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Fausto Bertinotti : "Ora la sfida ai riformisti per l’alternativa e un nuovo corso politico"

Publie le giovedì 14 aprile 2005 par Open-Publishing

Dazibao Partito della Rifondazione Comunista Parigi

Comitato Politico Nazionale 9 e 10 Aprile 2005. Sintesi delle conclusioni del segretario di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti

La fine dell’era berlusconiana può determinare un aggravarsi della crisi. Per questo chiediamo la caduta del governo, nuove elezioni e l’apertura di un nuovo corso. Non lo chiediamo per una conseguenza meccanica del risultato elettorale o per un astratto principio di governabilità, lo chiediamo per la condizione economica e sociale del Paese, perché questo governo rappresenta un ingombro alla possibilità di fuoriuscire dalla generalizzazione della precarietà, perché, in queste condizioni, anche l’appuntamento della prossima finanziaria rappresenterebbe un fattore esplosivo di ulteriore aggravamento della crisi.

Il problema, quindi, si ripresenta esattamente come lo abbiamo posto noi: lavorare per la sua caduta, lavorare nello sviluppo dei movimenti, nella società per praticare questo obiettivo: cacciare Berlusconi e il suo governo per aprire un nuovo corso. Dobbiamo, quindi, porci questo obiettivo, la caduta del governo, dentro la questione più generale della costruzione dell’alternativa programmatica di governo. Il tema, quindi, è complesso e dobbiamo guardare con attenzione ai processi che si aprono.

Come abbiamo più volte detto, quel fenomeno definito "belusconismo" non è una parentesi della storia, chiusa la quale si può ricominciare come prima, il "berlsconismo" è una narrazione di una certa Italia, il blocco statale che ne è stato riferimento è qualcosa che sta nel profondo della società e delle pulsioni delle classi dirigenti di questo Paese. Quindi, nella crisi e nella implosione di quell’esperienza, è tema di fondo la costruzione di un nuovo blocco sociale per far emerge una nuova classe dirigente E’ necessario aprire un nuovo corso politico, quella che abbiamo definito la Grande Riforma. La crisi è quindi aperta, il suo sbocco non scontato, ovvero non scontato il carattere che avrà il dopo Berlusconi, chi avrà l’egemonia. Sarebbe un errore grave dare per scontata un’ipoteca moderata, come sarebbe un errore pensare già acquisito il carattere di vero cambiamento della fase che si aprirà. Il punto di analisi che propriamo è che il conflitto è aperto e l’esito del processo contrastato. Come non vedere il terremoto che investe il Paese e che coinvolge, assieme al regime berlusconiano, una scomposizione delle classi dirigenti? Dismettiamo armi intellettuali troppo elementari. E’ chiaro a tutti che ci riferiamo a un campo che non è il nostro. Ma come non vedere le contraddizioni in cui la borghesia italiana annaspa e che provoca ipotesi tra loro contrapposte? Una parte della borghesia ha pensato ai dazi (non irridiamo all’idea che la sottende, ha una sua storia e una sua densità). Un’altra parte, per interessi strategici, al contrario, per interessi strategici, pensa all’internazionalizzazione dei mercati anche con il rischio di scontare una marginalizzazione. Senza una analisi articolata non si vedono i cambiamenti. Ci interessa, il riflesso politico di questi fenomeni. Chi, nei poteri forti, ha preso le distanze dal "berlusconismo", oggi è diviso.

Anche per questo la partita è aperta. Mario Monti, che è senza dubbio una delle espressioni più raffinate della borghesia colta europea, ha espresso alcuni giudizi che ritengo significativi: "Sarei preoccupato di un governo nel quale una componente rilevante rigettasse il principio della prassi di una maggiore concorrenza. " Il discorso di Minti va all’essenziale. Secondo questa impostazione i meccanismi i mercato sono in grado di determinare una regolazione ai fini dell’efficienza complessiva del sistema economico e il compito della redistribuzione del reddito, impossibile, nella sfera del processo economico, può avvenire solo a valle del medesimo, con lo strumento fiscale. La preoccupazione di Monti, che è esprime la preoccupazione di parte della borghesia italiana ed europea, è appunto quella che è presente, e in maniera non marginale, un’altra impostazione dei politica economica e sociale che pensa, dall’alto, a processi di programmazione e intervento pubblico e, dal basso, alle domande sociali che chiedono un’inversione dalla precarietà prodotta dalle politiche neoliberiste. Insomma, ripeto, il punto di fondo è che la partita è aperta e non determinato il segno del cambiamento. Questo voto non rafforza il sistema maggioritario, la sua filosofia non è la governabilità (può essere assicurata con differenti sistemi elettorali) la sua filosofia è che, per vincere si compete al centro e che il "taglio politico delle ali" è questione determinante. La vittoria di Nichi scardina il principio costitutivo del sistema maggioritario, ovvero la sua filosofia interna. Così come viene scardinato il principio, coerente con l’altro, che solo una componente moderata può guidare la coalizione. La sfida, quindi, si sposta sull’Unione, la sua natura, il suo programma. Va colto il cambio di fase: prima, la questione centrale era cacciare Berlusconi, potevi dire quello che volevi sul resto, ma quella era la cosa fondamentale. Oggi se ne apre una nuova, che non cancella al questione di accelerare la caduta del governo. In cui la centralità è la fisionomia e il programma dell’Unione. Questo è accaduto perché una linea ha avuto successo: la linea che ha scommesso sul rapporto tra unità, costruzione del programma partecipato. Una prova controfattuale è sempre possibile, se avesse prevalso un’altra linea, quella proposta dalle minoranze.

Facciamo casi concreti. In Piemonte, la più importante Federazione della Regione espresse un voto contrario all’intesa e nel Regionale l’accordo con l’Unione passò per pochi voti. Se fossimo andati da soli, cosa sarebbe accaduto? Come saremmo stati vissuti dal popolo delle sinistre e come saremmo stati osservati? Se le primarie sono di per sé corruttive e, quindi, le avessimo rifiutate, cosa sarebbe accaduto in Puglia? O avremmo digerito un candidato moderato o avremmo messo Nichi in una corsa minoritaria. Come saremmo stati vissuti? Non avremmo, inoltre, impedito la messa in moto di quel fenomeno di partecipazione di massa che è stata la leva della vittoria elettorale? Uniti, si vince, non è una espressione vera in qualsiasi contesto e condizione, ma questa è la fase che si è aperta e per questo, diversamente che 5 anni fa, abbiamo posto la ricerca di una convergenza programmatica dentro una cornice generale di tendenza all’unità. Vorrei che ricapitolassimo in estrema sintesi i le risultanti del voto: - Siamo entrati decisamte nella fase della fine dell’era berlusconiana; - Le forze dell’Unione conquistano la maggioranza reale del Paese, fatto senza precedenti e, a ll’interno di questa alleanza, le forze riformiste colgono un successo particolare; - La vittoria di Nichi Vendola rappresenta una sperimentazione politica di prima grandezza; - Il PRC colloca il suo risultato tra le precedenti regionali e le Europee. Nella combinazione di questi fattori, il popolo delle sinistre ha vissuto la propria vittoria e c’è l’ha attribuita. Non si può prescindere da questo sentire comune. Non dobbiamo schivare i nostri problemi. Vanno individuate, selezionate, corrette tutte le nostre insufficienze. Sono aperti problemi di insediamento, vanno superate le difficoltà che incontriamo ne voto amministrativo, in particolare quello del prevalere in tali competizioni dell’affidamento personale e del voto di scambio. C’è un problema, che alcuni compagni hanno spiegato con esempi concreti, della dispersione per i simboli simili. Questi problemi vanno affrontati, ma dove e come? Io credo, nel quadro di una iniziativa che accentui il lavoro sull’alternativa di società e dell’apertura del Partito nella direzione della costruzione della sinistra di alternativa. C’è un problema politico che non va eluso: in tutta Europa, quando la competizione con le destre si fa stringente, le forze riformiste tendono a calamitare i consensi come un affidamento più sicuro.

Dobbiamo rassegnarci a questo esito? Assolutamente, no! Dobbiamo cogliere le nuove possibilità che si aprono. Il punto consiste oggi nel passaggio tra la fine di Berlusconi e la caratterizzazione dell’alternativa programmatica: questo deve essere il centro della nostra iniziativa con l’obiettivo di spezzare quella che abbiamo definito la "legge del pendolo", quella che dice che le sinistre non riescano a mantenere le speranze accese quando dall’opposizione sono portate dalla spinta popolare al governo. Come fare? LO dico drasticamente per affermare la nettezza di una scelta: noi non dobbiamo regredire da questo processo unitario. Chiamarci fuori o dare l’impressione di una sottrazione sarebbe disastroso. Al contrario, dobbiamo giocare fino in fondo la carta della relazione tra il movimento e la costruzione del programma. Come in Puglia, una grande iniziativa di massa che faccia del programma partecipato il centro di una campagna generale nel Paese. IL problema, quindi, è lo sviluppo della linea non la sua correzione. L’Unione ha messo fine all’era berlusconiana. E’ un fatto storico. Risolve il problema dell’alternativa programmatica? Non, non lo risolve. Ma, senza quella scelta, il problema non potrebbe neanche essere posto. Occorre rompere con la cultura politica che privilegia la propria caratterizzazione rispetto al corso politico. Ciò ti renderebbe estraneo al processo di cambiamento in tutta Europa Non escludersi dal corso, ma incidere nel corso, questo è il problema e, in questa battaglia, rilanciare la sfida con i riformisti. Qui dentro, dentro questo corso, costruisci la tua autonomia e l’autonomia dei movimenti. Dentro questa impostazione, occorre sviluppare campagne impegnative.

Il rinnovo dei contratti ne costituisce un asse centrale per la politicità che caratterizzano queste vertenze. Il contratto dei lavoratori del Pubblico Impiego è in pratico la cartina di tornasole attorno alla quale si determina il cambiamento di impianto della legge finanziaria, il contratto dei metalmeccanici aggredisce proprio il cuore delle affermazioni di Monti sul mercato e la concorrenza come elementi sovraordinatori della politica economica. Il governo delle Regioni e dei municipi rappresentano oggi un terreno eccezionale di iniziativa e di governo. Partiamo da due punti semplicissimi, quelli che venivano ricordati come impegni programmatici di tutta l’unione in Puglia: no ai ticket e salario sociale. Rilanciamo il potere locale come contrasto alla generalizzazione della precarietà, a partire dall’ostacolo alla legge 30. C’è una circolarità che dobbiamo saper far vivere: lotte contrattuali, vertenze sociali e territoriali, ripresa e sviluppo del movimento per la pace, il ritiro delle truppe, i referendum del 12 e 13 aprile. In questa ripresa generale, collochiamo anche una partecipazione importante al 25 Aprile al Primo Maggio, le manifestazioni, gli appuntamenti di movimento.

Senza questa circolarità e una ripresa generale è davvero difficile vincere anche le singole vertenze. Quando il padronato italiano dice ai lavoratori metalmeccanici: o il contratto o l’orario, non sta da solo, sta dentro una logica che pervade questa Europa (basti pensare alla direttiva sull’orario che si vuole far passare). Ma anche qui, e anche questo è un fatto storico, per la prima volta emerge una critica europeista da sinistra e non confinata nel ghetto delle chiusure nazionaliste. Noi, con IL Partito della Sinistra Europa ne siamo protagonisti. Si può aprire un nuovo e diverso cammino. La democrazia partecipata come strumento di costruzione del programma è l’architrave che proponiamo come elemento decisivo di fase. Dentro questo ambito il PRC può compiere un salto in avanti. Il popolo delle sinistre è il mare in cui vogliamo nuotare. S ugli organigrammi proposti, aggiungo solo una cosa alla relazione fatta e che condivido pienamente. Non ripeto le argomentazioni, vorrei solo invitare a una maggiore laicità sulle formule organizzative.

Si propongono esperienze, queste esperienze si fanno e si correggono, se necessario, durante il percorso. C’è un Comitato Politico Nazionale eletto proporzionalmente così come la direzione, c’è un esecutivo, che sulla base del nome deve mettere in operatività la linea scelta a maggioranza, per funzioni in cui le minoranze hanno comunque una presenza. Si propone un funzionamento classico: organi deliberativi proporzionali, organi operativi di maggioranza con la presenza delle minoranze. Rappresenta, come è stato detto, una scissione di maggioranza? Se lo pensi, come fai, poi ad entrarci? E’ una deriva maggioritaria, come il berlusconismo? Perché allora ci entri? Sarebbe meglio, per tutti lo dico, un invito alla sobrietà.