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La distruzione della scuola. Ovvero la lotta di classe al contrario
Publie le martedì 14 settembre 2010 par Open-PublishingPrecari
Il Ministro Gelmini ha sostenuto, inaugurando l’anno scolastico, che i precari non riassunti verranno riassorbiti i sei anni. Puntuale è arrivata la replica del sindacato Cisl Scuola che pur trovando positiva la riforma (sic!) ha ammesso che per riassorbire i precari sono necessari più di 10 anni. Aldilà della barbarie del linguaggio (riassorbire è un verbo che non si adatta a uomini e donne, ma si dovrebbe usare per liquidi o altro materiale non vivente) è evidente come il Ministro e il principale sindacato complice (in due anni nemmeno un minuto di sciopero) continuano a prendere in giro gli Italiani e i lavoratori della scuola. Tra sei anni, o dieci, ma ne basterebbero meno chi è da oggi fuori dalla scuola avrà cambiato mestiere, oppure sarà troppo vecchio per insegnare. Nel contempo avrà perso parte del suo tempo senza neppure quei contributi pensionistici che già da oggi garantiscono a lavoratori fissi solo il 30% del loro ultimo stipendio. Ovviamente in loro soccorso arriverà la Cisl che immaginiamo stipulerà un patto bilaterale capace magari di gestire un fondo di pensione privato.
Insegnanti, studenti, famiglie
Chiunque lavori nell’istruzione sa che il lavoro degli insegnanti e degli educatori può essere molto diverso a seconda del luogo o del tipo di scuola. Difficile insegnare in scuole di frontiera, magari in periferie degradate dove il ruolo dell’insegnante si riduce spesso ad una figura metà controllore e metà genitore. Nelle scuole secondarie vi è una notevole differenza tra i licei (dove continuano a frequentare studenti provenienti da famiglie borghesi o da famiglie con elevato tasso di scolarizzazione) e tecnici professionali (dove arrivano gli studenti meno intenzionati a seguire le lezioni). Il tutto ovviamente si aggrava quando le classi vengono formate da 30-35 ragazzi e ragazze. E’ assolutamente impensabile che in quelle condizioni un docente possa compiere il minimo del proprio lavoro. Il taglio cospicuo che il governo centrale ha apportato nel settore della scuola primaria priva inoltre molte famiglie del tempo pieno. In queste condizioni è immaginabile che si evidenzi ancora con maggiore forza quello che risulta un dato strutturale della scuola italiana, cioè la suddivisione tra scuole di serie A e di serie B. Tra le prime sicuramente aumenterà il peso della scuola privata che continua ad essere finanziata da governo e enti locali. Ma anche nella scuola che continua a dirsi pubblica si assisterà inevitabilmente ad una differenziazione che si baserà su una applicazione dell’autonomia scolastica che il centrosinistra introdusse anni fa e che già da allora configurava un primo tentativo di scardinare il concetto di scuola per tutti, con le stesse caratteristiche e opportunità per tutte le classi sociali e intellettuali. Già da oggi le scuole pubbliche tentano di trasferire la propria ragione sociale in fondazioni spesso con la complicità di enti pubblici e ovviamente privati. In queste scuole il ruolo del dirigente scolastico assume sempre più spesso il ruolo manageriale che tutte le riforme di questi anni sembrano intenzionate ad assegnargli. Poco importa ai fini generali se il ruolo del manager preside possa portare nell’immediato a miglioramenti anche in senso illuminato e a favore dell’integrazione. Al netto di questa privatizzazione strisciante già si hanno scuole ghetto e scuole di elite.
Il pensiero educativo moderno
La dimensione del disastro educativo e pedagogico si nutre di diversi fattori. Normalmente a sinistra si sottolinea l’inefficacia delle misure governative. In questo senso si giudicano le affermazioni che considerano il Ministro Gelmini come una incompetente. In realtà appare sempre con maggiore evidenza come ci sia un disegno preciso che unisce ai tagli economici dovuti alla crisi economica un criterio che mette in crisi il pensiero scolastico moderno che si era faticosamente tentato di introdurre in Italia con le lotte dal 1968 in poi. In questa situazione occorre considerare che ogni tentativo di mediazione con il Governo e i suoi disegni è incompatibile con la realtà dei fatti. Possiamo anche pensare che la caduta del Governo e la sua sostituzione porti ad un rallentamento di questo disegno. Però questa prospettiva politica non deve dimenticare che la "normalizzazione capitalistica" del sistema educativo è un progetto che trova accoliti in larghi settori dell’apparato politico italiano. E’ un disegno che mette insieme gli interessi reazionari dell’impresa, del Vaticano e del pensiero reazionario classico. Chiedere la soppressione dell’intero impianto della riforma risulterebbe quindi essere un primo passo per saggiare le reali caratteristiche di coloro che vorrebbero sconfiggere Berlusconi.
Una lotta culturale
Già agli inizi del secolo con il pensiero di Antonio Gramsci, ma potremmo citare altri nel corso del secolo, capimmo che il problema scolastico e educativo era un fattore dirimente per lo sviluppo di una società di eguali. In questi anni si è sprecato un immenso patrimonio intellettuale che va assolutamente recuperato. Anche di questo ci parla la lotta dei precari della scuola, come la lotta dei ricercatori all’Università. Di questo ci parlava la Pantera 10 anni fa e la più recente onda studentesca. La consapevolezza che queste lotte fanno parte di una lotta più ampia contro lo sfruttamento capitalista sulla società e i suoi saperi ci può essere utile per organizzare lotte magari capillari ma di lunga durata. Una lotta culturale, politica, sindacale. Per la democrazia.