che hanno attraversato la Capitale.
E tuttavia, di fronte al ricatto dei terroristi, non c’è stato nessuno nell’opposizione o nell’opinione pubblica organizzata che si è detto disponibile a subire il ricatto dei sequestratori. Non era questo, non poteva essere questo, l’obiettivo del messaggio, dunque.
Per Palazzo Chigi, il senso del comunicato è nel breve passaggio che precede le richieste là dove si legge: "Berlusconi non ha preso nessuna iniziativa per cercare di liberarli". E’ una rumorosa smentita dell’ottimismo mostrato del presidente del Consiglio e del governo nei giorni scorsi. Quell’ottimismo trovava la sua ragione nelle assicurazioni di un "mediatore" che si è dimostrato inaffidabile. Un mediatore che non ha rispettato gli impegni o non ha potuto rispettarli perché la banda degli assassini di Fabrizio Quattrocchi, che ha "trasferito" gli ostaggi a Bagdad, ha alzato ancora il prezzo o (seconda ipotesi) li ha ceduti a un’altra banda, meno attenta ai canoni del fondamentalismo religioso (nessuna simbologia), meno nazionalista (non chiede il ritiro delle truppe). Più concreta nel chiedere che il governo di Roma si faccia avanti perché "l’affare" si può presto concludere. Ma il "prezzo" dell’affare è soltanto economico?