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LA CAPITOLAZIONE DELLA CGIL

Publie le mercoledì 29 giugno 2011 par Open-Publishing

Il vento è cambiato, grandi movimenti, tante parole roboanti, c’è chi ha persino parlato di “rivoluzione” per l’esito delle elezioni amministrative e dei referendum, spargendo a piene mani illusioni che si infrangono immediatamente nello scontro materiale fra capitale e lavoro, che è quello, per chi si ritiene comunista e marxista, che al nocciolo decide dei reali rapporti di forza in una società.

Infatti, in questo bailamme superficiale e propagandistico, in pochi si sono accorti che anche la Cgil ha firmato nei giorni scorsi il nuovo patto sociale richiesto da tempo da Confindustria e governo al fine di disarmare i lavoratori in preparazione del massacro sociale in arrivo e di nuove ondate di licenziamenti.

L’accordo tra Cgil, Cisl e Uil e Confindustria su contrattazione e rappresentanza , firmato nella tarda sera di martedì 28 giugno, è la definitiva capitolazione della Cgil, capitolazione abbastanza prevedibile, anzi da tempo perseguito dalla segretaria Camusso (e dalla sua maggioranza) che ha fatto di tutto nei mesi scorsi per combattere e sconfiggere la Fiom invece di sostenerla.

"L’accordo firmato da Susanna Camusso – ha dichiarato Giorgio Cremaschi – estende a tutti i lavoratori e le lavoratrici il modello Fiat. E’ un cedimento gravissimo che contrasteremo dentro l’organizzazione nelle fabbriche e nel paese".

L’accordo è stato firmato ufficialmente in tarda serata di martedì 28 ma in realtà era stato già tutto deciso venerdì 24, dopo un lungo lavorio sotterraneo tra Gaetano Sateriale (un tempo dirigente della destra Fiom-Cgil espulso dalla Fiom di Sabattini; poi per 5 anni sindaco di Ferrara). Si tratta di un accordo immondo che lascia i lavoratori senza difese, senza diritto di organizzazione autonoma, senza diritto di voto né su contratti né sui delegati. Un testo di 9 punti, articolato in più parti, che tratta la rappresentanza, l’esigibilità dei contratti, cioè la loro efficacia, la contrattazione aziendale.

Le deroghe non vengono citate ma si dice che “si possono attivare strumenti contrattuali mirati a specifici contesti produttivi e specifiche intese modificative delle regolazioni previste dai Ccnl” nei limiti previsti da quest’ultimi. Come dice Marcegaglia "i contratti aziendali sono ora più forti ed esigibili".

Sulla rappresentanza, è definito un criterio basato sul mix tra iscritti certificati e voti nelle Rsu e per approvare un contratto serve il 50 per cento più uno. Dove esistono le Rsa si va al voto dei lavoratori. In caso di accordo valido scatta la “tregua dello sciopero” sul modello dell’accordo raggiunto con i sindacati Usa, cioè nessuna astensione dal lavoro per un certo periodo.

Nell’accordo, come ha sottolineato Emma Marcegaglia, viene recepita la sostanza della vertenza Fiat, cioè la volontà di articolare la contrattazione aziendale e territoriale a seconda delle necessità delle imprese e viene sconfitta nettamente la Fiom.

Non si tratta solo di una capitolazione alla Confindustria e alla Fiat (che con questo accordo tornano unite), ma anche del primo atto concreto, probabilmente favorito anche dal presidente Napolitano, di neo-concertazione sindacale nel clima nuovo di responsabilità nazionale col coinvolgimento dell’opposizione democratica dopo la sconfitta di Berlusconi alle amministrative e ai referendum. Non a caso il ministro Tremonti ha voluto rivolgere un sentito "grazie" ai leader sindacali e alla presidente di Confindustria "per quello che hanno fatto oggi per il bene del nostro paese".

Pubblico qui di seguito una significativa intervista a Gianni Rinaldini, apparsa su "Il Manifesto", chiedendo ai comunisti, innanzitutto ai due partiti comunisti principali, il Prc (a partire dal suo Comitato Politico Nazionale convocato per il 9 e il 10 luglio) e il Pdci, di sostenere senza se e senza ma l’opposizione a questo accordo. E’ nelle lotte dalla parte dei lavoratori che innanzitutto ci si unisce e si definisce cosa significa essere comunisti oggi.

Leonardo Masella, 29 giugno 2011.


«Lunare e imbarazzante».

Per Gianni Rinaldini, 8 anni da segretario generale della Fiom, ora coordinatore dell’area «La Cgil che vogliamo» e membro del Direttivo nazionale di Corso Italia, la discussione che va avanti tra Confindustria e i sindacati è fotografata da questi due aggettivi. Che valgono però anche per il dibattito interno alla Cgil.

Sembra abbiano firmato l’accordo...

È la conferma delle voci che dicevano che il testo c’era già. Non è credibile che, in una trattativa così complicata, abbiano fatto tutto nel giro di poche ore.

Si apre un problema nella Cgil?

Non è stato presentato nessun testo scritto. Al tavolo non c’era neppure una «delegazione trattante». Han fatto tutto in due o tre della segreteria. Una roba inaccettabile nella vita interna della Cgil. Non c’è stato nemmeno un «ufficio» ad affiancare, come si fa di solito, con i segretari di categoria. Nei miei ricordi, trattative così delicate e importanti vedevano la Direzione della Cgil (ora non c’è più) convocata in seduta permanente e in continuo contatto con la delegazione al tavolo. Viene siglato o firmato un accordo assolutamente misterioso per i segretari generali di categoria e il coordinatore di un’area nazionale della Cgil. Di fatto il Direttivo sarà messo nelle condizioni votare una sorta di «fiducia» alla segretaria. Sì, esiste ormai un problema di democrazia nella vita interna della Cgil.

Non si è discusso abbastanza?

Con il meccanismo sviluppatosi purtroppo negli ultimi anni, ogni votazione del comitato direttivo si configura alla fine come un voto di fiducia sul segretario generale. Pensando in questo modo di annullare l’articolazione del dibattito esistente. Stavolta non mi sorprenderei che qualcuno, rientrato recentemente in Cgil come coordinatore della segreteria del segretario generale, dopo aver svolto a lungo ruoli amministrativi (Gaetano Sateriale, ndr), abbia in questi giorni lavorato alla definizione del testo.

Cosa sai sul merito dell’accordo?

E’ riassumibile in un aspetto centrale decisivo, da cui discende tutto il resto: lavoratori e lavoratrici non sono chiamati a votare le piattaforme e gli accordi che li riguardano. Il meccanismo individuato prevede che attraverso la «certificazione» (un mix tra iscritti e voti alle rsu) le organizzazioni che superano il «50%+1» possono fare accordi che diventano immediatamente esecutivi. Questo è devastante. Perché nega la democrazia, che assieme al conflitto è l’unico strumento a disposizione dei lavoratori per intervenire sulla propria condizione. E inquina fortemente gli stessi tavoli di trattativa, perché quando ci si parla tra soggetti sociali espressione di interessi diversi, non si è in un club di amici. È prevedibile che si darà vita a un mercato del tesseramento, teso a favorire le organizzazioni più disponibili a certi accordi. Non mi sorprenderebbe che arrivassero pacchi di iscritti a questa o quell’organizzazione. Sta nelle cose.

Qual’è il punto di principio?

Non sottoporsi al voto e al giudizio dei lavoratori vuol dire affermare il concetto che i contratti sono proprietà delle organizzazioni sindacali, e non fanno capo all’espressione della volontà dei soggetti interessati. Non era mai avvenuto che la Cgil istituzionalizzasse in un accordo che questi sono validi senza il pronunciamento dei lavoratori. Tutt’al più, in questi anni, si è discusso sulle forme della consultazione. Faccio presente che gli accordi separati dei metalmeccanici, nel 2001 e 2003, avvennero proprio sul referendum tra i lavoratori a fronte di posizioni diverse. In ambedue i casi, Fiom e Cgil decisero congiuntamente.

Che fine fanno le rsu?

A livello aziendale, lì dove ci sono le rsu, queste decidono senza il voto dei lavoratori; dove ci sono le rsa, i lavoratori possono votare il loro contratto. Inoltre, sulle deroghe, c’è una questione che non ho capito o che è inaccettabile: invece di «deroghe» di parla di «adattabilità» a livello aziendale. È anche peggio delle «deroghe definite».

E sul diritto di sciopero?

Anche qui. o non ho capito bene oppure è inaccettabile: si parla genericamente di possibilità di una «tregua», che in termini sindacali non può che voler dire tregua sugli scioperi. La clausola della Fiat, insomma. Ma la Cgil non ha mai firmato limiti all’esercizio del diritto di sciopero. E mi domando: se si accettano questi criteri in una trattativa con le aziende private, non credo si possano affermare cose diverse nel corso di una trattativa interconfederale col governo. Penso che questa operazione sia il suicidio della Cgil.

Ma perché la Cgil si va a suicidare?

Non vorrei che fosse per le cosiddette «ragioni politiche»... Una divisione sindacale può creare problemi a partiti che in tutti questi anni si sono limitati a dire «fate l’unità», per evitare di pronunciarsi sul merito. Poi c’è l’idea folle per cui, in questo modo, si creerebbe un rapporto «dinamico» nei confronti del governo «tra le forze sociali», con Confindustria. E questo alla vigilia di una manovra economica in cui il contributo di Confindustria è chiedere sia ancora più pesante nei confronti di lavoratori e pensionati...

In queste condizioni, com’è possibile fare opposizione al la manovra?

La Cgil non potrà che decidere le necessarie iniziative di lotta contro la manovra. Sarà difficile spiegare che un accordo che annulla la democrazia dei lavoratori sia un elemento che rafforza le iniziative contro il governo.

Se la democrazia sta così, anche in Cgil, come si cambiano le cose?

Siamo di fronte a una questione enorme. Abbiamo già convocato l’assemblea dell’area congressuale per il 13 luglio (dopo il Direttivo dell’11- 12), lì decideremo le iniziative conseguenti. È incredibile, con quello che è successo in altri paesi europei e in Italia - il voto di amministrative e referendum, il crescere di forti movimenti fondati sulla richiesta di partecipazione e democrazia - la Cgil non trovi di meglio che negare a chi lavora un diritto democratico fondamentale. Con l’evidente rischio di complicare tutti i rapporti con tutti i movimenti che ci sono nel paese, a partire da studenti, precari, diverse forme di autorganizzazione e inziative. Ed è ora di dire che il «patto di stabilità» europeo va assolutamente cambiato.

In quale direzione?

Questo è un patto tutto finalizzato alla stabilità monetaria, senza alcuna politica: sociale, sull’ambiente, sull’armonizzazione fiscale. Niente. Alla fine l’Europa si presenta solo con la faccia dei vincoli monetari.

Da "Il Manifesto" del 29 giugno 2011