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"... E allora la gente, i compagni, erano lì. Oggi guardano la tv, bevono qualche birra, preparano le vacanze o si cercano la vita come possono. E non è poco."

Alcuni giorni fa ho avuto una interessante conversazione con un alunno, un intelligente studente di filosofia che ragiona bene e analizza seriamente la situazione sociopolitica. Si domandava come sarebbe finita la crisi del capitalismo, e sperava in una reazione popolare, nella comparsa di una nuova sinistra e nella diffusione della democrazia partecipativa. Gli ho spiegato il mio scetticismo.
La maggioranza dei cittadini concorda con l’analisi: gli agenti che hanno provocato la crisi sono stati aiutati dagli Stati con fondi pubblici, mantengono le proprie posizioni dominanti e condizionano la ripresa economica a proprio favore con attacchi speculativi contro i focolai deboli come la zona dell’euro. Dalla caduta di Lehman Brothers, sono ormai due anni che sentiamo cantilene da parte dei governanti sulla rifondazione del capitalismo e la regolamentazione dei mercati, ma dopo tutto questo tempo continuiamo nella stessa situazione, se non peggio.
Non ci si può aspettare grandi regolamentazioni del mercato da parte di politici liberali, conservatori, socialdemocratici e democratici cristiani che torneranno al settore privato dopo il loro passaggio per la politica. Il rinvio della regolamentazione europea degli hedge funds su richiesta di Brown è stato sintomatico: il leader laburista, presumibilmente di sinistra, temeva gli effetti elettorali di una misura ritenuta di sinistra. Il leader laburista non voleva disturbare i sindacati, ma sì i finanzieri della City: il mondo capovolto o magari non più di tanto.
Paradossalmente, gli unici interventi attivi dei governi hanno aiutato le banche e tagliato i diritti sociali. Gli aiuti alle banche sono stati giustificati col timore del loro falso ricatto: se cadono loro, cadiamo tutti. Non è vero: se cadono loro, cadono gli azionisti e i dirigenti ma non i correntisti, i cui conti sono coperti dai Fondi di Garanzia dei Depositi. E se invece si trattava di concedere credito alle famiglie e alle Piccole e Medie Imprese, lo stato avrebbe dovuto concederlo direttamente attraverso una banca pubblica. Alla fine i fondi pubblici sono stati utilizzati dalla banca per equilibrare i suoi bilanci, chiedere prestiti alla BCE all’1% e comprare il debito dello stato al 4%: un vero affare. Nel caso spagnolo, sarebbe stato più logico che un presunto governo socialdemocratico prestasse denaro pubblico alle banche in cambio di azioni anziché di futures. Così, lo stato ha perso l’opportunità di entrare nel capitale sociale delle stesse e poter controllare il destino del denaro concesso.
Il capitalismo non è in crisi ma in fase di ristrutturazione. Una certa sinistra lo spiega come sconfitta del neoliberismo a causa dei suoi devastanti effetti. Tutto il contrario, dal momento che per il neoliberismo tali effetti non sono intrinsecamente indesiderabili ma contingenti. La mano invisibile descritta da Adam Smith in Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1776), quella mano che è dietro a tutte le operazioni e che finisce col mettere a posto i fattori economici, agisce in base alla selezione naturale, per la quale i forti divorano i deboli. Non siamo dunque davanti ad una crisi DEL capitalismo bensì NEL capitalismo, non una crisi del sistema bensì di alcune sue componenti, dalla quale non deriva alcuna sofferenza per altri ma, anzi, qualche beneficio. Il sistema si sta adattando e dopo i giusti ritocchi – con il ben accetto aiuto degli Stati Uniti – esso tornerà più forte di prima. Per i marxisti, il capitalismo è fallito; per i neoliberisti, sono falliti i deboli e gli incapaci ma il sistema ha lunga vita perché non ce n’è un altro. Un giorno, quella mano farà quadrare tutte le grandi cifre macroeconomiche e tutti torneremo a vivere al di sopra delle nostre possibilità, in pratica tra quattro giorni.
In questo contesto dove stanno i cittadini, la democrazia, la sinistra? Non ci sono, né sono attesi. Nella lotta tra Stato e Mercato vince chiaramente il secondo. Constatiamo che le banche e gli speculatori sfruttano la situazione e consolidano le proprie posizioni di dominio economico e politico. L’abuso è manifesto e provoca più disoccupazione e disuguaglianze, più tagli sociali e maggiore dipendenza da parte degli Stati la cui sovranità diventa limitata. Lo vediamo tutti. Ma reagiamo? No. Si vede qualcosa in Grecia, la prima vittoria propiziatoria, ma poco di più. Il sentimento internazionalista di una vera sinistra prenderebbe le rivolte greche come l’anticipo del fantasma che sta per aggirarsi per l’Europa. Presenterebbe i cittadini greci come l’avanguardia del movimento popolare europeo in rivolta contro questo capitalismo arbitrario e selvaggio. Eppure le rivolte greche vengono viste proprio per quel che sono, cioè greche, lontane, televisive. Al momento non sembra esserci rischio di contagio e i capitalisti sono tranquilli.
Nel caso spagnolo nemmeno i sindacati osano invocare lo sciopero generale. La loro dipendenza dai sussidi statali li ha portati ad un eccesso di identidicazione con un governo debolmente socialdemocratico e in questo momento non godono della necessaria credibilità per provocare una contestazione popolare. D’altra parte, il sindacalismo di classe è diventato un sindacalismo d’azienda: si mobilitano gli impiegati di un centro d’impiego davanti a una chiusura o alla mobilità, ma questo non provoca automaticamente la solidarietà degli altri lavoratori. In una società stratificata come quella attuale, il concetto di classe si è diluito. Il dualismo crescente tra operai impiegati e disoccupati fa identificare i sindacati con la difesa dei primi e l’oblio dei secondi.
Per questo vediamo che le risposte alla crisi sono molto più individuali che collettive: ognuno cerca la sua via di uscita e questo sottrae energie per una contestazione di massa. La scarsa partecipazione al primo maggio è un esempio di apatia e disinteresse dei cittadini ad articolare una risposta di classe o civile contro la crisi. Né i sindacati né la sinistra sono in grado di mobilitare la società. La supposta sinistra di governo è quella che, con la morte nel cuore, taglia i diritti sociali secondo i dettami dei mercati e della UE; e la sinistra alternativa non ha uno spazio e nemmeno elabora un discorso, coinvolta in infinite rifondazioni e lotte intestine. In mancanza di leaders e di un discorso coerente, il giudice Garzón si erge ad icona di una sinistra che si muove per cause del passato anziché del presente.
Lo studente di filosofia, impeccabile nel suo discorso civico, confida nelle possibilità aperte da Internet e dalla democrazia partecipativa. Attenzione: la rete apre spazi democratici di opinione, ma non necessariamente utili alla mobilitazione. Per dirla con Manin ne I principi del governo rappresentativo, essa aumenta i margini della democrazia da audience ma non quella partecipativa. Possiamo esprimere apertamente la nostra opinione più radicale e intransigente nei numerosi forum aperti nella rete, ma non è detto che questo possa inquietare i poteri finanziari se essa non si sposta nella piazza.
Riguardo allo sviluppo della democrazia partecipativa e deliberante, la Scienza Politica da anni analizza più o meno gli stessi casi: i saggi sulla democrazia locale di Porto Alegre e il sud est brasiliano, il voto elettronico e le liste indipendenti dei caucus nordamericani, l’elaborazione sociale e aperta dalle stime in alcuni consigli comunali e le consulte che di tanto in tanto vengono convocate in diversi municipi. La democrazia partecipativa si mantiene in un contesto locale e in fase sperimentale. Quella rappresentativa, invece, viene mediatizzata dalle élite di alcuni partiti chiusi, poco flessibili al dibattito interno e riluttanti alle liste aperte e sbloccate. Attraverso le reti clientelari che estendono i territori governati, stringono rapporti con i poteri economici. I sistemi di partiti nazionali sono ben incanalati dalle élite dirigenti e intanto l’Unione europea continua col suo deficit democratico. L’attuale offensiva del neoliberismo contro il potere politico fa condizionare lo Stato da parte del mercato e la politica da parte dell’economia e dovrebbe essere proprio il contrario. La democrazia liberale diventa così una chimera. In questo Marx aveva proprio ragione.
Perció come molti cittadini conosciamo il problema e concordiamo sulla diagnosi: il capitalismo non funziona, è ingiusto e mina la democrazia: manca un’alternativa. Ma chi la definisce, chi la difende e la applica? Il comunismo ha fallito e la socialdemocrazia si è venduta. Ma chi fa il primo passo e quanto lungo deve essere questo passo? Sinceramente non lo so. Ci sono attivisti, politici e un pensiero economico di sinistra. Ma non ci sono leaders nè organizzazione. Non manca l’alternativa teorica ma quella pratica. Manca il referente. E manca la base, l’agente protagonista: il popolo la cui sovranità è messa in discussione e non fa molto per evitarlo. Per inerzia, per disincanto, stanchezza o individualismo, non è prevista una contestazione sociale in un paese di quasi cinque milioni di disoccupati. In una tale situazione la passività è la nota dominante. L’attitudine della classe politica non è esemplare, il disincanto spazza la speranza, l’educazione ne risente e la televisione ci inonda di programmi in cui i modelli sociali sono personaggi che trionfano non per meriti di studio o lavorativi. Programmi inconsistenti visti quotidianamente da milioni di persone.
Il nostro sfondo culturale non è civico, critico e sociale come nel nord Europa. Il nostro sfondo culturale è consumista, materialista, individualista e, in certa misura, comprensivo con la corruzione. La corruzione economica, politica e culturale definisce bene quella mano invisibile di cui si parlava prima e che penetra in ogni interstizio del potere. Questo è lo sfondo che ci coinvolge, in cui viviamo e respiriamo. È uno sfondo culturale capitalista e non è facile impedirgli di contaminarci. La sinistra alternativa gioca in un terreno esterno. Il risultato è un dilemma pirandelliano: o la sinistra non trova il suo popolo o il popolo non trova la sua sinistra. Economicamente il popolo non si propone un altro sistema politico, vota una sinistra che racconta frottole per non far vincere la vera destra. Le differenze politiche sono sempre meno evidenti ma alcuni crediamo che possa essere utile votare Sagasta per non far vincere Cánovas.
Più di trent’anni fa, raccontava Lluís Llach in Damunt d’una Terra, per la gente tutto era più chiaro: “Maurizio sa molto bene/ che appena un minimo dubbio gli viene/ Maurizio sa cosa fare/ trovare i compagni e uscire per le strade”.
Maurizio sapeva cosa fare: non aver dubbi e uscire a trovare la gente. Allora la gente, i compagni, erano lì. Oggi guardano la tv, mentre bevono qualche birra, preparano le vacanze. E non è poco. La gente è troppo occupata per pensare a rivolte contro il sistema. Siete pregati di non disturbare.
Titolo originale: "Dónde está la gente?"
Fonte: http://www.insurgente.org
28.05.2010
Traduzione a cura di RENATO MONTINI
Messaggi
1. DOV’È LA GENTE ?, 10 giugno 2010, 11:31
Per cambiare le cose occorrerebbe una rivoluzione, che io personamente auspicherei, ma non vedo nessuno in giro che abbia voglia e capacità di metterla in piedi : al massimo si assiste a qualche esortazione del tipo "armiamoci e partite" !!
Diciamo la verità : a noi occidentali che viviamo nel "primo mondo", forse non conviene neppure, anche se ogni tanto ci tosano con una manovrina !!
MaxVinella
1. DOV’È LA GENTE ?, 10 giugno 2010, 11:51
Manca qualcosa di nuovo, un nuovo sogno, una nuova utopia un idea di futuro attorno alla quale riunire chi si riconosce e si proietta in essa.
Per troppo tempo siamo stati imprigionati dal dualismo ideologico capitalismo-socialismo "reale"ma adesso ci accorgiamo che è come guardare il mondo con due lenti sbagliate: è tutto sfocato e non percepiamo attraverso queste due lenti la realtà.
Il nuovo secolo non è ancora cominciato veramente e in questo primo decennio si è trascinato solo il vecchio secolo anche se forti sussulti se lo stanno scrollando di dosso.
Per ora tutto quello che si muove e riesce ad aggregare è L’ESSERE CONTRO QUALCOSA, MA DEVE ANCORA NASCERE L’ESSERE PER QUALCOSA.
Anche se i più attenti ne riescono ad individuare i contorni per esempio nel modo diverso in cui l’essere umano guarda se stesso ed il suo rapporto con il resto del pianeta e le sue risorse o una maggiore sensibilità verso le ingiustizie non solo quelle che si subiscono individualmente ma anche a quelle che condividiamo con gli altri.
Ci sono molti segni di ribellione e di stanchezza di singoli o di piccoli gruppi che si ritrovano a condividere una ingiusta sorte, quello ci manca è l’elemento cruciale che li coaguli intorno ad un progetto comune.
Che è poi lo stesso motivo per cui l’attuale centrodestra, con uno scarso 25% di consensi reali in Italia, sembra così inamovibile ....
Raf
P.S. Leggo che un rapporto Cia prevede per i prossimi anni la possibilità di insurrezioni in Europa ... ovviamente la fonte è quella che è .... però ....
2. DOV’È LA GENTE ?, 10 giugno 2010, 12:37
L’ultimo Marcuse, che era anche meno pessimista di quello dell’ "Uomo ad una dimensione, sosteneva che per superare il capitalismo occorrevano almeno altri due secoli e che questo superamento non sarebbe avvenuto in forma violenta, cioè non a seguito di insurrezioni e/o rivoluzioni !!
Evidentemente la CIA ha elaborato una concezione filosofica più avanzata, in base alla quale i tempi previsti da Marcuse si sarebbero notevolmente accorciati !!
E’ ovvio poi che la CIA, nel paventare questo, auspica che le vengano forniti i mezzi e gli strumenti per impedire che questo avvenga, reprimendo, possibilmente nel sangue, questi sciagurati eventi !!
MaxVinella
3. DOV’È LA GENTE ?, 10 giugno 2010, 13:06
La Cia realisticamente esagera allo scopo spudorato di farsi dotare dei "mezzi" ( e dei soldi) di cui parli.
Ma è anche vero che il rischio di insurrezioni ( naturalmente parlo di insurrezioni, rivolte, riots, magari su obiettivi materiali specifici, non di rivoluzioni compiute per le quali condivido abbastanza il pessimismo di Marcuse) non mi sembra per niente campato in aria.
A me francamente oggi basterebbe la creazione di un minimo di "contropere reale" che influenzi le governances e limiti i danni ....
Raf