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comunicato della presidenza nazionale ars favorevole al si

Publie le sabato 24 maggio 2003 par Open-Publishing

Referendum: qualche buon motivo per votare SI Non c’é la nostra firma tra
quelle centinaia di migliaia che hanno promosso questo referendum, che
quindi non abbiamo voluto né condiviso. Da questa posizione vorremmo pur
tuttavia cercare di confrontarci con i tanti che, pur avendo come area di
riferimento il centro-sinistra ovvero il mondo sindacale, disorientati da
un referendum che subiscono ritengono giusto disertare le urne, se non
addirittura schierarsi con il fronte del NO. In realtà abbiamo
l’impressione che non siano vere ragioni di merito quelle che inducono a
scelte del genere, non essendo credibile la tesi secondo cui la vittoria
dei SI’ comprometterebbe occupazione e sviluppo. Ma perché mai un artigiano
o un professionista con cinque dipendenti nel timore di un esito positivo
del referendum dovrebbe ridurre il proprio personale? E’evidente che se un
organico è posizionato su certe quantità è perché quel numero di dipendenti
è necessario e sufficiente per il buon andamento de
ll’impresa. Così com’è evidente che se il datore di lavoro necessitasse di
ridurre l’organico per difficoltà economiche lo potrebbe fare "per ragioni
inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al suo
regolare funzionamento"(giustificato motivo oggettivo) anche in vigenza
dell’art.18. Così come rispetto ad un licenziamento per ragioni
disciplinari (giusta causa ovvero giustif
icato motivo soggettivo, secondo la gravità dell’infrazione) il datore di
lavoro dovrebbe solo (come già oggi deve fare) provare che l’addebito è
fondato. Con la differenza che oggi, se pure il fatto addebitato non
dovesse essere vero (ad esempio se un lavoratore accusato di aver rubato
fosse innocente) egli potrebbe liberarsi ugualmente di quel dipendente,
mentre con l’art.18 quest’ultimo avrebbe diritto di conservare il posto: si
tratterebbe, nel caso, di un evento drammatico per l’economia del Paese, o
solo il ripristino di una situazione di legalità? La "flessibilità in
uscita" di cui parliamo non riguarda i grandi processi di trasformazione
dell’economia, ma esclusivamente rapporti interprivati, ed in particolare
se sia preferibile o meno estendere ai dipendenti delle imprese minori una
tutela individuale della loro dignità umana e professionale, sottraendoli
all’arbitrio di un licenziamento ingiustificato e garantendo loro una
maggior forza contrattuale in caso di voluto loro a
llontanamento. Ridotto il problema alla sua essenza, vediamo quindi che le
critiche al referendum da parte del "fuoco amico" si riducono,
sostanzialmente, a questioni di metodo, ed in particolare: a) perché
ignorerebbe altre priorità del mondo del lavoro, non risolvendo un’esigenza
di modulazione delle tutele; b) perché comprometterebbe una politica di
alleanza con l’imprenditoria illuminata; c) pe
rché sarebbe un marchingegno escogitato da una sinistra estrema a vocazione
minoritaria per dividere il fronte che si era battuto a difesa dell’art.18
nelle grandi mobilitazioni del 2002; d) perché, essendo improbabile la
vittoria dei SI’, esporrebbe l’intero movimento riformatore ad una sonora
sconfitta. Proviamo a spiegare perché, a nostro avviso, tali argomentazioni
non reggono. a) E’ evidente che questo referendum non risolve tutti i
problemi. Non a caso la CGIL, supportata da 5 milioni di firme, ha messo in
campo 4 proposte di legge per estendere, con un’articolata
regolamentazione, diritti e tutele (compresi gli ammortizzatori sociali)
sia ai lavoratori delle piccole imprese, sia ai lavoratori "atipici":
Tuttavia il referendum è un’opportunità concreta ed attuale per contrastare
l’attacco senza precedenti a diritti faticosamente conquistati nell’ultimo
secolo. Mentre una forte affermazione dei SI’ lancerebbe un preciso segnale
del consenso della maggioranza degli elettori su qu
este problematiche, la vittoria del NO o un’elevata astensione metterebbe
una pietra tombale su qualsiasi iniziativa in tal senso. b) L’imprenditoria
illuminata non si dimostra tale nel momento in cui si schiera compatta a
favore di una legislazione che non contrasta adeguatamente un’illegittimità
(accertata da un giudice), nulla proponendo per attenuare le ingiustificate
ed eccessive differenze tr
a lavoratori di serie A e lavoratori di serie B. c) A prescindere dalle
motivazioni politiche di chi ha promosso il referendum, occorre considerare
che le altre organizzazioni sindacali che avevano deciso (non senza
tentennamenti) di appoggiare la CGIL nella battaglia sull’art.18 lo avevano
fatto su forte pressione della loro base; l’assenza di una base
sindacalizzata tra i dipendenti dei piccoli esercizi commerciali o delle
piccole aziende è forse motivo sufficiente per giustificare una scelta non
a favore dei lavoratori? d) Riteniamo che contribuire ad una sconfitta
perché la si teme sia uno dei tanti modi che la sinistra è in grado di
inventare per farsi del male. Ma anche se ce la stiamo mettendo tutta,
questo risultato non è poi così scontato, se si considera che: - E’ vero
che esistono milioni di piccoli imprenditori con due o tre dipendenti, ma i
loro dipendenti sono due o tre, fino a 15 volte tanto; - anche i lavoratori
"atipici" hanno tutto l’interesse all’esistenza di un uni
verso unificato di tutela più forte, non solo perché un giorno potrebbero
farne parte, ma anche perché esso potrebbe costituire un modello di
riferimento per le già annunciate iniziative legislative che li riguardano;
 i dipendenti delle grandi aziende sono da anni vittime di processi di
trasformazione organizzativa e produttiva in conseguenza di operazioni di
riduzioni di personale ovvero di "est
ernalizzazioni", ritrovandosi a far parte di imprese minori: ed il fenomeno
è destinato a moltiplicarsi a seguito della legge delega n.30 (i cui
decreti legislativi di attuazione sono già pronti), che tra le altre cose
facilita la possibilità di effettuare cessione di rami d’impresa fittizi,
abrogando nel contempo la legge che vietava l’appalto di mano d’opera; -
tra chi non è direttamente interessato alla questione perché né dipendente
né datore di lavoro, nell’anno 2002 sono senz’altro aumentati (anche tra
l’elettorato moderato) coloro che per scelte ideali o generica simpatia
sono più favorevoli all’estensione dei diritti, piuttosto che alla loro
compressione, nel mondo del lavoro dipendente: il movimento dei new global,
quello per la pace, i girotondi, le stesse grandi mobilitazioni per
l’art.18, sono la prova da un lato di un affermarsi, specie tra i giovani,
di valori che prescindono da un immediato tornaconto personale, e
dall’altro che esistono "trasversalità" che rendono ass
ai incerti i calcoli numerici basati su un risultato elettorale
direttamente proporzionale alle linee assunte dai diversi partiti. In altri
termini, sempre più persone ragionano con la propria testa. Per queste
ragioni non condividiamo la scelta di chi si astiene, o peggio vota No, e
riteniamo invece utile, pur con i legittimi dubbi e riserve, non disperdere
un valore così importante come quello de
lla partecipazione attiva al voto. A nostro parere il SI’ assume dunque un
significato netto ed inequivoco contro la rovinosa politica governativa nel
campo del lavoro, in piena coerenza e continuità con la battaglia in difesa
dell’art.18 dagli attacchi che il governo sta attuando non solo nella forma
subdola già presente nella legge delega n.30 cui si è fatto cenno, ma anche
nella forma esplicita contenuta nel progetto di legge 848bis di prossima
emanazione, che la vittoria di questo referendum neutralizzerebbe in
radice. Danilo Gruppi (segretario confederale CdLM di Bologna), Alberto
Piccinini (avvocato della CGIL di Bologna), Sandro Zabbini (dipartimento
Politiche del lavoro CGIL E.R.)

Presidenza dell Associazione per il Rinnovamento della Sinistra-Roma
UN VOTO A SINISTRA NELLE AMMINISTRATIVE E UN SI’ NEL REFERENDUM SULL’ART.18
PER BATTERE LA DERIVA DI DESTRA E RIPARTIRE DALLA DIGNITA’ DEL LAVORO
Comunicato della presidenza dell’Ars L’Associazione per il rinnovamento
della sinistra invita i propri aderenti e i propri amici a battersi per il
successo nelle imminenti elezioni amministrative parziali delle coalizioni
democratiche e delle forze di sinistra le quali, generalmente, hanno
trovato una convergenza programmatica anche con forze di centro-sinistra.
L’Associazione si pronuncia convintamente per il sì nel referendum che
propone la estensione dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori alle
imprese al do sotto dei 15 dipendenti e aderisce ai comitati che lo
sostengono. Queste scelte sono tanto più necessarie quanto più drammatica
si fa la situazione politica del Paese in conseguenza della azione del
Presidente del Consiglio e della maggioranza contro la Costituzione
repubblicana e per una ulteriore svolta repressiva e autoritaria,
azione condotta in coerenza con l’allineamento alla linea di guerra
permanente dell’amministrazione Bush. Non fummo tra i promotori del
referendum poiché può essere discutibile lo strumento referendario per ciò
che riguarda i diritti dei lavoratori dipendenti o, più generalmente, i
diritti riguardanti un’area sociale di minoranza. Ma ne comprendemmo e ne
sostenemmo subito le giuste ragioni poiché l
a conquista del diritto al reintegro, quando sia ingiusta la causa del
licenziamento si presenta indubbiamente - e in tal modo venne proclamato e
inteso nella memorabile lotta condotta dalla CGIL nell’anno trascorso -
come la conquista di una garanzia di libertà per i lavoratori dipendenti.
Non si può ragionevolmente sostenere che un diritto di libertà possa essere
garantito solo al di sopra di una soglia arbitrariamente fissata poiché la
natura del rapporto di lavoro dipendente è eguale in ogni caso. L’azione
dalle tendenze conservatrici e restauratrici in Italia e in tutto il mondo
più sviluppato è volta proprio al fine di riportare il lavoro al suo puro
carattere di merce, anzi di una merce di cui si può avere meno cura di
altre, considerate più delicate e preziose. Fu ed è questa la posta in
gioco nella offensiva contro l’articolo 18, unitamente all’attacco
generalizzato a tutte le conquiste del lavoro e della stessa contrattazione
nazionale. La difesa delle conquiste del lavoro
è assai più difficile - e al limite impossibile - se esse riguardano una
sola parte del lavoro dipendente. Perciò la estensione dei diritti è
indispensabile. Contrapporre la necessità legislativa al referendum è
palesemente assurdo perché un risultato positivo del SI aprirebbe la strada
per estendere i diritti alle forme di lavoro non tutelate. Finora, le leggi
presentate sulla materia non sono sta
te neppure poste in discussione. E nessuna di esse avrà un destino positivo
se il referendum non raggiungesse il quorum o vedesse il prevalere dei no.
Solo il successo del referendum può rendere possibile una legislazione che
rovesci la impostazione del centro-destra e del padronato tendente alla
compressione o alla negazione dei diritti dei lavoratori. Senza un successo
nel referendum risulterà ancora più forte la offensiva in atto da parte del
presidente del consiglio e dalla sua maggioranza contro lo stato di diritto
e per una torsione presidenzialista e autoritaria. E’ un errore limitare le
ragioni di questa offensiva al bisogno del presidente del consiglio di
difendere se stesso e i propri complici dal giudizio per i reati comuni -
riguardanti un periodo precedente il loro diretto ingresso in politica - di
cui sono stati imputati. Questo tentativo esiste ma sarebbe certamente
destinato al fallimento se esso non si fondasse su un calcolo politico e
sociale esplicito e pericoloso.
Il calcolo è quello di coinvolgere un blocco sociale forte e potente nella
difesa anche dei più gravi reati nel nome di un superiore interesse di
classe. L’attacco alla democraticità dell’ordinamento si sposa così
all’attacco contro i lavoratori. La evasione fiscale - che di per sé
dovrebbe essere motivo di vergogna e di dimissione per un parlamentare
della Repubblica - viene esaltata quasi come u
n diritto alla difesa contro una Costituzione definita "sovietica". Il
perseguimento del reato di corruzione di giudici disonesti viene imputato a
colpa dei giudici onesti che cercano di far luce. S’invoca a scusante di
ogni reato una superiore lotta contro una idea aberrante di comunismo che
in Italia non ha mai prevalso data l’esistenza di un Partito comunista la
cui caratteristica è stata la lotta per la libertà, per la democrazia, per
la Costituzione democratica e la sua difesa contro ogni attacco. La lotta
al fantasma del comunismo sovietico nasconde in realtà non solo
l’autoprotezione di un gruppo affaristico divenuto dominante prima nei
media e poi nel Paese, ma un duro attacco volto al ritorno alla piena
subalternità del lavoro, e allo spegnimento di ogni idea di autonomia della
sinistra sociale e politica. Un successo nel referendum e, ancor prima,
delle coalizioni democratiche e delle forze di sinistra nelle elezioni
locali è necessario per frenare la deriva di destra e per
avviare una riscossa democratica.