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risultati referendum

Publie le sabato 28 giugno 2003 par Open-Publishing

Mi pare che in alcune valutazioni (e non parlo di coloro che per manifesta ostilità verso i promotori dei referendum ne hanno "scoperto" post-festum la negatività) dei risultati referendari ci sia un eccesso di pessimismo e una sottovalutazione dei giganteschi ostacoli che, settimana dopo settimana, sono stati edificati dagli avversari dei referendum, quasi che un nostro sforzo prometeico avrebbe potuto/dovuto comunque disgregare i "macigni" posti sul nostro cammino.
Certo, quando abbiamo avviato la raccolta delle firme credevamo che la vittoria fosse possibile. Ma innanzitutto il progetto referendario ruotava su 6 quesiti: l’asse lavoro-scuola-ambiente ci sembrava il mix necessario per battere sia i NO sia l’astensionismo; e, in particolare come Cobas, confidavamo molto sul potere "trasversale" del referendum per la cancellazione della parità scolastica, legge contro la quale (lo dicevano credibili sondaggi) si era pronunciata la maggioranza degli italiani/e.

Eravamo infatti pienamente consapevoli di quanto ardua fosse la "rimonta" sui temi del lavoro, affidata finalmente ad un tema "offensivo" dopo più di un ventennio di arretramenti e di sconfitte, di emarginazione dei temi del lavoro, di disgregazione dell’unità dei salariati, di impelagamento dei conflitti tra capitale e lavoro nella palude delle finte cooperative e del finto lavoro autonomo, di abbandono totale di un precariato dilagante, oramai rassegnato a cavarsela per vie traverse, magari, nella migliore delle ipotesi, abbassando la testa sul posto di lavoro e rialzandola la sera con l’attività in un centro sociale o partito o luogo di volontariato.

Noi vivemmo come un colpo tremendo il drastico taglio di 4 referendum e di quello della scuola in particolare. Purtuttavia, nuove chances anche per il solo referendum sull’art.18 (quello sugli elettrodotti non è riuscito a brillare di luce propria) venivano offerte dall’incrudirsi dell’attacco berlusconiano alle tutele residue dei salariati, dalla legge 848 (ora 30) alla 848 bis fin alla cancellazione sostanziale del contratto nazionale per i metalmeccanici: e al rinovato ottimismo contribuivano credibili sondaggi che indicavano una partecipazione al voto superiore al 40%, con molti incerti "disponibili".

Poi, ad invertire significativamente la tendenza, la "svolta" cofferatiana, per nulla scontata: perché il simbolo di un anno e mezzo di lotta della Cgil in difesa dell’art.18 non avrebbe potuto, per i propri successi politici, collocarsi sulle stesse posizioni assunte da Epifani, dalla Cgil tutta e dall’Arci, o perlomeno evitare di divenire la "bandiera" di un astensionismo aggressivo che, da quel momento, centrodestra e centrosinistra hanno potuto, all’unisono, brandire, grazie al fatto che il nome più fortemente associato all’art.18 ne rinnegava la centralità e il diritto per tutti/e?
E lo stesso gruppo dirigente dell’Ulivo e dei DS, se fosse davvero antiberlusconiano nella sostanza, non avrebbe, per dare una mazzata al "puzzone", almeno potuto posizionarsi su un "ponziopilatismo" che lasciasse al centrodestra l’onere di passare dal NO sbandierato ad un astensionismo virulento che, invece, proprio il gruppo dirigente dell’Ulivo ha reso popolare e accettabile anche a chi intendeva votare?

La tentata "desertificazione" intorno ai movimenti (la cui novità e intensità io - memore del vero e irripetibile "deserto" post-’77, ove, più che poterci muovere con il "passo da lumaca", venimmo bloccati del tutto per un decennio - non esagererei: mille fiori e piante sono rinati nell’ultimo triennio e ora possiamo camminare più speditamente di una chiocciola), di cui parla Cremaschi, è partorita dalla somiglianza dei contenuti e dalla tacita complicità tra centrodestra e centrosinistra, senza la quale non sarebbe stata possibile né la decisione della Cassazione di eliminare 4 referendum, né la cancellazione massmediatica senza precedenti (che ha ingigantito l’astensionismo, perché purtroppo ciò che non appare sui "media" anche per tanti lavoratori finisce per non meritare né attenzioni né sforzi), né il pieno travaso dei NO sull’astensione, né la fissazione dell’incredibile data del 15 giugno, dopo due tornate elettorali, la chiusura delle scuole e con il caldo equatoriale.

In tali condizioni, i dieci milioni e mezzo di SI non sono minimamente comparabili con analoghe cifre di altri referendum pubblicizzati e non osteggiati dal 90% delle forze politiche: testimoniano di un elevato grado di rinnovata coscienza sui temi del lavoro, stavolta all’offensiva, maturata nell’ultimo biennio e che, seppur non ancora maggioritaria come sui temi della guerra, dà la certezza che, se proseguiremo su questa strada, la centralità del conflitto tra capitale e lavoro non tornerà più nell’oblio dell’ultimo ventennio. Dunque, l’obiettivo centrale è la massima valorizzazione della volontà dei dieci milioni di SI, non per vani "impossessamenti" politicisti ma per trasformarli rapidamente in conflitto, vertenze, processi di riunificazione del fronte dei salariati e dei disoccupati.

Quello che invece mi pare non ci serva è un discorso consolatorio nei riguardi dell’Ulivo e della sua maggioranza "trionfante", come se la collocazione referendaria di Cgil e Arci o il SI di tanti elettori DS avessero spostato verso i movimenti tale maggioranza. Non stiamo vivendo un momento di riavvicinamento: anzi, questa mi sembra la fase di massimo allontanamento tra il gruppo dirigente dei DS/Ulivo e il movimento (e i suoi contenuti) antiliberista, antiguerra e antiprecarizzazione.

Non ha forse il "nucleo duro" della sinistra liberista rinnegato il movimento no-war solo poche ore dopo la caduta di Baghdad votando l’intervento militare italiano in Iraq insieme al centrodestra? Non si è contrapposto frontalmente al movimento antiliberista e referendario facendo da avanguardia e da collante al fronte astensionista? Non ha scaricato il movimento dei girotondi assorbendo tranquillamente il lodo Meccanico che mette Berlusconi al sicuro per sempre dai tribunali? Da D’Alema a Rutelli, da Fassino a Prodi, da Cofferati a Bassolino il ripudio dei contenuti dei movimenti antiliberisti e democratici è stato ribadito fino alla nausea: essi sono certi che sia finita la "ricreazione" dei movimenti, che sia suonata la campanella e si stia tornando alla vecchia e cara "politique politicienne", nel cui quadro ricercheranno, per non ripetere il suicidio delle ultime elezioni, un’alleanza con il PRC, indipendentemente dal fatto che Rifondazione voglia/possa o meno convincere parti significative dei movimenti a spendersi nel rinnovato fronte antiberlusconiano.

Al cui proposito nessuno di noi ignora la montante avversione popolare verso il "puzzone" e il conseguente ricatto elettorale che il gruppo dominante dell’Ulivo può esercitare: purtuttavia non possiamo neanche dimenticare la precedente esperienza del quinquennio di centrosinistra, quando analoga avversione popolare portò Prodi al governo ma non esercitò poi alcuna seria opposizione ad un programma liberista che, fino a D’Alema e Amato, ha fatto il "lavoro sporco" per il centrodestra, incontrando ben meno ostilità e ostacoli di Berlusconi.

Insomma, se l’obiettivo dell’Ulivo è quello di eliminare Berlusconi ma non il berlusconismo (se non come stile rozzo e odioso), riproponendo una gestione da sinistra liberista, appoggiando l’imperialismo europeo e il suo armamento, il padronato e il WTO, la "buona flessibilità" e la riduzione dei diritti sociali, la privatizzazione e l’esclusione dei migranti, il nostro cammino va nella direzione esattamente opposta e dobbiamo procedere di conseguenza: per esempio, dando seguito unitario allo schieramento referendario e ai dieci milioni di voti, programmando il prosieguo della mobilitazione contro la precarietà e per i diritti del lavoro/reddito, magari puntando anche ad una grande manifestazione nazionale all’inizio dell’autunno intorno ad una piattaforma unitaria antiprecarizzazione, in difesa dei diritti di tutto il lavoro dipendente e per la sua riunificazione, così come richiesta dai milioni di votanti e anche da quei milioni di lavoratori, precari o disoccupati che, ingannati, hanno finito, astenendosi, per votare contro se stessi.

PIERO BERNOCCHI