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Europa, la strategia dello struzzo

Publie le mercoledì 31 maggio 2006 par Open-Publishing

Dazibao AGCS-Bolkestein Europa Referendum Storia Daniele Zaccaria

Un anno dopo il “No” franco-olandese al Trattato Ue, i 25 si concedono altri 12 mesi sabatici per le “riforme”

di Daniele Zaccaria

E’ passato un anno ma sembra più di un secolo: il 29 maggio 2005 gli elettori francesi dicevano “no” al Trattato europeo. La settimana successiva toccava all’Olanda deporre nell’urna il sigillo del “gran rifiuto”. Nello spazio di qualche giorno i referendum di ratifica previsti in altre capitali sono stati prontamente annullati, rinviati alle calende greche o forse a mai più. La prima Costituzione dell’Unione moriva così, ancora prima di nascere, sepolta dai voti popolari di due Paesi che, oltre ad essere membri fondatori della Comunità europea, quel Trattato lo avevano già sottoscritto in pompa magna al vertice di Roma.

Sovvertendo tutti i pronostici, il fronte del “no” era riuscito nella titanica impresa di sconfessare i propri governi, coagulando la contestazione dei movimenti sociali alle politiche “mercatiste” di Bruxelles e le ansie euroscettiche e sovraniste di ampi strati della popolazione del Vecchio continente. Per dirla con le parole corrucciate di analisti e politologi, l’Europa post-29 maggio entra in una «crisi profonda». Anche perché, trascinati dall’euroentusiasmo i governi non avevano previsto nessun “piano b” in caso di sconfitta.

Da allora l’intero processo d’integrazione non si è soltanto arenato, ma è stato del tutto rimosso dai suoi stessi architetti. Come pugili suonati, le classi dirigenti comunitarie hanno semplicemente evitato di rompersi il muso con un dossier foriero di sventure politiche (i liberal-gollisti francesi e, in misura minore, anche i socialisti, ne sanno qualcosa): «Quale capo di Stato o di governo nell’ultimo anno ha messo in cima alle sue priorità la questione europea?», si chiede sconsolato il belga Le Soir, dandosi da solo la scontata risposta.

La recente riunione di Vienna, dove sabato e domenica scorsi i ministri degli Esteri dei 25 avrebbero dovuto riprendere in mano la patata bollente della Costituzione, non ha fatto che confermare la tendenza alla rimozione: in sostanza per i prossimi dodici mesi non si farà nulla, nulla verrà negoziato né discusso. La conseguenza di questa strategia dello struzzo è che le classi dirigenti dell’Ue, dagli esecutivi alle teste d’uovo della Commissione Barroso, si concederanno una specie di anno sabatico nell’attesa che Francia e Olanda tornino alle urne per le elezioni politiche e che magicamente cambino i rapporti di forza. Quel che è certo è che, così com’è, il Trattato non verrà mai sottoscritto dai disincantati elettori della Vecchia Europa sempre più insofferenti all’ortodossia economica di Bruxelles. In tal senso, nel corso del vertice austriaco alcune flebili voci, tra cui quella di Massimo D’Alema, hanno evocato delle «modifiche» da apporre alla Carta Ue, accennato a percorsi alternativi, tratteggiato nuove ipotesi di lavoro.

Insomma, niente che vada al di là delle mere dichiarazioni di intenti o dei wishfull thinking. Piccoli esorcismi che non mutano la pessima immagine che l’Ue proietta dentro e al di fuori dei suoi confini: tutti contro tutti e ognun per sé. D’altra parte in un simile clima di smobilitazione è naturale che emergano gli interessi privati, il piccolo cabotaggio delle furbizie nazionali: dal progressivo sfaldamento dell’asse franco-tedesco, alla vicenda Enel-Suez, passando per lo slittamento dell’adesione dei nuovi membri (Bulgaria e Romania), la macchina europea si è fermata e ora rischia la rottamazione precoce. Tanto più che i cosiddetti indicatori economico-sociali disegnano un quadro a fosche tinte: crescita vicina allo zero, istituzioni delegittimate e un tasso di disoccupazione ancora altissimo, con circa 20 milioni di cittadini in cerca di un impiego. Più o meno le stesse condizioni che hanno permesso l’incubazione del “no” a quel progetto e a quell’idea elitaria di Europa.

Certo, gli oppositori al Trattato, si pensi soprattutto al caso francese, non sono riusciti a costruire l’agognata “alternativa”, nessun nuovo soggetto politico è emerso dalle macerie della Costituzione e la sinistra è ancora lacerata dalle vecchie divisioni. Ma il compito dei loro avversari è sicuramente più improbo.

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