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LA STORIA E LA MEMORIA, reading di Daniele Biacchessi

Publie le martedì 14 dicembre 2004 par Open-Publishing
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Dazibao Repressione Storia Enrico Campofreda


de Enrico Campofreda

Un tempo c’erano Dario Fo e Franca Rame, recitavano accanto al filone dei trovatori
anche storie d’ingiustizia sociale e di denuncia politica. Era il teatro militante: ‘Pum,
pum. Chi è? La polizia’. Ricordate? Per ricordarlo bisogna aver superato gli
anta. E aver vissuto quella trasformazione genetica dell’economia che ha reso
l’Italia da paese produttivo, a paese dei servizi. Terziario avanzato si diceva
e non è durato moltissimo. E mentre le lotte proletarie venivano azzerate e criminalizzate,
di fatto scompariva la classe operaia: Milano, Genova, Napoli davano l’addio
alle fabbriche. La legge Reale colpiva duro offrendo alle forze dell’ordine dell’ex ‘gladiatore’ Cossiga
la licenza d’uccidere e l’impunità dopo i delitti. Dall’inizio degli anni Ottanta
nell’Italia dei Craxi, De Mita, della P2 e dell’eminenza grigia andreottiana
cominciò a regnare la pace sociale con un Pci addomesticato e l’opposizione antagonista
ridotta a metà fra galera e impotenza. Qualsiasi dissenso rischiava d‘essere
assimilato al fiancheggiamento della lotta armata, qualsiasi disobbedienza era
impossibile.

Furono dieci anni in cui il malaffare politico - non solo quello dei ministri degli interni che si chiamavano Antonio Gava - organizzò il partito delle tangenti che col patto del Caf regnò indisturbato sino all’inchiesta di “Mani Pulite”. Furono anni di silenzio e carenza di controinformazione, con l’eccezione dei residui delle radio di movimento.

Ci fu scarsità anche di quel teatro civile che solo nel Novanta con Marco Paolini ha trovato un nuovo interprete della denuncia di misfatti del regime democristiano, fossero l’antico Vajont o le Storie di plastica della ‘Mortedison’.

Daniele Biacchessi, col questo reading sulla memoria dello stragismo italiano rilancia il prezioso filone di denuncia: partendo dai ‘ragazzi di Salò’ - che nel ’44 affiancavano i nazisti nel trucidare i civili - giunge alle bombe missine dirette dai Servizi Segreti di Stato.

Recuperare la memoria degli eventi risulta fondamentale oggi che assistiamo al meschino disegno del cosiddetto revisionismo storico d’insabbiare, trasformare, modificare la storia. I media, soprattutto televisivi, pullulano di cantori d’un nuovo regime e sono meticolosamente impegnati nella diffusione del falso. E’ perciò un dovere democratico non far cadere nell’oblio il nostro passato e ricordare i responsabili dei misfatti.

“C’erano bambini, ragazzi, treccine e girotondi in quel caldo 12 agosto del ’44 sulle colline dell’Appennino sopra Camaiore, una frazione chiamata S. Anna di Stazzema. Sognavano di giocare quei bambini, mentre il fragore, le bombe, la paura circondavano da mesi le loro case. Sognavano di fare il pane che mancava sulle loro tavole. Soffrire la fame a tre, sei anni, soffrire d’angoscia, vedere la morte attorno. Da quel giorno non poterono più nemmeno sognare quando le urla, le spinte, i mitra spianati degli uomini della 16^ Panzer Grenadier Reichsfuhrer e dei fascisti che li accompagnavano cominciarono a fare fuoco sulle loro madri, sui nonni. Su loro stessi, uccisi come fossero adulti. Cinquecentosessanta vite sterminate.

Quante di queste stragi sono state compiute nei venti mesi dell’occupazione nazifascista d’Italia dal settembre ’43 all’aprile ’45. Centinaia. Quindicimila le vittime per stragi di civili che vennero esaminate dalla magistratura. Ci furono indagini, s’individuarono colpevoli tedeschi, italiani, ucraini, croati, belgi, olandesi, tutti nazifascisti. 695 fascicoli furono stipati in un armadio e dimenticati per cinquant’anni. L’armadio della vergogna era a Roma al Palazzo Cesi sede della Procura Militare, lì per ordine del procuratore Santacroce, che prendeva ordini dai ministri Martino (esteri) e Taviani (difesa) che prendevano ordini dal capo del governo De Gasperi, che prendeva ordini dagli Stati Uniti d’America, si attuò una catena d’omertà che si fece beffa di migliaia di vittime civili; vittime di vere carneficine, di omicidi premeditati da SS e repubblichini. E si chiusero gli occhi sui più feroci criminali che, come il boia delle Ardeatine Priebke, furono lasciati vivere nascosti e indisturbati per decenni.

Molti non hanno avuto giustizia anche in epoca recente, nell’epoca delle stragi di Stato che hanno attentato alla democrazia. Stragi che hanno avuto per protagonisti amici e camerati di quei torturatori di ieri com’era Julio Valerio Borghese. Il capobanda della X Mas, pur graziato dall’Italia repubblicana, nel 1970 ancora attentava alla Patria cercando di attuare un golpe. Nasceva la strategia della tensione. Una tensione cupa, oscura iniziata il 12 dicembre 1969 quando brillarono le bombe alla Banca dell’Agricoltura in Piazza Fontana, a Milano, 17 morti e 88 feriti. Negli anni si saprà che esecutori delle stragi erano uomini di Ordine Nuovo, camerati dell’ex repubblichino Pino Rauti, per anni deputato in Parlamento con il Msi dell’altro saloino Almirante. Franco Freda e Giovanni Ventura acquistarono le valigette dove fu collocato l’esplosivo, Zorzi, Maggi e Rognoni le depositarono nei luoghi della strage con copertura degli uomini del Sid. Ma per tre anni polizia e magistratura parleranno di responsabilità anarchiche: Pinelli, interrogato in questura dal commissario Calabresi nelle ore immediatamente successive all’attentato, volerà giù da una finestra. Valpreda rimarrà a lungo in galera accusato da un falso testimone.

Le bombe riprenderanno a esplodere, artefici e artificieri sempre fascisti e uomini dei servizi. Nell’aprile ‘73 è la volta di Nico Azzi, nel maggio dello stesso anno di tal Bertoli, che si fa passare per anarchico ma è stipendiato dal Sid; uccide 4 persone davanti la questura di Milano lanciando una bomba a mano.

Il 28 maggio ’74 in Piazza della Loggia a Brescia c’è un comizio sindacale antifascista, si parla di bombe e strategia della tensione. Alle 10.12 c’è la deflagrazione d’un ordigno “State fermi, state calmi - si sgolano dal palco -. Restate nella piazza, venite sotto il palco”. Lo choc è enorme si contano 8 vittime e 94 feriti. Gli stragisti vogliono intimidire la popolazione che da tempo ha ripreso a lottare, e chiede giustizia sociale e una svolta di governo.

Ottanta chilometri separano Firenze e Bologna, un’ora di treno. Percorso appenninico con gallerie, nell’immenso buio ci si può vedere un mondo. La galleria più lunga, 18 chilometri, è quella di San Benedetto Val di Sambro ed è anche la più lunga d’Italia. Lì il 4 agosto del ’74 un vagone del treno Italicus salta in aria, ancora sangue e lutti: 12 morti e 100 feriti. Come in altri casi la manovalanza bombarola è fascista, l’assassino è l’ordinovista Mario Tuti.

Il 23 dicembre 1984 il rapido 904 diretto a Milano trasporta italiani che vanno a trascorrere le festività accanto ai familiari. Anche un vagone di quel treno salterà mietendo 15 vittime. Seguono silenzi cupi o pieni di rumori che s’annullano a vicenda, silenzi in cui le parole si trasformano in urla soffocate. Nulla può essere più come prima ...

Il 2 agosto 1980 è una giornata calda, Sergio è un ventiquattrenne che pensa alle vacanze: deve raggiungere Bolzano con l’espresso delle 8.18 ma lo perde. Non si perde d’animo, alle 10.50 ce n’è un altro con la stessa destinazione e lui, con pazienza attende. Sergio gira per la sala d’aspetto, stipata di persone che parlano, fanno ressa. Ci sono valigie, bambini che piangono, uomini che corrono; e c’è chi canta e ride, pensando al mare, alla vacanza, alle ragazze da conoscere, alla gioia di vivere.

L’uomo che non ha un’anima piazza la valigia con 25 kg di esplosivo gelatinoso che brilla alle 10.25 e crea un terremoto. Un’intera ala della stazione si sbriciola, va in fumo. Polvere e fumo per ore. La sala d’aspetto di 2^ classe è diventata un ammasso di detriti, pezzi di rotaie, traversine, convogli tranciati e carne umana.

Carni straziate. Uno scempio. Tutto sbriciolato come i sogni, le speranze, la spensieratezza di ragazzi e uomini e donne. In 85 vengono massacrati, in 200 feriti molti in modo grave e irreversibile.

I loro massacratori hanno nomi e cognomi: Francesca Mambro e Valerio Fioravanti dei Nar, Licio Gelli capo della Loggia P2, Francesco Pazienza suo faccendiere, Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte, uomini dei Servizi di Sicurezza, sette sentenze della magistratura ne provano inconfutabili responsabilità. Sette sentenze li condannano. Da tempo nessuno di loro sconta nessuna pena, sono tutti fuori dalle patrie galere o non vi sono mai entrati.

Oggi alla stazione di Bologna la vita continua, molti passano e guardano l’enorme sbrego sul muro lasciato a testimoniare l’orrore, molti ricordano, alcuni giovani non sanno. Laura, insegnante, passa insieme ai suoi alunni e racconta l’accaduto. Ricorda coloro che non ci sono più, dice: “Molti erano bambini come voi”. Il gruppo a piccoli passi va via. Resta lo sguardo di Laura che ha gli occhi della memoria“.

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