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Il Mullah Omar è vivo. E lotta insieme a noi?

Publie le giovedì 28 settembre 2006 par Open-Publishing
3 commenti

Dazibao Movimenti Guerre-Conflitti medio-oriente Franco Ferrari

di Franco Ferrari

La crisi dell’egemonia delle forze nazionaliste e progressiste nel mondo arabo-islamico e l’emergere di forti correnti radicali fondamentaliste pone diversi problemi di analisi e di valutazione alle forze di sinistra. Apparentemente lo scontro politico, militare ed ideologico si gioca tra questi movimenti da un lato e gli Stati Uniti, sostenuti da Israele e da alcuni governi conservatori,dall’altro. Le forze di sinistra, secondo alcuni, dovrebbero schierarsi senza alcun dubbio con le correnti islamiche reazionarie, identificate tout court con i rispettivi popoli.

Questa è la scelta che sembra fare anche la coalizione promotrice della manifestazione di Roma del settembre che chiede, tra l’altro, il ritiro delle truppe italiane dall’Afghanistan e dal Libano e invoca il sostegno alla “resistenza” dei popoli palestinese, libanese, iracheno e afgano. Questa posizione solleva una serie di interrogativi che riguardano le vicende specifiche dei paesi dell’area mediorientale dove sono in corso conflitto militari, ma anche lo stesso ruolo e prospettiva strategica delle forze di sinistra.

Parlare di “popoli” consente di mantenere una ambiguità semantica, ma il sostegno rivendicato non può che essere a precisi attori politici e militari che sono in sostanza: i Talebani in Afghanistan, i gruppi della resistenza militare irachena (non riconducibili ad una sola organizzazione e nemmeno ad un solo orientamento ideologico), Hamas in Palestina, Hezbollah in Libano. Quindi la domanda è: la sinistra deve appoggiare queste forze e auspicare la loro vittoria?

Siamo in presenza di soggetti politici tutt’altro che omogenei che rappresentano all’interno del mondo islamico tradizioni non solo diverse ma anche tra loro spesso in aperto conflitto. I Talebani del Mullah Omar fanno capo ad una variante pakistana del wahabismo saudita. Sono violentemente ostili agli sciiti, rappresentati in Aghanistan dalla minoranza hazara, che hanno violentemente perseguitato. La resistenza irachena (usiamo il termine “resistenza” senza attribuire a questo termine un segno di valore) è pressoché interamente sunnita e combatte un governo a predominanza sciita. Hamas nasce da una filiazione della Fratellanza Musulmana che nasce in Egitto all’interno del mondo sunnita. Hezbollah è radicato all’interno della comunità sciita libanese.

Gli sciiti in generale (come il regime iraniano) hanno appoggiato le guerre Usa in Afghanistan e in Iraq, se non altro perché queste avrebbero consentito di dare maggior potere ai loro confratelli in quei paesi.

Si può dire che questi movimenti rappresentino i rispettivi popoli?. Sicuramente Hamas ha una forte base di massa nel popolo palestinese, ma la resistenza armata irachena e ancora di più i Talebani rappresentano una minoranza dei rispettivi popoli. Hezbollah ha un grande seguito ma resta strutturalmente ancorato ad essere espressione della comunità sciita e non di tutto il popolo libanese, frammentato in molteplici identità. Sono quindi realtà politiche che per la loro stessa connotazione etnico-religiosa non possono assumere la rappresentatività dei rispettivi popoli.

Non sono nemmeno in grado di offrire una prospettiva sociale e politica di avanzamento per gli Stati in cui operano, né per il mondo arabo e islamico nel suo complesso. La “vittoria” di Hezbollah (che in realtà ha beneficiato degli errori commessi da Israele) potrebbe riportare il Libano ad una situazione di contrapposizione anche violenta tra le varie comunità, mettendo in pericolo i faticosi equilibri raggiunti dopo la fine della guerra civile, e chiudendo la strada ad una prospettiva di riforma democratica della politica e della società libanese perseguita dalle forze democratiche.

A pochi mesi dal suo successo elettorale, Hamas è in crisi e sta portando i palestinesi in un vicolo cieco. A dimostrazione che, nonostante le sue contraddizioni e i suoi limiti, la strada tracciata da Arafat, con la formazione dell’Autorità Palestinese, non ha vere alternative.

In Iraq, la resistenza armata non ha saputo favorire le condizioni per realizzare una via d’uscita politica che mettesse fine all’occupazione militare USA e si trova sempre più ad essere una delle componenti di una guerra civile endemica, a cui si sta cercando di metter fine avviando la divisione di fatto del Paese in tre parti.

Infine in Afghanistan è difficile pensare che un ritorno al potere dei Talebani, possibile in realtà solo se le milizie e i signori della guerra cambiassero campo, come hanno fatto molte volte dagli anni della resistenza all’invasione sovietica, non rappresenti una tragedia per quelle forze democratiche che pure esistono, anche se devono operare ai margini del conflitto tra USA, forze NATO, signori della guerra, padroni dell’oppio e Talebani.

Se tutto questo è vero qual è l’unica qualità politica che dovrebbe portare la sinistra a sostenere questi movimenti e ad auspicare la loro vittoria? L’essere in qualche misura all’opposizione del disegno mediorientale dell’Amministrazione Bush e della “cupola” neo-conservatrice. Questo come abbiamo richiamato sopra è vero solo in parte. In Iraq soprattutto, ma in misura minore anche in Afghanistan, parte di queste forze sono il principale pilastro della politica di intervento americano.

Le analisi ideologiche tendono a ridurre i conflitti mediorientali, spesso complessi e contradditori, in un teatro dei pupi dove i buoni e i cattivi sono facilmente identificabili.

Se è sicuramente giusto battersi per la sconfitta della strategia americana in Medio Oriente, sarebbe di per sé positiva l’affermazione di movimenti il cui carattere ideologico e politico è sostanzialmente reazionario? Sono convinto di no. Una sconfitta politica vera della politica imperiale degli Stati Uniti, sarebbe tale se spostasse la realtà mediorientale su un terreno più avanzato sul piano della democrazia e delle libertà, su quello sociale, della pace e della fuoriuscita dalla violenza come strumento di regolazione dei conflitti. Per questo occorre lavorare con le forze che si muovono in questa direzione, per quanto oggi possano essere deboli, più che con il Mullah Omar.

Messaggi

  • E se non ci fosse stata alcuna resistenza all’invasione dell’Afganistan da parte degli USA & Company?
    E se gli israeliani non avessero incontrato la resistenza in Libano?
    E se gli in Iraq i mercenari non morissero?

    Il mondo sarebbe migliore senza alcuna opposizione all’imperialismo!!!

    Abbiamo sputtanato il movimento comunista anche nel nostro paese e pretendiamo di essere i soli a rappresentare la sola alternativa. Abbiamo gettato merda sulle lotte dei popoli dirette dai comunisti e adesso ecco tocca agli islamisti. I fini intelletuali di sinistra lavorano per ... Per distruggere ogni opposizione seria all’imperialismo.

    In Italia il governo circense di Prodi è solo l’ultimo in ordine di tempo di delle trovate dei fini intelletueli di sinistra per far tacere ogni possibile opposizione!!!

  • Sono completamente d’accordo con Ferrari.

    La posizione di chi sostiene certi gruppi integralisti non è -semplicemente- una posizione di sinistra. Tanto è vero che è la posizione dei Blondet, dei Preve e della destra più fascista.

    Proporla a sinistra dà solo spazio ad una serie di ambiguità: ci si dice pacifisti ma si appoggiano i guerrafondai della jihad; ci si dice antimperialisti ma, in realtà, si è subalterni ad uno dei due imperialismi in lotta. Fra socialismo e barbarie si sceglie, così, la barbarie, giustificandola con un concetto taumaturgico (la lotta dei popoli), dimenticando che esso era una creatura dell’ imperialismo sovietico!
    E, naturalmente, si dà spazio all’ antisemitismo, giungendo così, infine, proprio là dove convergono tanto i nazisti nostrani quanto i loro alleati naturali, alla Ahmadinejad, alla Bin Laden, alla Nasrallah.

    E’ questa una posizione che, a partire dalla manifestazione del 30, è semplicemente da respingere .

  • E’ complesso capire nel pentolone orientale che cosa bolle , cosa può far male e cosa far bene . Gli è che le forti divisioni del mondo arabo , divisioni religiose, etniche , di clan, di potere danno alla guerra connotati che forse era possibile ritrovare solo nell’Italia delle signorie , di tutti contro tutti, di alleanze cambiate e ricambiate ad ogni batter di ciglia, di tradimenti improvvisi, di voltafaccia inspiegabili. La sensazione è che lo scontro sia solamente fra svariati gruppi di potere, con un assoluto disprezzo dell’effettiva sorte della gente , strumentalizzata con un cinismo di cui è difficile trovare l’eguale . Niente è più devastante della denunzia delle drammatiche situazione del popolo fatte da oligarchi guerrieri nel sicuro conortevole e ricco dei loro rifugi.
    Buster brown