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La vergogna di Pomigliano D’Arco.

Publie le giovedì 17 giugno 2010 par Open-Publishing

Da: www.Contropiano.org

Commenti e interventi di
S. Cararo, M. Rizzo, G. Cremaschi, Slai Cobas, Unione Sindacale di Base, P. Ancona, F.Turigliatto e F. D’Angeli

Le "maquiladoras" della Fiat
di Sergio Cararo

Quali sono gli obiettivi della Fiat sullo stabilimento di Pomigliano D’Arco, lo ha descritto ampiamente ed efficacemente il sociologo Luciano Gallino in un articolo che mette nero su bianco uno scenario da incubo per i lavoratori che accettassero i criteri con cui la Fiat intende stare dentro la competizione globale sul mercato dell’auto.

Tempi di lavoro simili a quelli dei robot, nessun diritto allo sciopero, salari tendenzialmente più simili a quelli delle zone industriali della periferia del mondo in cui negli anni scorsi è stata delocalizzata la produzione fordista, subalternità totale ai ritmi, ai tempi, alle esigenze dell’azienda.

Le alternative proposte a questo scenario da incubo? Le dimissioni e quindi rimanere senza lavoro in un’area ad alta disoccupazione, oppure una vita da schiavi industriali fino a quando ce la si fa, infine il suicidio quando “non ce la si fa più” (come accaduto in alcune aziende francesi, messicane, cinesi, coreane, giapponesi).

La Fiat ancora una volta illumina la strada sulla realtà della competizione globale e dei criteri con cui il lavoro deve essere reso completamente subalterno al capitale.

Il capitalismo italiano sta definendo così la sua strategia: mortificare con ogni mezzo il mercato interno sia sul piano dei salari che dei consumi e puntare tutto sulle esportazioni nei mercati emergenti dove però le produzioni italiane devono competere con quelle a basso costo realizzate in quegli stessi mercati. Ciò significa abbassare tutti gli standard sociali, salariali e sindacali in Italia per renderli più simili e competitivi con quelli cinesi, brasiliani, indiani dove, al contrario, le lotte operaie crescono e si radicalizzano sintonizzandosi con il ciclo espansivo e pretendendo – giustamente – una quota maggiore della ricchezza sociale prodotta.

Dunque mentre in Italia e in Europa il potere d’acquisto e di consumo dei ceti medi viene abbassato dalle scelte di governi e padronato, nei paesi emergenti aumentano i ceti medi con potere d’acquisto crescente. Il nuovo mercato mondiale si allarga così da quel 10% di cinesi, indiani, brasiliani individuato dalla Dri Mc Graw Hill negli anni ’90 al 40/45% di nuovi ceti medi urbani “accessibili” alle produzioni italiane, europee, statunitensi.

Di fatto la Fiat vuole introdurre in Italia il meccanismo delle “zone franche”, zone industriali dove i salari, i diritti, i tempi di lavoro sono completamente sganciati dalla legislazione e dalla contrattazione nazionale. E’ praticamente il meccanismo delle maquiladoras rilocalizzato però dentro ai punti alti dello sviluppo capitalistico.

A essere sinceri, essa non è una novità di questi giorni. Se il primo governo Berlusconi (1994) voleva fare della Sicilia una “zona franca” per i capitali (assecondando con i progetto “Federico II°” le ambizioni della nuova mafia dei colletti bianchi), il primo governo Prodi (1996) annunciò per bocca dell’allora sottosegretario Veltroni di voler fare del “Meridione una nuova Florida”. Rispondemmo allora che – sulla base di quanto messo in cantiere – il Meridione avrebbe somigliato più ad una “nuova Taiwan” e che i progetti dei “Contratti d’area” o di alcuni Patti territoriali, contenevano al proprio interno sia il virus delle zone franche sia il demone della secessione reale del paese rispetto a quella annunciata dalla Lega.

L’idea che in alcune zone del paese più povere le aziende possano abbassare i salari, non rispettare i contratti nazionali, sospendere i diritti sindacali, non è dunque una idea tanto nuova, ma è un’idea inaccettabile e che va contrastata in ogni modo.

La Fiom ha fatto bene a non firmare l’accordo-tagliola avanzato dalla Fiat e sottoscritto dai sindacati di regime (e non si può nascondere che anche Epifani era tentato di sottoscrivere) e lo Slai Cobas ha fatto bene a diffidare chiunque dal sottoscrivere accordi senza aver prima consultato i lavoratori.

Oggi i lavoratori di Pomigliano D’Arco sono sottoposti ad un ricatto micidiale e pesantissimo come lo furono gli operai di Mirafiori nel 1980. Non saranno liberi di decidere perché dovranno farlo in mezzo a pressioni, ricatti, condizioni materiali pesanti, sindacati collaborazionisti.

Vogliamo augurarci solo che i lavoratori della Fiat di Pomigliano D’Arco sappiano difendere la propria dignità di persone ancora prima che il loro futuro da schiavi industriali. Per questo hanno bisogno di tutto il sostegno che l’intera collettività proletaria del paese deve riuscire a trasmettergli in questo momento ma anche – e soprattutto – se saranno costretti ad accettare un accordo inaccettabile. Se la Fiat avrà per un periodo il comando assoluto dentro alle sue zone franche, potrebbe essere il territorio circostante a rendere difficile la vita ai padroni delle vite di migliaia di operai.

* Rete dei Comunisti


Oggi a Pomigliano, domani ad ogni italiano

Nota di Marco Rizzo*

Se passa l’accordo capestro di Pomigliano a rimetterci non saranno solo i nuovi schiavi della Panda ma tutti i lavoratori italiani, perchè è chiaro che nel più breve lasso di tempo possibile tutto il sistema industriale ripeterà la stessa operazione.

Nel merito si tratta di lavorare a ciclo continuo 24 ore su 24. Un ballo estenuante fatto di 350 operazioni ogni turno, di 72 secondi l’una, riducendo i tempi morti perchè tutti i pezzi sono più vicini alla postazione, al lavoratore è consentito muovere solo il busto, con 3 pause di soli 10 minuti per turno. Una danza mortale a cui gli operai di Pomigliano dovrebbero affidarsi rinunciando al diritto costituzionale dello sciopero (ai punti 14 e 15 del testo le rappresentanze sindacali dovrebbero sottoscrivere l’accettazione a non aprire contenziosi e addririttura perderebbero i loro diritti se un iscritto dovesse aprire un conflitto, inoltre se il lavoratore non segue la norma di rinuncia dello sciopero si espone a sanzioni). Proviamo ad immaginare i solerti sindacalisti gialli della Fim-Cisl e della Uiilm a lavorare a questa catena infernale...

La mossa della Fiat è strategica ed ha lo stesso sapore di quel fiume grigio senza soggettività che spense Torino con la " marcia dei quarantamila" nel 1980. Tutto quello che di catastrofico vi fu nel mondo del lavoro -dal precariato senza diritti alle morti bianche- passò anche da lì, con l’unica differenza peggiorativa è che quella fu una manifestazione, mentre questo è un contratto. Peraltro nel 1980 a pagare successivamente la loro "fedeltà" alla Fiat furono anche e proprio i capi e capetti della marcia, pagati con licenziamenti sonanti da Corso Marconi che, grazie all’innovazione tecnologica, non aveva più bisogno di leccapiedi e cani da guardia.

Un contratto che viene proposto dal "nuovo" padrone Marchionne, oggi applaudito da Berlusconi, ma talmente ancora amato a sinistra che anche oggi si sprecano per lui le olà dei suoi estimatori, da Chiamparino, che affermna di "tifare per lui" a Fassino secondo cui "senza Marchionne non esisterebbe la Fiat ", fino a Pintor (sì il Manifesto !!!) che dice che "Marchionne non è cattivo, ma se è costretto a compiere certi passi la colpa non è sua, è schiavo di una situazione impostagli dal capitalismo" -Corriere della Sera a pag 6-, per non dimenticare Bertinotti che diceva "mi piace" e ne tesseva pubblicamente le lodi.

Ebbene sarà utile di nuovo ricordare che, a quei livelli, non ci sono "padroni buoni", non parliamo del fruttivendolo col suo garzone.. Così come dovremmo finalmente dire che in politica una vera sinistra ed, ancor di più per i comunisti, non si dovranno più fare accordi (di nessun tipo) con questi signori della falsa sinistra.

Appoggiare fino in fondo la lotta dei lavoratori di Pomigliano - certo quelli che non vogliono ridursi a moderni schiavi- così come riconoscere il coraggio e la dignità della Fiom e del sindacalismo di base, sono al centro dell’obiettivo possibile e ragionevole, visti i rapporti di forza anche mediatici in campo, CONTRASTARE IL REFERENDUM, per ricordare a "lor signori" che non siamo tutti sulla stessa barca, perchè quando le cose vanno bene si dimenticano del popolo e quando le cose vanno male (per colpa loro) vogliono sempre coinvolgerci nelle restrizioni.

Questa è una battaglia stratetegica, questa è la BATTAGLIA. Trasformiamo tutte le giuste iniziative contro la legge bavaglio sulla stampa in una critica totale a questo iniquo e traballante sistema capitalistico che muove il suo ultimo "colpo di coda" lasciandoci senza scampo: o accetti di azzerare i tuoi diritti o si chiude.

LIBERI, MAI SCHIAVI. NESSUN SACRIFICIO, NON COLLABORARE. LA CRISI LA PAGHINO I PADRONI.

* Comunisti Sinistra Popolare


Un voto per abrogare l’articolo 1 della Costituzione

di Giorgio Cremaschi *

Pare il sogno di Silvio Berlusconi. Un referendum che in una volta sola cancelli tutte quelle parti della Costituzione, tutti quei pesi e contrappesi nelle istituzioni, che danno fastidio alla libertà dell’impresa e soprattutto a quella di alcuni imprenditori. Un referendum ove sia possibile solo il sì perché il no comporterebbe la minaccia di mettere in crisi tutto il bilancio dello Stato. Per ora in Italia questo incubo non è realizzabile. Nonostante tutto alcune regole e garanzie di fondo lo impediscono. Senza particolare scandalo, però è su questo che si vuole far votare i lavoratori di Pomigliano. Oramai è chiaro a tutti, anche a chi continua a far finta di non aver capito. Nello stabilimento Fiat campano non si discute più di produttività o di flessibilità, l’azienda vuole imporre un altro contratto nazionale, un’altra legge dello stato, un’altra Costituzione. Nel nome del più antico dei ricatti: o rinunci ai tuoi diritti o non lavori. (...)

Che una cosa di questo genere piaccia a chi pensa che la Costituzione repubblicana è un inutile orpello, è comprensibile. E’ comprensibile anche che con essa siano d’accordo quei sindacati complici, quella Confindustria che con la legge sull’arbitrato vogliono imporre ai lavoratori di rinunciare al diritto di andare dal giudice già al momento dell’assunzione. Così come ai lavoratori di Pomigliano si dice che rientreranno al lavoro solo se si spoglieranno di tutti i loro diritti. Tutto questo è comprensibile in chi ha fatto del potere dell’impresa il totem assoluto a cui sacrificare tutto.

Invece che il Partito democratico, la stampa che lotta contro i bavagli, l’opinione pubblica scandalizzata giustamente dall’attacco all’autonomia della Magistratura, che da questa parte non ci si accorga che a Pomigliano si sta aprendo un buco nero che può inghiottire parti rilevanti della nostra democrazia, tutto questo è francamente incomprensibile.

Siamo davvero già così oltre i nostri principi fondamentali? Si è già davvero totalmente restaurata la ideologia ottocentesca secondo cui le libertà si fermano alle soglie dell’economia? Questo è proprio ciò che la nostra Costituzione nega alla radice: che si possa avere una democrazia dei cittadini che non sia anche una democrazia dei lavoratori e nell’economia.

La Fiom ha detto no, è un atto di coscienza e coraggio che dovrebbe far felici tutti coloro che pensano che bisogna difendere la nostra democrazia dal degrado berlusconiano e tremontiano. E invece si vedono balbettamenti, parole in libertà, appelli alle parti sociali. Quale vergognosa fiera dell’ipocrisia. E’ chiaro o no che la Fiat considera le leggi italiane una fastidiosa variabile nei suoi bilanci di multinazionale? E’ chiaro o no che se a Pomigliano passa la deroga a tutto, nel giro di sei mesi tutto il sistema industriale italiano farà la stessa cosa? E’ proprio di questo, del resto, che parlano i commentatori quando dicono che la Fiom si oppone a nuove regole. Siamo in una drammatica crisi mondiale, che nasce dalla speculazione selvaggia e da vent’anni di liberismo senza regole. Eppure improvvisamente pare che tutte le analisi sulla crisi, tutti i proponimenti di superare il mercato selvaggio, di dire basta alla speculazione e sì a un economia più responsabile, vengano cancellati. Chi si preoccupa della salute fisica e psichica dei lavoratori di Pomigliano, costretti a ritmi e a condizioni di lavoro tra le peggiori d’Europa, senza la possibilità di discuterle e criticarle. Chi si preoccupa del taglio dei salari, dei diritti, di un trattamento di malattia che è frutto del contratto del 1969. Orpelli, antistoriche resistenze sindacali di fronte al dispiegarsi della libertà d’impresa.

Se non reagiamo ora con il massimo dell’indignazione, forse un giorno potremmo ricordarle davvero queste settimane. Come quelle dove in un solo stabilimento Fiat, con un referendum imposto a lavoratori che avevano puntata alla tempia la pistola del licenziamento, fu abolito l’articolo 1 della Costituzione repubblicana.

* Rete 28 aprile della Cgil


OPERAI RICHIAMATI E PAGATI DALLA FIAT PER VOTARE IL REFERENDUM,

MARTEDI 22 GIUGNO, A FABBRICA FERMA

Referendum-truffa e voto di scambio: dopo anni di cassa integrazione senza fine che hanno ridotto alla fame i lavoratori, e mentre già la Fiat ha richiesto un altro anno di cassa integrazione a tutto il 2012, Marchionne impone il suo referendum ai sindacati e lo gestisce in prima persona: martedì prossimo riapre i cancelli delle fabbrica (era prevista la cigs) e paga i lavoratori senza farli lavorare pur di “obbligarli al voto”…assillato dal pericolo dell’ . Quali garanzie, credibilità e valenza potrà avere un referendum-truffa autocertificato e gestito senza alcun controllo dalle sole parti datoriali e sindacali sottoscrittrici ed in evidente conflitto di interesse?!

Plaudito fino a poche settimane fa da tutti i sindacati confederali e forze politico-istituzionali di centrodestra e centrosinistra, Marchionne è peggio di Valletta nella sua strategia golpista di controriforma reazionaria dello Statuto dei Lavoratori, di ogni legge a tutela dei diritti dei lavoratori e di quelli sindacali, della democrazia e della stessa Costituzione non solo per i lavoratori di Pomigliano, ma per tutti i lavoratori sia pubblici che privati. Nell’invitare alla massima vigilanza e mobilitazione tutti i lavoratori di Fiat Pomigliano, aziende terziarizzate e dell’indotto, lo Slai cobas ritiene che l’accordo-capestro di Pomigliano resta un accordo non esigibile mancante di tenuta sindacale e giuridica essendo i diritti soggettivi dei lavoratori derivanti da normative superiori a quelle contrattuali, inoltre l’accordo è stato sottoscritto con le rappresentanze sindacali di fabbrica decadute ormai da un anno per fine mandato e quindi firmato senza alcuna rappresentanza di “forma e sostanza”, né la Fiat potrà impedire iniziative sindacali di sciopero o di impugnativa giudiziaria dell’accordo che metterà in atto lo Slai cobas. Per organizzare ogni opportuna iniziativa. Per delegittimare questo accordo infame Assemblea sabato 19 ore 9.30 al centro anziani in piazza Mercato

Slai Cobas


FIAT POMIGLIANO: UNA DELLE PEGGIORI SCHIFEZZE MAI FIRMATE DA UN SINDACATO

Unione Sindacale di Base (USB)

L’accordo di Pomigliano rappresenta una delle peggiori schifezze mai firmate da un sindacato: questa è la sola ed immediata considerazione da fare rispetto a ciò che sta avvenendo nella vicenda FIAT.
Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi ha affermato che "l’accordo di Pomigliano ….. è un accordo che farà scuola ….”. Da questa dichiarazione si comprende quale sia veramente la posta in gioco.
Non soltanto i contenuti pesantissimi che prevedono un peggioramento sostanziale delle condizioni di lavoro: 18 turni che significa lavorare anche domenica notte e 120 ore di straordinario, la riduzione dei riposi e l’aumento dei ritmi, la pausa mensa a fine turno con possibilità di trasformarla in straordinario qualora per cause esterne non si raggiungesse la produzione stabilita, la decisione di non pagare l’indennità di malattia se si supera un certo livello di assenze.
Ma come se ciò non bastasse, anche un nuovo attacco al diritto di sciopero e alla contrattazione: punizioni, fino al licenziamento, per i lavoratori che aderissero ad astensioni dal lavoro nelle ore di straordinario e sanzioni pesanti per i sindacati che proclamano agitazioni.
L’accordo insomma prevede che il sindacato debba assicurarne l’applicazione, pena la decadenza dei diritti sindacali previsti dalla legge e dai contratti e che i lavoratori che protestino o scioperino su questa materia possano essere licenziati!

Un vero e proprio ricatto inaccettabile!

Se con la sottoscrizione dell’accordo sul nuovo modello contrattuale di tre anni fa Cisl, Uil e Ugl modificarono strutturalmente il loro ruolo, assumendo quello che ancora il Ministro Sacconi ha denominato “collaborazione”, se con la vertenza Alitalia le stesse organizzazioni sindacali sperimentarono l’adesione preventiva alle necessità presentate dalle controparti, con l’accordo di Pomigliano si avalla il superamento dei contratti, della legge, del diritto di sciopero, della libera manifestazione del dissenso e di fondamentali principi sanciti della costituzione.
La Fiom, dopo il no all’accordo, deve prendere una decisione che non può essere quella che la Cgil prese in Alitalia o in tanti contratti sottoscritti in questi ultimi mesi con i medesimi contenuti e meccanismi per i quali non si era sottoscritto l’accordo quadro sulla contrattazione.
Nella vertenza Fiat l’ Unione Sindacale di Base è pronta, come sta facendo in tutte le vertenze e in tutti i settori produttivi, a sostenere una battaglia sia sui bisogni concreti dei lavoratori, sia sui principi che devono essere tutelati e preservati.


Il lager di Marchionne

di Pietro Ancona

Bisognerebbe che Marchionne spiegasse perchè sposta la produzione della Panda dalla Polonia a Pomigliano nonostante le vantaggiose condizioni di cui ha finora fruito e non solo per i bassi salari

ma anche per le brutali regole imposte ai metalmeccanici polacchi che certamente stavano assai meglio ed godevano di ogni diritto nel regime comunista. Mi domando se Solidarnosc che, manovrato dalla Chiesa e dall’Occidente, riuscì ad avviare il rovesciamento del regime comunista sia soddisfatto del passaggio alla "libertà" ed alla "democrazia" ed all’insediamento di multinazionali che comprimono il livello di vita e la possibilità di crescere culturalmente e socialmente del popolo polacco.

Il tanto sbandierato investimento di 700 milioni di euro a Pomigliano, lodato da pennivendoli servili che lo agitano davanti ad una popolazione povera ed bisognosa di lavorare, non garantisce alcuna certezza per il futuro. Quali sono i programmi di Merchionne per Pomigliano ? Esiste un piano industriale a lunga scadenza che tenga conto anche del fatto che la Panda potrebbe non avere una lunga vita come altri fortunati modelli di automobili? Colpisce l’assenza totale del governo in questa vicenda tranne la retorica e spocchiosa dichiarazione di Tremonti che proclama dopo la sconfitta della Fiom la vittoria del "riformismo". Anche la Regione Campania che si agita assieme alle altre per i tagli imposti dalla "manovra" che certamente farà pagare alla popolazione e non alle greppie di consulenti, amministratori, managers ed altri parassiti, non ha mosso un dito, non interviene, non ha nulla da dire.....

In effetti non sappiamo niente e l’art.41 della Costituzione è ignorato. L’inerzia dei pubblici poteri consente una operazione di pirateria da terzo mondo operata da una multinazionale che oramai di italiano ha molto poco e che comunque, nella storia industriale e civile di questo Paese si è distinta

per i reparti confino inventati da Valletta e per l’enorme compressione di diritti a Mirafiori rotta soltanto dagli immigrati meridionali negli anni sessanta. La storia della Fiat non è per niente gloriosa. Quando il lavoro abbondava in Italia la gente preferiva andare a lavorare dappertutto ma non alla Fiat degli Agnelli noti per essere gretti ed avidi di sfruttamento.

Intanto credo che il Parlamento dovrebbe avviare una inchiesta parlamentare sulle condizioni di Melfi che non sono durissime come quelle firmate ieri dai sindacati felloni ma sono certamente molto pesanti.

I lavoratori non sono utensili animati, bipedi parlanti e non possono essere sottoposti ad uno stress che incide profondamente sulla loro salute fisica e psichica. Otto ore di lavoro senza pausa sono contro la Costituzione, contro la legge sulla sicurezza del lavoro, contro tutte le raccomandazioni internazionali che invitano a non superare i limiti della sopportabilità umana. Credo che bisognerebbe avviare un intervento della Magistratura per prevenire malattie nervose, infortuni, logoramento psichico. Si può tenere digiuna una persona per otto ore facendola lavorare a ritmi predeterminati da un computer e cronometrati dalla sorveglianza? Sebbene siamo nell’Italia di Berlusconi e della destra al potere credo che questo non si possa fare. La fabbrica non può diventare un penitenziario ed il logoramento della salute dei lavoratori diventerebbe anche un costo che si scaricherebbe sullo Stato.


No al modello Pomigliano. Una proposta unitaria alla sinistra
di Franco Turigliatto e Flavia D’Angeli*

Un incontro della sinistra per contrastare l’accordo separato e costruire un’iniziativa la più unitaria possibile
La Fiat ha posto ai lavoratori e alle organizzazioni sindacali a Pomigliano un diktat brutale e un ricatto vergognoso: "o accettate le mie condizioni e vado in un altro paese". Ennesima dimostrazione di un’arroganza padronale ma anche la volontà di andare all’incasso dei rapporti di forza sociali oggi del tutto sfavorevoli ai lavoratori e alle lavoratrici. Pesa il fallimento recente della sinistra - scomparsa dal Parlamento anche per essersi alleata alla "borghesia buona" di Marchionne - pesa l’inadeguatezza della Cgil a fronteggiare un attacco di tale portata e pesano anni e anni di batoste subite dai lavoratori che ne hanno fiaccato capacità di resistenza e consapevolezza dei propri interessi.
L’attacco parte da Pomigliano, dove i lavoratori sono più in difficoltà per il lunghissimo periodo di cassa integrazione, ma il futuro prospettato agli operai campani è quello che vogliono imporre a tutti i lavoratori Fiat, anzi a tutti i lavoratori italiani.

Nello stesso tempo la manovra finanziaria di Berlusconi, Tremonti, Draghi e Marcegaglia, è un decreto di lacrime e sangue, costruito e propagandato con lo scopo di dividere i lavoratori del settore privato da quelli pubblici, cioè di impedire una risposta unitaria e massiccia del mondo del lavoro.

Sinistra critica sostiene la battaglia condotta in solitudine dalla Fiom - ma anche dal sindacalismo di base, da sempre in prima fila nel fronteggiare l’attacco Fiat - e ne appoggia sia l’indizione di sciopero generale di 8 ore per il 25 giugno sia la proposta di un’assemblea dei delegati Fiat da tenersi a Pomigliano.

Ma come sinistra politica occorre fare di più, dare un segnale di utilità sociale e di consapevolezza della partita in gioco. Per questo proponiamo a tutte le forze che si ricnoscono in quesat battaglia di dare un contributo a un movimento forte unitario e dal basso contro l’accordo, a difesa dei diritti e della dignità del lavoro, per cercare di organizzare una riposta adeguata a quel "modello Pomigliano" oggi voluto dalla Fiat e che rappresenta un modello molto pericoloso per i lavoratori e le lavoratrici di questo paese. A partire dall’organizzazione delle manifestazioni per il 25 giugno, da tenere anche a Pomigliano.
Roma, 16 giugno 2010

*portavoci nazionali di Sinistra Critica