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Addio berlusconismo ma la sinistra ancora non c’è
Publie le mercoledì 8 settembre 2010 par Open-PublishingFini "rompe" il Pdl e chiude una fase politica durata oltre quindici anni. Si esce forse dalla transizione ma c’è una voce che manca, quella della sinistra di classe
Salvatore Cannavò -www.megafonoquotidiano.it
Il discorso di Fini è destinato a entrare nella piccola storia della politica italiana. I punti essenziali del lungo intervento sono ben riassunti in questo articolo de Il Post ma è chiaro il senso complessivo del nuovo posizionamento di Fini: il Pdl è finito, Berlusconi è il leader del centrodestra attuale ma io lavoro per un nuovo centrodestra che non lo preveda più. E che soprattutto non preveda impunità varie, conflitti di interessi, genuflessioni a personaggi come Gheddafi e via discorrendo. Nell’intervento di Fini si è sentita l’eco della rottura personale e forse anche caratteriale tra il presidente della Camera e Silvio Berlusconi, tasto su cui battono soprattutto i commentatori di destra. Ma si intravede anche la rottura di un equilibrio che ha sostanziato il berlusconismo per oltre quindici anni e che è stato realizzato grazie alla giustapposizione di interessi sociali, geografici e politici diversi. Berlusconi probabilmente non ha mai saputo costruire un nuovo e moderno blocco sociale della destra paragonabile a quello che fu della Dc e del Psi. Ovviamente, a differenza di quelli, non ha potuto beneficiare della fase di crescita e espansione dell’economia italiana dal dopo guerra a metà degli anni 60, anni in cui quel blocco sociale è stato forgiato e tenuto insieme. Il berlusconismo abbraccia la fase politica caratterizzata dalla stagnazione e da un’economia della crisi che ha eroso i soggetti sociali, modificato i contorni delle classi, imponendo alla politica un surplus di "ideologia" e di collante simbolico per tenere pezzi che socialmente non sarebbero stati insieme. E Berlusconi ha saputo combinare i vari pezzi tenendoli sotto l’ombrello della sua personalità mediatica: la piccola impresa nordista e leghista, le professioni e gran parte dell’imprenditoria, il ceto medio impiegatizio di estrazione democristiana, settori proletari sempre più ai margini del processo produttivo, precariato giovanile, pensionati e pensionate spesso osservatori passivi della tv, etc. Ma anche Lega Nord e partito "sudista", la burocrazia "romana" e l’attivismo nordestino. Questi "pezzi" sono stati tenuti assieme più per via ideologica che per soddisfazione di interessi: in oltre quindici anni il berlusconismo, oltre a foraggiare l’evasione fiscale e fare regali importanti alle imprese, non ha offerto granché. Questo granché, nel momento della crisi economica mondiale, è divenuto nulla, anzi sottrazione assoluta e questo ha iniziato a evidenziare l’insufficienza di un progetto politico basato sulla retorica, la mediatizzazione della politica, la propaganda. Per chi, come Fini, ha ancora oltre venti anni di carriera davanti, la politica è dovuta tornare ai fondamentali: rappresentazione di interessi reali, eliminazione del "doping" mediatico, relativizzazione del conflitto di interessi e così via. Liberarsi dell’abbraccio mortale di una formula deteriorata e inconsistente per guardare avanti. «Vado avanti, andiamo avanti» ha ripetuto più volte a Mirabello, in una strada che per essere tale deve accantonare l’ingombro di Berlusconi e della sua politica.
La rottura dunque è di fondo, strutturale, il che non vuol dire che non ci sarà una fase di compromessi e di mediazioni. Ma è una rottura "semantica" in cui Fini riesce a realizzare il suo sogno di lunga data: scavalcare Berlusconi e posizionarsi al centro del centro-destra lasciando in questa collocazione estrema la Lega e i settori oltranzisti del Pdl. Ci riesce con un paradosso, recuperando cioè molti dei materiali ideologici del vecchio Msi sia pure de-fastizzato. Nella piazza di Mirabello sembrava di vedere una manifestazione di quel partito sia pure senza i simboli nostalgici: attaccamento alla Patria, "etica del dovere", alleanza strutturale tra Capitale e Lavoro, partito degli onesti, spirito di sacrificio, sacri ideali, etc.
Ora il voto è davvero vicino. Si voterà forse ad aprile o a giugno, almeno a stare dalle dichiarazioni di Berlusconi. E anche se si formasse un governo provvisorio, tecnico o istituzionale che fosse, non potrebbe durare molto a lungo vista la precisazione insistita fatta da Fini di non essere disponibile «a ribaltoni».
Si chiude così un ciclo lungo della politica italiana, apertosi di fatto con la "discesa in campo" di Berlusconi nel 1994. Un periodo in cui questo paese è peggiorato, il movimento operaio si è profondamente indebolito, la sinistra politica si è quasi liquefatta, la borghesia italiana ha sfruttato la transizione senza però migliorare le sue posizioni nella competitività internazionale. Un periodo buio che avrà ancora colpi di coda. Berlusconi gode comunque di un ampio consenso e l’opposizione è troppo incapace a costruire un’alternativa per riuscire davvero a batterlo. Quel che è peggio è che, all’uscita possibile dalla transizione, non c’è una sinistra di classe in grado di dire la sua e di farsi sentire. Di prospettare un’idea di società diversa, una soluzione politica diversa. Gli errori degli ultimi anni lasciano un vuoto ancora incolmato e le prossime elezioni potrebbero tenersi senza questa voce, senza un’ipotesi alternativa al berlusconismo ma non schiacciata sulle inconsistenze e le complicità del centrosinistra. Eppure si tratterà di elezioni "costituenti" della nuova fase politica in cui verranno ridisegnati scenari, soggetti, dialettiche fondamentali. Essere in quella nuova fase semplicemente come ancelle del Pd è inutile; esserci con una proposta compiutamente alternativa può non sembrare risolutivo nell’immediato ma è l’unica chance per continuare a dare sostanza a un’ipotesi di trasformazione.