Home > Il mio amico Ken
Un’incontro con Ken Loach, per proporgli alcune nostre iniziative editoriali, diventa un’occasione per discutere della sinistra anticapitalista europea, del suo prossimo documentario e della sua passione per il calcio.
Giulio Calella www. ilmegafonoquotidiano
L’occasione è la proposta di un libro, anzi due, da fare con Edizioni Alegre: la sceneggiatura del suo prossimo film – Route Irish, sui Contractors nella guerra in Iraq – e l’idea di scrivere una sua biografia, corredata da una lunga intervista. Ken Loach è a Roma per un’iniziativa del Centro di cultura ecologica, una tre giorni dedicata al regista inglese dal titolo “Il mio amico Ken”, giocando con quello del suo ultimo film dedicato all’ex calciatore francese del Manchester United Eric Cantona: “Il mio amico Eric”.
Lo incontriamo nel suo albergo e gli spieghiamo le nostre proposte di pubblicazione, già accennate via mail. È molto disponibile e parla in un inglese chiarissimo. In un attimo la conversazione diventa una discussione sulla sinistra anticapitalista in Europa, sul suo prossimo documentario e sulla sua passione per il calcio.
Vede il catalogo della nostra casa editrice e si sofferma sul libro intervista al Subcomandante Marcos Punto e a capo – «deve esser difficile fumare la pipa con quel passamontagna» sorride – e soprattutto sul libro intervista a Besancenot, il leader del Nuovo partito anticapitalista francese. «Mi piace molto Besancenot. Questo libro non sarebbe male tradurlo anche nel Regno unito». Buona idea, ci proviamo, rispondiamo noi. «La mia speranza è che il suo progetto si diffonda in Europa, anche se finora mi pare che non stia succedendo».
A quel punto gli chiediamo dell’esperienza inglese di Respect, la coalizione della sinistra anticapitalista inglese di cui lui stesso ha fatto parte e che per qualche anno ha acceso speranze anche nel nostro paese. «Era un’ottima opportunità, ma purtroppo alcuni errori e caratteristiche personali ne hanno provocato l’implosione. Nel 2003 c’erano 2 milioni di persone in piazza contro la guerra, ma si è aspettato troppo in attesa dell’uscita di Galloway [poi leader di Respect] dal Labour party, e quando Respect è stata lanciata il movimento era già in riflusso. All’individualismo di Galloway si è poi aggiunta la rigidità dell’Swp [Socialist Worker party, l’organizzazione più rilevante della coalizione]…ad esempio, non siamo nemmeno riusciti a realizzare un giornale dell’organizzazione». Poi passa all’Italia, «che succede da voi, esiste ancora Rifondazione comunista?».
Gli raccontiamo la situazione italiana, la spaccatura di Rifondazione dopo la disastrosa esperienza del governo Prodi in cui la sinistra ha votato di tutto, compresa la guerra, le scissioni, le liti, l’uscita stessa di Bertinotti dal partito. E aggiungiamo che, seppur in modi diversi, sia il nuovo partito di Bertinotti e Vendola che quel che resta di Rifondazione propongono ancora l’alleanza di governo con il Pd per le prossime elezioni. Scuote la testa, «così è un compromesso permanente…», dice. Purtroppo, aggiungiamo, le organizzazioni alla sinistra di Rifondazione non hanno ancora la forza per lanciare un altro progetto.
Ci racconta di un festival in Canada, a Toronto, presenti sia lui che Michael Moore sullo stesso palco. Un sindacalista chiede di intervenire e loro ne sono ben lieti. E quello spiega che gli addetti delle pulizie del festival lavorano senza diritti. Panico in sala, gli organizzatori chiedono di farlo zittire, ma il sindacato canadese è piuttosto attivo e creativo. Infatti decide di gonfiare un topo gigante e di metterlo davanti al luogo del festival. Fanno così ogni volta in cui i diritti dei lavoratori non sono rispettati e c’è una vertenza in corso: gonfiano un topo gigante per segnalare che quell’azienda è una fogna, senza diritti. «È stato divertentissimo per noi vedere quel topo, e Moore è stato veramente bravo ad amplificare la cosa. Per gli organizzatori del festival invece è stato un vero shock…». «Ecco, forse abbiamo bisogno di idee come queste, che funzionano molto di più delle pratiche di lotta di molti sindacati e organizzazioni politiche monolitiche europee».
Ma torniamo all’idea della biografia. Ci consiglia di parlare con qualcuno in Inghilterra, perché la sua memoria non può essere la verità assoluta. Noi avevamo pensato anche di intervistare Eric Cantona, per costruire un racconto inverso rispetto al film. Sorride molto divertito. E conferma ancora una volta la sua ammirazione per l’“amico Eric”: «Lui è proprio un bel personaggio. Ci parli e ti sembra di parlare con un esponente della classe operaia. Non ha nulla dell’arroganza borghese…». Il contrario di Fabio Capello, gli diciamo noi, per cui aveva mostrato una certa ammirazione quando il tecnico italiano è andato ad allenare la Nazionale inglese e di cui sottolineiamo le propensioni conservatrici. «È di destra? Non pensavo…brutta cosa!».
Ci spiega poi che ha due squadre del cuore, il Bath city – piccola squadra di una cittadina termale, in cui ha passato buona parte della sua infanzia – e il Fulham, una delle squadre di Londra. Mentre odia il Chelsea. «Anche ieri sera all’iniziativa qui a Roma, mentre parlavo di rivoluzione e lotta di classe, guardavo di continuo il cellulare per capire cosa faceva il Fulham…stavamo vincendo due a zero e alla fine ci hanno recuperato. Ogni partita è una commedia…».
Cerchiamo di metterci d’accordo per i due libri. Il film Route Irish dovrebbe uscire in Italia nei cinema tra febbraio e marzo. Lui intanto si metterà al lavoro per un nuovo documentario sulle nazionalizzazioni inglesi successive alla guerra, tra il 1946 e il 1948. «Certo, furono nazionalizzazioni senza partecipazione democratica, ma in questo periodo di privatizzazioni totali mi pare molto interessante ricostruire quella dinamica».