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I GOVERNISTI

Publie le sabato 29 luglio 2006 par Open-Publishing
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Dazibao Governi Leopoldo BRUNO

di Leopoldo Bruno

Il 9 aprile 2006 molti di quelli che si sono recati a votare l’’hanno fatto nella speranza che non solo le persone ma in primo luogo i fatti cambiassero, rispetto ai 5 anni di berlusconismo.

Dal lato della compagine governativa, durante i primi giorni
d’’insediamento arrivavano timide dichiarazioni di nuova politica che venivano presentate da chi possedeva conoscenza delle materie dei dicasteri. Ultimamente, invece, nel merito delle questioni sembra ci sia calma piatta. Il centrosinistra, in questa ottantina di giorni, non ha così cambiato quasi nulla.

Dall’’altro lato - quello cioè debole della società civile di oggi - c’’è invece stato un primo smottamento. Associazioni, gruppi, singoli cittadini prendono a “ragionare in modo concreto sui fatti”. A esaminarne tutte le sfaccettature, i punti di vista, i pro e i contro...Anche nell’’ambito del Movimento, accade che si comincia a pensare di entrare a far parte di tavoli, commissioni, comitati, osservatori vari. In se per sé, l’’adesione allo schema concertativo ovviamente fa parte di un percorso che chi è disponibile intraprende.

Avrebbe una sua logica se, oltre che distribuire pezzettini di potere, tale approccio partisse quantomeno con delle idee, un programma specifico e condiviso, magari con una cornice di valori comuni. Tutto questo non c’è. La tecnica è quella di cominciare con chi ci sta, si lavora per un tot di tempo per poi arrivare a decisioni con chi ancora rimane. Tali decisioni “concertate” sono in genere poi messe concretamente in atto da chi infine ha interesse a gestirle. Lungo il percorso, i soggetti che decidono di venir fuori dalla concertazione - insieme a quelli che dall’inizio non lo avevano intrapreso - vengono individuati, senza possibilità di replica, come
estremisti radicali dopo averci messo impegno, competenza, passioni.

Insomma, alla fine decidono e gestiscono sempre i soliti noti, in silenzio; chi cioè in genere si autoreferenzia e rappresenta in primo luogo i propri interessi.

Il secondo smottamento è facile prevedere che ci sarà con
l’approssimarsi della Finanziaria. Se la strategia governativa di inizio luglio è stata quella di assumere decisioni in grado di dare un
po’’ di libero spago ai sindacati, l’’orizzonte autunnale si prefigura
invece come un vero e proprio richiamo all’’ordine, rivolto a chiunque
ricopre incarichi di rilievo.

Ma fra i primi giorni del centrosinistra e il futuro del prossimo
settembre, c’è il presente. Cosa cambia con il nuovo governo in merito
alla guerra in Afghanistan? Gli stessi parlamentari, ora che fanno
parte della nuova maggioranza, dopo aver votato per otto volte contro
il finanziamento della guerra, adesso votano a favore.

Gino Strada fa notare che se si chiamano pacifisti coloro che
antepongono il governo alla guerra, noi allora “non chiamiamoci
pacifisti ma diamo vita a un movimento contro la guerra” (il manifesto
16/07/06).

Dal lato opposto, Adriano Sofri, in prima pagina de “la Repubblica” del
17/07/06, dapprima comincia reinterpretando liberamente - in cinque
righe - il pensiero dello stesso Strada (senza citarne però alcuna
affermazione). E poi sferra subito di seguito il suo attacco: “Gino
Strada è molto ammirato, e se lo è meritato. Anch’’io lo ammiro, sul
serio. Però so che dice delle sciocchezze colossali. L’’ammirazione che
si è guadagnato gli gioca un brutto scherzo: gli fa spendere il suo
credito sostenendo presso un pubblico generoso quelle sciocchezze,
diametralmente opposte agli ideali che vuole perseguire”. E Sofri
continua il suo pezzo di prima pagina titolato: “Cari pacifisti basta
sciocchezze” usufruendo dell’intera pagina 15.

A mio avviso, la libera reinterpretazione in apertura d’’articolo,
insieme alle tre righe e mezza che qui ho trascritto, potrebbero essere
esaminate nelle università durante un insegnamento su cosa s’’intende
per mainstream, corrente del pensiero di questo inizio secolo. Si va
ben oltre l’’arte della retorica. E’ la possibilità di usare i mezzi di
comunicazione di massa per reinterpretare, criticare e infine - di
fatto - dare del poveretto a una persona che “dice delle sciocchezze
colossali... diametralmente opposte agli ideali che vuole perseguire”.

Per rispondere in qualche modo a Sofri o, meglio, allo studioso
Gianfranco Pasquino che ormai un giorno sì e uno no pubblica ne
“l’’Unità” articoli sul tema Afghanistan e in generale sul tema della
tenuta del centrosinistra, potrei - nel mio piccolo - argomentare in
merito ai gorvernisti, a chi pensa di ridurre il danno di una guerra
inviando qualche aereo in meno, ai semestrali (oggi diciamo di sì, ma
al prossimo finanziamento della guerra fra sei mesi vedrete che casino
che faremo), a chi dice di sì soltanto se la guerra è concertata
(multilaterale sì, unilaterale no), a chi le vuol certificare col
Bollino Nato o quello Onu, a chi soffre della sindrome da governo amico.

Invece, per quanto mi riguarda, in questa occasione preferisco
esclusivamente citare l’’ultima frase dell’intervento di Strada, letto
da lui stesso in collegamento da Kabul durante l’’assemblea nazionale
del 15 luglio 2006 a Roma: “Cacciare la guerra dalla storia degli
uomini, prima che la guerra cacci fuori gli uomini dalla storia”.
Dario Fo, nella stessa occasione, ha inoltre affermato che: “Il popolo
non è degno della storia che ha dietro; ci siamo dimenticati del sapere”.

L’’individuo sarà in grado di elevare l’’impegno pubblico allo stesso
livello dell’’attività d’acquisizione di beni e interessi personali?
Sarà capace di tornare a rendere la sfera pubblica almeno pari di
quella privata nei valori della vita? Non aspettare più, come fanno in
molti, di arrivare verso la fine dell’’esistenza per far del bene e per
impegnarsi socialmente ma iniziare da subito o - come minimo - da
quando ognuno, ancora carico di energie, occupa il rispettivo posto di
potere.

Io, signor nessuno, alle soglie dei cinquant’anni mi riconosco nei
concetti di Strada, e ciò nasce non solo - come dice Sofri -
dall’’ammirazione, ma è dapprima in me stesso orgoglio e senso
dell’essere.

Al suo esterno, vista la deriva democratica puramente
mediatica-elettorale, il Movimento ha da porsi al più presto il
problema se lavorare oppure no nella logica parlamentare. Se cioè è il
caso di andare ancora a votare o, dichiaratamente, boicottare. Fare
attenzione così alle esperienze portate avanti in Chapas, Brasile, ecc
In altre parole, l’’obiettivo è quello di contribuire a prendere il
potere portando per qualche anno il Governo un po’ più verso sinistra
oppure è quello di demistificare, disperdere, destrutturare il potere?
Se si pensa che l’’indagine telefonica ISPO - pubblicata su “Il Corriere
della Sera” del 18/07/06 - rileva che il 61% degli italiani vorrebbe il
ritiro delle truppe sia dall’’Iraq sia dall’’Afghanistan, si ha l’idea di
come il parlamento rappresenta i suoi cittadini. Chi convincerà il
ministro Arturo Parisi che le spese destinate agli armamenti
rappresentano un danno per l’’umanità e non vanno aumentate, come lui
invece si appresta a chiedere nella prossima finanziaria?

Al suo interno, il Movimento ha da prendere esplicitamente atto di
quella divisione che già in questi anni - secondo me - si è verificata
più volte. Ad esempio a Roma nel settembre 2004, con la decisione di
rilasciare a Bertinotti la delega a rappresentare di fatto il Movimento
presso il Governo Berlusconi per la liberazione di Simona e Simona
(senza indire più alcuna iniziativa di livello nazionale) oppure a
Firenze, quando c’’era da decidere su quali contenuti far riferimento
per organizzare la manifestazione del 18 marzo scorso contro la guerra
(senza far riferimanto esplicito all’’appoggio alla Resistenza
irachena). Posizioni - queste prima messe fra parentesi - solitamente
rappresentate in pubblico da “Arci”, “Un Ponte per...” e un consigliere
regionale della Lombardia.

Oggi, infine, nell’’ambito del Movimento c’è chi mette al primo posto
gli interessi e gli accordi internazionali, invece che il ripudio per
la guerra. Questo è tema che semplicemente recide quel legame che Max
Weber identificava essere “una comune appartenenza soggettivamente
sentita”.
Parafrasando Malcom X, è possibile dire a quei “pacifisti di sincere
intenzioni” di fare il proprio cammino, lavorando in stretto contatto.
Se sfera pubblica vuol dire discutere e poi scegliere liberamente,
l’’idea di tenere distinti e separati i percorsi, potrà portare anche a
momenti di incontro.

27/7/6 - Leopoldo BRUNO

Messaggi

  • NON HO PAROLE SE SI PERMETTE A SOFRI DI SPUTTANARE IL LAVORO DI UN MEDICO E PACIFISTA SIAMO ARRIVATI ALLA FRUTTA.
    GRAZIE GINO STRADA PER QUELLO CHE HAI FATTO, PER QUELLO CHE FAI E PER QUELLO CHE FARAI NON SOLO COME MEDICO MA ANCHE COME UOMO DI PACE.
    GRAZIE A TUTTE LE ASSOCIAZIONI UMANITARIE E A TUTTA LA RAZZA UMANA CHE SI BATTE PER LA PACE.
    MARIA DI BENEDETTO

  • La cornice comune...tu dici caro Leo. E’ singolare come riscontro da varie parti che interventi come il tuo, apparentemente freddo e pacato, di fatto rivoluzionario, nel senso della sovversione della calma piatta da te indicata, non suscitano commenti. Altro effetto fanno invece i copia incolla di articoli estrapolati dai giornali...Casuale?
    Doriana