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Felicia è morta la mafia no

Publie le sabato 11 dicembre 2004 par Open-Publishing

Dazibao Movimenti


Finestre chiuse, negozi aperti, gente rintanata in casa, niente lutto a Cinisi.

I funerali della mamma di Peppino Impastato in una Sicilia da anni 50
Cinisi

di Francesco Forgione

Quando, poco dopo le dieci di una mattinata piovosa, a Cinisi, la bara ha varcato la soglia della sua casa, ad applaudire per l’ultima volta Felicia Impastato, la mamma di Peppino, e cioè la donna che ha avuto il coraggio di puntare l’indice contro il capo dei capi della mafia, ci sono poco più di centocinquanta persone. La gran parte di loro è venuta da fuori, da Palermo: magistrati, qualche uomo politico, fotografi, giornalisti, cineoperatori, ragazze e ragazzi - scout, giovani comunisti, centri sociali - quelli del forum sociale contro la mafia. E poi naturalmente ci sono i vecchi compagni di Peppino. E la gente di Cinisi? Dov’è la gente di Cinisi? Non c’è. Chiusa in casa con le persiane sprangate.

Sono passati 26 anni da quel maggio del 1978, quando la mafia del boss Tano Badalamenti uccise Peppino Impastato. Ieri l’aria che si respirava a Cinisi sembrava quella di allora, quella che tanti di noi, e intere generazioni di giovani, hanno imparato a conoscere leggendo i libri e le inchieste pubblicate dal centro di studi e documentazione "Peppino Impastato", o attraverso le immagini belle ed emozionanti del film "I cento passi". Ma quella di ieri era la Cinisi reale, un paese dove la mafia è forte, si fa sentire, vedere, respirare, toccare con mano. Qui Cosa Nostra ha sempre comandato e continua a comandare, anche se da qualche anno non ha bisogno di sparare. E stavolta ha dato l’ordine di non andare ai funerali di Felicia. In questa giornata piovosa si è visto allo specchio il significato profondo di tutta la vita di questa donna, il suo essere stata una donna scomoda, una mente libera e viva di questa comunità, diventata via via, in anni di lotte, e denunce, un corpo estraneo.

Il sindaco aveva indetto un giorno di lutto cittadino e, con un manifestino murale, aveva invitato la cittadinanza a partecipare ai funerali. Invece, bastava attraversare il corso principale per vedere che negozi e bar erano tutti aperti, non abbassavano le saracinesche neanche al passaggio del corteo funebre. Erano serrate invece le imposte di tutte le case, balconi e finestre, dietro alle quali si scorgevano corpi e volti di donne e uomini nascosti, che si ritraevano appena i fotografi alzavano i loro obiettivi. Non era un film della Sicilia degli anni ’60, sulla vecchia mafia in coppola e lupara, con le donne avvolte in scialli neri: era Cinisi, una cittadina di oltre 10 mila abitanti alle porte di Palermo, giovedì 9 dicembre del 2004. Che rabbia.

Certo, la vita di Felicia Impastato è stata una vita scomoda, difficile, ma ricca e carica di umanità. La racconta nel suo ultimo saluto Umberto Santino l’ispiratore e presidente del centro di documentazione intestato a Peppino: «Tu eri una donna siciliana chiusa nel lutto e nel silenzio. Ma quando, ai funerali di Peppino, hai visto Giovanni che alzava il pugno, hai capito che bisognava continuare. E hai detto: "Vogliamo giustizia non vendette"».

Questa è stata la vera rivoluzione di Felicia, la donna minuta, ironica, sarcastica, sempre vestita di nero nel perdurare di un lutto insanabile. Un esempio. Con un solo gesto poteva dare il via ad una guerra di mafia per vendicare la morte di Peppino. I parenti americani, mafiosi anche loro, erano già pronti a scaricare il loro piombo sugli uomini di Badalamenti. Invece no. La sua scelta di denuncia pubblica e di rottura con i codici e la cultura mafiosa, una scelta non violenta nel suo significato umano, culturale e politico più profondo, ha segnato l’avvio di una nuova visione della lotta contro la mafia che ormai, attorno alla figura di Peppino Impastato, motiva migliaia di giovani e ragazze in tutta Italia.

«Ti eri data appuntamento con il capomafia in un’aula di tribunale - continua Santino - e ce l’hai fatta, quando col dito puntato contro il video della prigione americana, dove in teleconferenza stava Badalamenti, gli hai detto: tu sei l’assassinio di mio figlio».

Per anni questa verità, Felicia, Giovanni e i compagni di Peppino, l’hanno urlata ai quattro venti, mai ascoltati però da chi doveva dare giustizia e invece depistava le indagini e i processi. Ora anche la giustizia è arrivata e la verità è sancita da quella relazione della commissione parlamentare antimafia diventata atto ufficiale dell’intero parlamento. Non ci si sarebbe mai giunti se quella casa che ieri Felicia ha lasciato per l’ultima volta, una casa piccola e modesta, carica di dignità, a pochi metri - cento passi - dalla casa di don Tano Badalamenti, in questi quasi trenta anni non fosse diventata quella che Santino definisce «un altare civile e un santuario laico». In quella casa in tutti questi anni ha vissuto Felicia, ha incontrato e parlato con tutti, ha chiesto e ha detto la sua in modo fermo, convinto, sempre tenace e mai rassegnata. Anche se le ultime volte anche a me diceva che qui, a Cinisi, non si muoveva più niente.

La vita di Felicia è stata dura: moglie di un mafioso, amico di mafiosi e di Badalamenti, ma anche madre di Peppino. La madre che nello scontro tra il figlio e il marito e il mondo del marito scelse il figlio, l’altro mondo possibile, diremmo oggi, anche se allora era impossibile persino pensarlo. In questa rottura Felicia si è costituita in donna per sé con la sua consapevolezza la sua cultura la sua storia la sua visione forte e partigiana delle cose e del mondo. La sua era una coscienza politica vera, vissuta dentro un conflitto interiore e un conflitto sociale aspro con la sua realtà.

D’ora in poi, a partire dal prossimo 9 maggio, quando come ogni anno ci ritroveremo a Cinisi per ricordare Peppino, sarà difficile abituarsi all’idea che Felicia non c’è più: difficile per Giovanni, Felicetta e Luisa, difficile per tutti noi. Ma sarà difficile anche dimenticarla Felicia, lei e la sua lezione di vita a tutti noi. Anche a quella Cinisi, nascosta dietro le finestre e i balconi, che se non troverà la forza di raccogliere il suo esempio e il suo coraggio, sarà destinata a continuare a vivere nel buio della paura, accucciata nell’ombra di una realtà mafiosa senza futuro.

http://www.liberazione.it/giornale/041210/LB12D680.asp