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Vladimir Ilic Ulianov - Più noto con lo pseudonimo di Lenin assunto nella clandestinità...

Publie le giovedì 22 gennaio 2004 par Open-Publishing

Vladimir Ilic Ulianov - più noto con lo pseudonimo di Lenin assunto nella clandestinità e ispirato al fiume siberiano Lena, sulle cui rive Ilic aveva scontato due anni di confino - nacque nel 1870 nella famiglia, moderatamente progressista, di un insegnante, padre di cinque figli, tutti rivoluzionari. Il maggiore, Alessandro, aderente all’organizzazione clandestina "Volontà del popolo", fu condannato a morte a vent’anni per la partecipazione a un attentato allo zar, le sue sorelle, Anna e Maria e i fratelli Ilic e Dimitri, scelsero la via marxista della rivoluzione proletaria, rifiutando l’azione terrorista individuale.
Una scelta che Lenin argomentò in uno dei suoi primi scritti Chi sono gli amici del popolo. Tutti e quattro conobbero carcere, confino, esilio nel percorso che li portò dalla "Emancipazione del lavoro" di Plekhanov, alla "Unione di lotta" nata dalla fusione di alcuni circoli marxisti di Pietroburgo su iniziativa di Lenin e di Nadezda Krupskaia che fu la sua compagna di tutta la vita, alla redazione di "Iskrà", giornale stampato in Germania e diffuso clandestinamente in Russia dal partito operaio socialdemocratico appena costituito, aderente alla II Internazionale.

Al secondo Congresso del Posdr del 1903, nel quale si dovevano elaborare il programma e lo Statuto, il gruppo della Iskrà sostenne la teoria del partito rivoluzionario, illustrata da Lenin nell’opuscolo Che fare? che, individuando una situazione rivoluzionaria a breve termine nella Russia dove, accanto a una impetuosa industrializzazione sopravviveva la schiavitù della gleba, solo ufficialmente abolita, poneva la necessità di un partito radicato nelle fabbriche e nelle campagne e diretto da un gruppo di rivoluzionari professionali, caratterizzato da una forte e condivisa disciplina interna.

Su posizioni più moderate si contrappose Martov, sostenuto dagli "economisti" (parasindacali). Il confronto, molto aspro fra le due fazioni che presero il nome di bolscevichi e menscevichi, non si concluse con i deliberati congressuali ma continuò, senza esclusione di colpi, nel partito e nella "Iskrà", divenuta organo ufficiale dei socialdemocratici. Nel gennaio del 1905, a Pietroburgo, un pacifico corteo contro il carovita e per salari migliori, fu massacrato dalla polizia; la stessa sera nei quartieri operai della città si eressero le barricate, scioperi e manifestazioni di protesta dilagarono in tutto il paese, coinvolgendo vasti settori contadini, organizzazioni studentesche, interi reparti dell’esercito in una protesta che assunse i caratteri di insurrezione. Mentre il Posdr discuteva sulle radici del moto rivoluzionario (della borghesia o dei lavoratori?) Lenin raggiunse Pietroburgo per mettersi alla testa degli insorti in una lotta che si prolungò per due anni concludendosi con parziali concessioni di diritti politici da parte dello zar, alle quali seguì una violenta repressione contro operai, soldati e, naturalmente, bolscevichi.

Lenin, ricercato dalla polizia, dovette riparare all’estero, in un esilio durato dieci anni, nel corso del quale s’impegnò soprattutto nella ricostruzione della forza rivoluzionaria organizzata che il fallimento dell’insurrezione aveva demoralizzato e disperso. Nel maggio del 1912 uscì a Pietroburgo la "Pravda", primo giornale legale della frazione bolscevica che nell’autunno dello stesso anno elesse sei deputati alla Duma di Stato presentando un programma di tre punti: repubblica democratica, giornata lavorativa di otto ore, confisca dei latifondi. Intanto in tutta Europa, si stringevano alleanze e si armavano eserciti preparando la prima guerra ma allo scoppio del conflitto la direttiva della II Internazionale fu disattesa da quasi tutti i partiti nazionali: in Belgio, Francia, Inghilterra i socialdemocratici entrarono nel governo, in Olanda, Svezia, Norvegia, Bulgaria e Germania votarono i crediti di guerra, in Italia si attestarono sulla formula "né aderire né sabotare". Vi furono ovunque dissensi e scissioni: i sei deputati bolscevichi alla Duma furono deportati in Siberia per il loro voto contrario all’entrata in guerra, Karl Liebknecht fu arrestato in Germania: aveva aderito, insieme a Rosa Luxemburg, Clara Zetkin e altri, all’appello di Lenin che dichiarava guerra alla guerra e indicava ai lavoratori dei paesi belligeranti la via della rivoluzione, posizione che fu adottata dalla conferenza di Zimmerwald che prendeva atto dello scioglimento della II Internazionale e esprimeva la condanna della guerra imperialista. Nonostante le leggi di guerra la protesta correva nelle fabbriche, nei paesi e nelle trincee. La gente chiedeva "pane e pace". Pane e pace chiedevano anche operai, contadini e soldati a Pietroburgo, nel febbraio del 1917 e questa volta l’insurrezione riuscì a far cadere la monarchia zarista, sostituita da un governo provvisorio presieduto dal democratico Kerensky e affiancato dai Soviet degli operai, dei contadini e dei soldati. Nonostante la presenza prevalente del proletariato e delle sue organizzazioni, la rivoluzione di febbraio dette il potere ai partiti della borghesia che apparvero subito restii ad attuarne gli obiettivi, primo fra tutti la fine della guerra, e a consentire il rientro dei rivoluzionari fuoriusciti che solo in aprile riuscirono a raggiungere fortunosamente Pietroburgo. In un clima di guerriglia e di semiclandestinità Lenin prese la direzione delle masse operaie sostenendo la necessità e la possibilità di passare dalla democrazia borghese alla dittatura del proletariato, espressione della maggioranza del popolo e fase di transizione al socialismo.

Nelle "tesi di aprile" più note con il titolo-slogan "Tutto il potere ai Soviet" si davano direttive per il rafforzamento degli organismi elettivi che avrebbero dovuto prendere il posto del governo di Kerensky, alla direzione del paese. Il 7 novembre 1917, con la conquista del Palazzo d’Inverno, alla quale seguì quella delle principali città, la rivoluzione proletaria prese il potere e avviò con la Germania le trattative di pace che si concluderanno il 5 marzo 1918 a Brest Litovsk. Mentre l’esempio della Russia veniva seguito in Bulgaria, Ungheria, Finlandia, Germania e dava nuovo vigore alle agitazioni operaie e contadine in Francia, Spagna, Italia e Inghilterra, il "paese dei Soviet" era attaccato dagli eserciti inglesi, francese, americano, dalle armate "bianche" zariste, dal terrorismo e dal boicottaggio organizzato al suo interno da gruppi di seguaci di Kerensky e proprietari terrieri. La vittoria militare lasciò il paese distrutto e affamato mentre nel resto dell’Europa i tentativi rivoluzionari venivano schiacciati. Lenin, che nel suo saggio L’imperialismo fase suprema del capitalismo aveva tracciato il quadro della nuova fase politica mondiale, della forza e delle debolezze del capitalismo ed aveva promosso la formazione della III Internazionale (Comintern), dovette affrontare i problemi di una carestia che minacciava le basi stesse della rivoluzione. Lo fece con un vero e proprio passo indietro rispetto non solo al "comunismo di guerra" ma alla stessa ortodossia marxista, riaprendo spazi, sia pur limitati e controllati, al libero mercato, consentendo la vendita diretta dei prodotti eccedenti delle campagne, la ripresa di attività artigianali e commerciali private.

La nuova politica economica (Nep) sollevò perplessità e dissensi anche all’interno del partito ma consentì di salvare il paese dalla fame, attuare il piano di elettrificazione, riprendere la produzione industriale, riaprire scuole e ospedali. Lenin poté soltanto avviare la ripresa: il 21 gennaio 1924 moriva a Gorki, dopo un anno di sofferenza.

Bianca Bracci Torsi

Liberazione