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Vladimir Ilic Ulianov - Scrive Lenin nel 1894 (Gli amici del popolo)

Publie le giovedì 22 gennaio 2004 par Open-Publishing

Scrive Lenin nel 1894 (Gli amici del popolo) che «soltanto riconducendo i rapporti sociali ai rapporti di produzione e questi ultimi al livello delle forze produttive» abbiamo una «base salda per rappresentare l’evoluzione della formazione sociale come un processo storico naturale».
Egli fa propria, con una certa rigidità, la concezione marxiana, ma accentua (in specie nel concetto di «formazione sociale») la possibilità che diversi modi di produzione permangano accanto al modo predominante o emergente (come nella Russia di fine ‘800, della quale egli studia a fondo, in altre sue opere, l’economia soprattutto rurale) e suggerisce un approccio insieme sociologico e naturalistico, diremmo quasi-biologistico, ai nessi strutturali: Marx si era proposto di spiegare soltanto il presente capitalistico, non anche tutto il passato storico; per il suo metodo scientifico, la società è un organismo in sviluppo (non un movimento meccanico), il cui procedere in forma dialettica non è immancabile, ma è pura coincidenza. Qui Lenin vuol emendare le "confessioni" di Marx sui suoi debiti verso Hegel? Il primo Colletti, nemico della dialettica, si richiamerà a quel sociologismo giovanile che peraltro sarebbe stato smentito dal Lenin dei, posteriori, Quaderni filosofici. Tra il saggio del 1894 e i Quaderni si colloca un altro lavoro teorico, Materialismo e empiriocriticismo (1908), ove sono aspramente criticati coloro che negano la possibilità di «rispecchiare» in forma scientifica, sia pure per successive approssimazioni, una realtà materiale esterna alla mente. E’ questo il Lenin meno congeniale a Gramsci. Sarà invece apprezzato da Geymonat.

A Marx Lenin si richiama anche nel sostenere, contro Rosa Luxemburg, il Diritto di autodecisione delle nazioni (1914). E’ più vicino a Rosa e alla Zetkin sulla questione femminile. A Engels assai più che a Marx si richiama invece in Stato e rivoluzione (agosto-settembre 1917): la fine dello Stato non avverrà «senza sussulti né tempeste»; lo Stato borghese sarà «soppresso» da una, necessaria, «rivoluzione violenta»; lo Stato proletario dovrà invece «estinguersi» gradualmente. Confuta perciò l’idea anarchica di un’«abolizione» immediata di qualsiasi Stato. La marxiana «dittatura del proletariato» è una «democrazia» nel significato di supremazia violenta della maggioranza (proletaria) sulla minoranza (borghese); ma anche una tale democrazia si estinguerà, perché i comunisti tendono a far cessare ogni violenza. La disciplina sociale, in una prima fase assimilata a quella di «una grande fabbrica», nel comunismo pienamente dispiegato (fine delle classi, dello Stato e nuova educazione delle masse) sarà frutto di un «costume» diffuso. Ma Lenin con il termine «Stato» intende, esclusivamente, uno «speciale apparato di costrizione» (Sull’infantilisno di sinistra, 1918), ossia una «macchina per l’oppressione di una classe sull’altra» (La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky). La definizione ci appare riduttiva.

Spontaneità e organizzazione, quindi. Del 1902 è il Che fare? , del quale giova ricordare alcuni passaggi: economicismo e terrorismo hanno in comune la «sottomissione alla spontaneità»; il terrorismo è un’aberrazione di intellettuali ansiosi di fornire «stimolanti artificiali» alle lotte operaie; si pone fuori dal partito chi invoca la libertà di critica per sostenere la collaborazione di classe; nella clandestinità, le procedure democratiche sono limitate o sospese. Ma nel 1904, quando il partito esce dall’illegalità, pur ribadendo la difesa del centralismo, Lenin dichiara (Un passo avanti e due indietro) che posizioni contrapposte nel partito possono dar luogo a una feconda dialettica («hegeliana»). Tuttavia tra socialismo e anarchismo, che «si intreccia» con l’opportunismo, «c’è un abisso» (Due tattiche, 1905). L’estremismo è «malattia infantile». La polemica contro economicismo, spontaneismo e presunti eccessi di "democraticismo" si accentuerà nei successivi contrasti con alcuni indirizzi della II Internazionale.

Marx aveva detto che la violenza è la levatrice della storia. Lenin ripete che solo la forza risolve i grandi nodi storici (sempre in Due tattiche). La pace è impossibile finché permangono le contraddizioni oggettive del capitalismo. Dal socialismo soltanto verrà una pace stabile (La questione della pace). «Barbara e bestiale» è la guerra, ma è doveroso distinguere tra aggressione e difesa, denunciare soprattutto la guerra imperialista e smascherare il «socialsciovinismo». Sappiamo infatti che sul cedimento di alcuni partiti socialisti, dichiaratisi favorevoli ai crediti di guerra, si consumerà il distacco dalla II Internazionale. Per rifiutare la guerra e per una «pace democratica e duratura» urge la «guerra civile». Stati uniti repubblicani d’Europa? Sì, ma se siano eliminate, appunto, le monarchie reazionarie e siano sconfitti il colonialismo e l’imperialismo. Gli «Stati uniti del mondo», in quanto siano pur sempre una forma statuale, possono considerarsi un obiettivo transitorio, in vista della «sparizione definitiva di qualsiasi Stato», purché con quella parola d’ordine non si voglia sostenere l’impossibilità «del socialismo in un solo paese». Così Lenin al I Congresso dell’Internazionale comunista.

Nell’opera L’imperialismo fase suprema del capitalismo (1916) non si limita a recepire e rielaborare le analisi di Hilferding. Insiste sui processi di concentrazione della produzione ad opera dei monopoli, sulla funzione decisiva del capitale finanziario e sull’esportazione di capitali (due fenomeni accentuatisi nell’odierna globalizzazione), sulla conseguente spartizione del mondo, sul crescente parassitismo e (ma per questa diagnosi la storia gli darà torto) sulla «putrefazione» di un capitalismo giudicato incapace di passare a una fase ulteriore. Dieci anni prima, egli aveva delineato la possibilità, anche per la rivoluzione, di approdare a una conclusiva fase socialista, dopo la fase democratica.

Nel 1917, la vittoriosa rivoluzione di ottobre suscita problemi e compiti nuovi. In un intervento del 1918 (I compiti immediati del potere sovietico, ove riprende motivi di La catastrofe imminente, del settembre 1917), Lenin sostiene che il socialismo non può limitarsi a «espropriare gli espropriatori», garantendo lavoro, sanità, scuola: deve attrarre i migliori funzionari del capitale e tramutare la concorrenza tra imprese in emulazione di masse emancipatesi. «Applicare quel tanto che vi è di scientifico e di progressivo nel sistema Taylor» è utile e necessario per aumentare la produttività o l’«intensità del lavoro». Concorda in ciò largamente il Gramsci ordinovista, in modo più sfumato il Gramsci dei Quaderni. Oggi giudichiamo quella tesi poco attendibile, anche perché lo stesso capitalismo ha sperimentato nuovi e (per le sue finalità) più efficaci sistemi organizzativi e tecnologici. Dubitiamo fortemente, peraltro, che nel comunismo debba aver luogo uno «sviluppo gigantesco delle forze produttive» nel senso indicato in Stato e rivoluzione.

Ancora lo scritto su I compiti immediati prevede il capitalismo di Stato come «un passo avanti» verso il socialismo. Ma non scompare, in Lenin, la distinzione tra le funzioni di uno Stato poggiante sui Soviet e quelle del partito. Ad esempio, la religione è un «affare privato» per lo Stato, mentre soltanto il partito (pur non imponendo l’ateismo ai militanti) fa propaganda antireligiosa. La transizione è coesistenza tra «elementi […] di capitalismo e di socialismo». Quale predomini dipende dagli sviluppi della lotta. Si preannuncia pertanto la Nep, ossia la successiva decisione di ridare spazio a piccole imprese, anche di tipo capitalistico, almeno nelle campagne, e quindi di ripristinare le condizioni effettuali di una «lotta» tra classi e tra modi di produzione diversi, o opposti, perché da una siffatta «dialettica» la spinta propulsiva della rivoluzione tragga stimolo e alimento: non isterilisca, ripiegandosi su se stessa o naufragando tra gli inevitabili scogli di un passaggio troppo brusco, per giunta insidiato dall’arretratezza del paese e dalle aggressioni esterne.

Tra le prime vittime di Stalin è proprio la Nep. La soppressione di ogni avversario (di classe, di partito, nel partito) è teorizzata dichiarando che all’estinzione dello Stato, identificato ancora con la sola coercizione, si perviene con l’intensificare la stessa coercizione. Gramsci esprime, indirizzando a Togliatti, il suo dissenso. Omettiamo qui il capitolo degli "orrori" perché è il solo conosciuto dalle nuove generazioni. Il partito non è, come per Lenin, «avanguardia» cosciente; sostituisce invece, di fatto, lo Stato e manovra ogni altra «cinghia di trasmissione» (perciò, quando dopo il 1989 sarà repentinamente esautorato il partito, si dissolverà anche lo Stato). La questione nazionale assume una curvatura nazionalistica che, peraltro, contribuisce alla vittoria sul nazismo. La politica di potenza, durante la guerra fredda, deprime il tenore di vita in confronto all’Occidente, ma propaga anche conseguenze indirette di segno positivo in Occidente e nel "Terzo mondo". L’odierna barbarie globale di un mondo divenuto aggressivamente unipolare non deve, se siamo comunisti consapevoli, ricondurci a sentimenti "nostalgici" né frenarci nella ricerca di vie nuove e diverse (democratiche, non violente), nelle mutate condizioni storiche.

Giuseppe Prestipino

Liberazione