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Bavagli e bavaglini. Chi racconta le lotte sociali?

Publie le venerdì 11 giugno 2010 par Open-Publishing
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In questi giorni stanno finendo le lezioni dell’anno scolastico. Il prossimo anno scatterà la "riforma" delle superiori che è il secondo passo di una strategia guidata dal duo Gelmini-Tremonti che porterà in tre anni a 150 mila licenziamenti tra insegnanti e personale non docente. I precari della scuola con le loro organizzazioni nazionali dopo una discussione non semplice hanno deciso di promuovere una iniziativa di protesta che prevede il blocco degli scrutini. Questa idea è partita dai precari di Genova (GAP Gruppi d’Azione Precaria) e dai precari di Catania. A febbraio sono stati bloccati molti scrutini nel primo quadrimestre nella sola provincia di Genova dove i Cobas Scuola hanno indetto uno sciopero che è stato di esempio per tutto il movimento nazionale. Lo sciopero di questi giorni è stato indetto da quasi tutti i sindacati di base. La Flc Cgil ha deciso di non appoggiare questa iniziativa dei precari con la lodevole eccezione della Flc di Milano che ha indetto lo sciopero. Hanno già scioperato le scuole in Emilia, Calabria, Veneto. I risultati sono stati straordinari con blocchi anche dell’ottanta per cento degli scrutini. In provincia di Genova si annuncia l’adesione di tantissimi istituti tra cui il Tecnico Calvino di Sestri Ponente, il Liceti di Rapallo, il De Ambrosis Natta di Sestri Levante, il Leonardo Da Vinci. In molti di questi istituti le assemblee interne hanno deciso di scioperare istituendo casse di resistenza per i colleghi in sciopero.

In questi giorni chi ha sfogliato i giornali ha trovato una marea di notizie sulla legge detta "bavaglio" che il governo Berlusconi ha approvato trovando l’opposizione dei giornalisti giustamente preoccupati da una legge che impedirà loro di informare correttamente. Capofila dell’opposizione giornali come la Repubblica e l’intero gruppo De Benedetti, il Fatto Quotidiano e il Manifesto. Peccato che questi giornali, Manifesto compreso, continuino ad oscurare le proteste dei lavoratori della scuola anche quando queste riescano effettivamente ad inceppare i meccanismi di funzionamento dell’istituzione scolastica. La Repubblica in particolare, che si erge a instancabile paladina dell’informazione, in questi mesi ha sistematicamente ignorato tutte le forme di protesta che i lavoratori hanno messo in campo occupando le fabbriche, salendo sui tetti. A questi paladini della libera informazione pare non importare nulla dei drammi sociali che affliggono i lavoratori che perdono il posto, come non importa nulla del fatto che ai dipendenti pubblici vengano decurtati tra 1000 e 2000 euro all’anno per effetto delle manovre del governo.

Esiste un parallelo inquietante tra l’atteggiamento di questi giornali e l’atteggiamento dell’opposizione parlamentare pronta ad immolarsi per le leggi sull’informazione ma sostanzialmente muta, complice e assente quando si dovrebbe occupare di economia e di lavoro. Forse non pare vero ai vari Di Pietro, Bersani, Travaglio. Possono fare finta di opporsi al governo, urlano al regime, ma si guardano bene dal pericolo di rendersi nemici di quei poteri forti economici che sotto qualsiasi governo o coalizione continuano a dettare le regole economiche e di profitto. Costoro urlano contro i bavagli, ma si dimenticano i bavaglini che la loro stampa e i loro media continuano a mettere sulle lotte dei lavoratori. A costoro, e in particolare ai docenti precari e non che in questi giorni stanno conducendo una straordinaria mobilitazione, occorrerà una sinistra che abbia il coraggio di stare in prima persona al loro fianco. Rifondazione Comunista a Genova ha dimostrato e dimostrerà questo coraggio.

Messaggi

  • Sono d’accordo con te Roberto, i vari Di Pietro e compagnia bella non si rendono conto, ma per me fingono di non sapere che pure loro sono complici dei poteri forti che sta annientando la povera gente. Stanno solo alzando un ’’grande polverone,’’ per nascondere i veri problemi sociali che affligono l’Italia

  • Ormai la politica, da anni, non è più questione di destra, di centro o di sinistra, la politica non è neanche una casta di potere, perchè come casta avrebbe la capacità, almeno per furbizia e per garantire la propria durata nel tempo, di restare entro i limiti di ciò che può essere comunemente accettabile. La politica ormai è un prodotto tra i tanti, una proprietà di gruppi economici, bancari, editoriali, industriali, non solo in Italia, ma a livello mondiale. Anzi l’assetto attuale in Italia è arrivato in ritardo - ma è arrivato: la politica non può proseguire senza il supporto dei grandi poteri economici, e viceversa, infatti la crisi dell’occidente non è un accidentale ribasso di borsa, è un crash totale del sistema. Non è neppure un fallimento del libero mercato: il mercato infatti è tutto tranne che libero, avvinghiato e costretto da inestricabili viticci e intrecci di interessi, complotti, inganni, senza controlli, nel nome di un falsato ideale di liberismo. Nessuno è veramente libero di fare, di lavorare, e neanche di intraprendere, il capitalismo moderno è basato sul virtuale, cioè sul niente, al quale si attribuisce un valore nominale che non trova riscontro nel reale.

    Non è un fenomeno nuovo: nasce nel medioevo, con la progressiva snaturazione della moneta sino all’attuale dematerializzazione dei titoli e delle opzioni; si sviluppa nell’era moderna con le società anonime nate dall’esigenza di affrontare la rivoluzione industriale e le imprese coloniali senza rischiare capitali reali; poi arrivano le limitazioni di responsabilità, le azioni e i loro oscuri mercati, governati da meccanismi privi di vere garanzie. Quando si perde la sostanza del valore intrinseco negli scambi, tutto diventa possibile, la moneta cattiva dell’economia degli ultimi 1000 anni ha scacciato la moneta buona, d’oro e d’argento, dei tempi antichi, magari barbari ma onesti, in cui ognuno rischiava del suo senza potersi nascondere dietro il comodo paravento dello schermo societario, e magari dell’impunità di fatto.

    Solo una svolta decisiva può rimettere le cose a posto, con l’abolizione delle limitazioni di responsabilità, con la reintroduzione di un’economia reale, fondata sui frutti dei campi e non sui frutti fittizi del mercato azionario, e soprattutto con l’abolizione dei mezzi di scambio nominali come il denaro virtuale a favore di una moneta basata esclusivamente sul valore intrinseco o meglio ancora un ritorno al baratto di merci.

    Il denaro contante fa perdere il significato del valore dei beni, potendo benissimo dipendere da centinaia di fattori; per fare un’esempio, è noto che oggi vanno per la maggiore telefonini e giocattoloni elettronici dai 500 ai 1.000 euro, e molti ci cascano e comprano gli inutili gadget: quanti ci cascherebbero ancora , se dovessero pagare, anzichè in moneta e magari in 800 comode rate, in pecore e chili di sale, o in sacchi di patate?
    Allora molti oggetti utili solo a chi li fabbrica resterebbero invenduti a raccogliere polvere in vetrine sempre più trascurate!

    La pubblicità, specie quella nascosta, ammiccante, è il vero male, il cancro che ci avvelena: combattiamola con una drastica riduzione degli acquisti, con una rigorosa distinzione tra ciò che è utile a noi e ciò che è utile al mercato dei padroni, facciamo della rinuncia alla corruzione delle tentazioni consumistiche il nostro nuovo credo, e riprendiamoci la Terra che Dio ha donato a tutti noi. Riprendiamo l’insegnamento di Gesù, l’originale, quello vero, l’unico che nella storia ha sconfitto imperatori, sfruttatori e padroni. Diventiamo padroni di noi stessi, nel nome di Dio!