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Legami Quell’incontro tra Fioravanti e il massone siciliano

Publie le lunedì 26 luglio 2010 par Open-Publishing
32 commenti

Istantanea da un giorno qualunque, ad una manciata di ore dalla strage di Bologna. Da un paio di settimane, i terroristi neri Valerio Fioravanti e Francesca Mambro - poi condannati in via definitiva insieme a Luigi Ciavardini come esecutori materiali dell’attentato alla stazione di Bologna - sono ospiti in Sicilia del dirigente del gruppo di estrema destra Terza posizione, Francesco ’Ciccio’ Mangiameli, che poi uccideranno a settembre dello stesso anno tentando di far sparire il cadavere nel lago romano di Tor de’ cenci. Per i giudici è a casa di Mangiameli, eliminato per essere diventato un testimone pericoloso della strage, che la coppia dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar) incontra un tale Gaspare Cannizzo. Chi è, lo spiega la relazione redatta nel 1989 dall’Alto commissario antimafia sull’omicidio del presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella. Un documento che, insieme ad una mole infinita di faldoni, finisce seguendo i rapporti siciliani del generale Amos Spiazzi (incriminato e prosciolto per il ’golpe Borghese’ del 1970) negli atti del processo per la strage di piazza della Loggia in corso davanti alla Corte d’Assise di Brescia. «Si tratta del direttore responsabile del periodico palermitano ’Le vie della tradizione’, rivista esoterica in cui scrivono non pochi massoni». Lui stesso iscritto all’ordine «martinista, al quale era affiliato anche Mangiameli». Niente male per chi, come i terroristi Fioravanti e Mambro, ormai fuori dal carcere, ha sempre rivendicato orgogliosamente la lontananza dai poteri occulti dello Stato e lo spontaneismo armato dei Nar. Anche per cercare - peraltro senza riuscirci - di neutralizzare l’onta di essere stati protetti dai depistaggi messi in atto da uomini dei servizi segreti collegati proprio a quel tipo di poteri. È questo uno dei più inquietanti episodi rimessi in fila, uno accanto all’altro, da Antonella Beccaria e Riccardo Lenzi in «Schegge contro la democrazia». Il saggio ridisegna i sinistri contorni della stagione della strategia della tensione in Italia, soprattutto attraverso carte e testimonianze riemerse dall’oblio al processo sulla bomba di piazza della Loggia a Brescia, il 28 maggio 1974. Un drammatico periodo per la storia del nostro Paese, che tre mesi dopo avrebbe vissuto la strage dell’Italicus (4 agosto 1974, 12 morti e 48 feriti), e dieci anni a seguire quella del Rapido 904 (23 dicembre 1984, 17 morti e 267 feriti) nella stessa tratta ferroviaria vicino San Benedetto val di Sambro, sull’Appennino bolognese. In mezzo, c’è il più devastante attentato del dopoguerra contro la popolazione civile: 23 chili di esplosivo sistemati in una valigia abbandonata nella gremitissima sala d’aspetto della stazione di Bologna, sabato 2 agosto 1980. «I nuovi atti raccolti a Brescia dimostrano che, in quegli anni, si assistette al rilancio della strategia della tensione di tipo stragista per mettere a punto il ’piano di rinascita’ tratteggiato dalla Loggia P2 di Licio Gelli», chiarisce Beccaria. E le carte ridefiniscono anche il quadro sui Nar come gruppo sedicente spontaneista. Il rapporto del gruppo con alcuni affiliati alla massoneria, per l’autrice, si intreccia ai legami con mafia e delinquenza organizzata. Del resto ad esempio, si legge a pagina 81, Mangiameli e l’amico di estrema destra Alberto Volo, il «30 agosto 1980 si rifugiano nella casa vicino Perugia di Salvatore Davì, sottoposto a sorveglianza speciale in quanto sospettato di appartenenza ad associazione mafiosa». E pure in ambiente massonico, «tra gli affiliati alle logge del Centro attività massoniche esoteriche accettate (Camea), in Sicilia negli anni 80 figuravano numerosi individui ritenuti esponenti di Cosa nostra». Da non sottovalutare poi i legami di Nar e Ordine nuovo, gruppo neofascista fondato nel ’56 da Rauti e di cui facevano parte la metà degli imputati per la strage di Brescia, con la banda criminale di Renato Vallanzasca. «L’ordinovista Giovanni Ferrorelli ha riferito ai giudici di Brescia di un patto di collaborazione, nel ’77, fra Vallanzasca e Ordine nuovo». E da allora «Maurizio Addis, delegato alla gestione dei rapporti fra i due gruppi, «lo troviamo come supporto di Fioravanti per le principali iniziative dell’80»

Messaggi

  • Renato Vallanzasca non ha mai avuto niente a che spartire con Ordine Nuovo.

    Semplicemente, nel 1976 a distanza di 24 ore, sia Concutelli di Ordine Nuovo sia Vallanzasca saranno arrestati a Roma in due diversi appartamenti .... ed a tradirli era stata la stessa spia, un rapinatore di Tivoli, Paolo Bianchi .... legato pure ai fascisti tiburtini .... a cui tutti e due, in modo del tutto autonomo ed indipendente uno dall’altro, si erano rivolti per potere avere documenti falsi utili a gestire la latitanza .... tra l’altro Vallanzasca in un suo libro sostiene di aver ricevuto, tramite la spia Bianchi, pochi giorni prima la visita inaspettata di un avvocato fascista di Milano, ma di origini siciliane ( non vi ricorda un ministro dell’attuale governo ?), che gli aveva promesso soldi ed una latitanza protetta in Sud Africa se lui avesse accettato di compiere attentati stragisti a Roma .... e che fu proprio per il suo rifiuto a questa indecente proposta che poi venne "venduto" dal Bianchi ai carabinieri.

    Vallanzasca e gli uomini e le donne della sua banda hanno invece sempre manifestato idee di sinistra ; Renè aveva avuto esperienze nel Katanga di Mario Capanna e Tuti Toscano, cioè il servizio d’ordine del Movimento Studentesco milanese .... Antonio Colia addirittura aderirà in carcere alle Br ed Emanuele Attimonelli ai Nap...... tutti insieme tenteranno la famosa evasione da San Vittore insieme ai militanti di Prima Linea .... sarà proprio Vallanzasca, in quell’occasione uno dei pochissimi armati, a tornare indietro per salvare la vita a Corrado Alunni di Prima Linea, col risultato di rimanere gravemente ferito e riacciuffato pure lui .... della banda Vallanzasca soltanto Rossano Cochis, un ex parà, aveva avuto precedenti giovanili di destra ma questo non gli ha comunque poi impedito di finire imputato - alla fine prosciolto - anche nel processo 7 Aprile, cioè l’inchiesta - monstre contro l’autonomia operaia ed addirittura per l’omicidio di due missini nel 1974 a Padova, azione rivendicata dalle BR.

    Il resto dell’articolo è condivisibile, ma allora prechè aggiungere particolari ad effetto del tutto falsi e comunque secondari che rischiano di rendere non credibile il tutto ?

    Radisol

    • Ci fu un unico esempio di personaggio, un sardo - non ne ricordo il nome - che compì una sola rapina con alcuni della banda Vallanzasca e che poi si buttò coi Nar ... ma questo quando Vallanzasca ed i suoi erano già tutti al gabbio da anni .... e partecipavano regolarmente alle lotte nelle carceri speciali insieme ai detenuti politici di sinistra ...

      Ferorelli, quello che ora accusa Vallanzasca di connivenza coi fascisti, è uno di quei fascisti bastardi che, su ordine di un colonnello dei carabinieri, stuprarono Franca Rame a Milano .... può essere un soggetto così che "riscrive la storia" e che butta merda su Vallanzasca ?

      Radisol

    • Beh il "Compagno" Vallanzasca tienitelo mò pure questo e che cazzo!

    • Sono in corrispondenza prima cartacea ed ora mail con Renè Vallanzasca da svariati anni, così come con altri detenuti.

      Quasi mai parla di politica, ma ogni missiva termina con "hasta la victoria siempre !"

      Fondamentalmente è un anarchico individualista ma è vero tutto quello che è stato scritto sopra su di lui.

      Dal Katanga ai rapporti coi brigatisti e coi Prima Linea in carcere.

      Ma al di là di Vallanzasca, trovo veramente stucchevole pretendere che negli anni settanta la violenza fosse esclusivamente fascista e/o di stato ... quella fu una vera e propria guerra civile strisciante, anche prescindendo dal lottarmatismo vero e proprio.

      E capitava quindi che anche i "malandri", soprattutto quelli "ribelli" ed estranei a logiche mafioseggianti come appunto Vallanzasca, come Mario Ubaldo Rossi,
      come tutti i banditi sardi ne fossero fatalmente influenzati anche loro.

      Soprattutto a partire dalla condizione carceraria nel "circuito dei camosci" degli speciali.

      Raf

      P.S. Il sardo di cui si parlava prima è Mauro Addis, complice di Fioravanti soprattutto in comunissime rapine e frequentatore, da giovanissimo, anche dei Vallanzasca. Ma appunto tutto questo avvenne per Addis a puro scopo di lucro e comunque quando la banda Vallanzasca era già tutta in galera.

    • La prima notizia preventiva della strage non è stata ricostruita a posteriori, con argomentazioni opinabili o suscettibili di interpretazioni di varia natura, ma risulta oggettivamente dalla dichiarazione acquisita il 10 luglio del 1980 dal giudice Giovanni Tamburino, Giudice di Sorveglianza di Padova, che raccolse e documentò, prima della strage, la dichiarazione di un detenuto, Vettore Presilio, il quale aveva appreso in carcere da Roberto Rinani, componente di una cellula eversiva facente capo a Massimiliano Fachini, di cui erano notori e pacifici i legami con Franco Freda, che “nella prima settimana di agosto” vi sarebbe stato un attentato esplosivo del quale avrebbero parlato tutti i giornali del mondo. Vettore Presilio riferì anche che Roberto Rinani, gli aveva confidato che l’attentato terroristico sarebbe stato seguito dall’uccisione, da eseguirsi ai primi di settembre, del giudice Stiz, che aveva svolto le indagini sulla strage di Piazza Fontana nei confronti di Franco Freda. Per una banale coincidenza l’attentato al giudice Stiz non fu portato a termine, ma fu trovata traccia del furto delle divise e della vettura militare che erano state finalizzate ad esso, furto eseguito da persone appartenenti al gruppo di Valerio Fioravanti, che operava anche a Milano insieme a quegli esponenti della delinquenza milanese (Addis Mauro appartenente alla banda Vallanzasca) che si occuparono di reperire prima del 2 agosto e mettere a disposizione dello stesso Fioravanti il rifugio a Gandoli, nei pressi di Taranto utilizzato sino al gennaio 1981. Ed è lo stesso Fioravanti ad ammettere che Gilberto Cavallini manteneva i contatti con Massimiliano Fachini. Le notizie raccolte dal giudice Tamburino furono portate a conoscenza dei carabinieri, ma non ne fu tratta alcuna occasione per una attività di carattere preventivo. Sembrerebbero però essere venute a conoscenza del col. Spiazzi nella cui disponibilità nel 1983 fu rinvenuto il cd. “appunto Prati” nel quale si accenna all’attentato da eseguirsi dopo la strage di Bologna ai danni di un magistrato mediante una finta scorta dei carabinieri (si tratta verosimilmente proprio dell’attentato al giudice Stizt programmato per il mese di settembre).

    • RAf meglio che stai zitto che se continui peggiori le cose.

    • C’è inoltre un interscambio nella gestione dell’organizzazione dei sequestri, rapine, prostituzione, traffico delle armi e della droga. Spesso personaggi della criminalità milanese sono usati come fonte di manovalanza per azioni violente. Gli esempi non mancano: i rapporti tra Vallanzasca e Concutelli (nell’omicidio del giudice Vittorio Occorsio), il sequestro organizzato in Puglia dal deputato di Democrazia Nazionale, Manco; la tentata rapina in cui perse la vita Umberto Vivirito, presente a Pian del Rascino prima della sparatoria con i carabinieri in cui perse la vita Giancarlo Esposti ; il caso di Sergio Frittoli, esponente di primo piano della Giovane Italia e del Fronte della Gioventù, arrestato nel 76 per rapina a mano armata in alcune gioiellerie di San Remo; il movente dell’omicidio di Olga Julia Calzoni, uccisa da Invernizzi e De Michelis nel corso di un fallito tentativo di sequestro. "Si può affermare che la forte conpenetrazione tra squadrismo fascista e malavita è uno dei dati caratteristici della città di Milano: in alcune zone in particolare questo legame è talmente forte da fungere di supporto valido per l’attività del Msi e dei suoi gruppi collaterali. La metropolitana che esce da Milano in zona Lambrate e prosegue verso l’Adda è diventata una delle linee di sviluppo dello spaccio di droga in provincia. Quasi tutte le stazioni sono frequentate da piccoli o medi rivenditori,soprattutto di eroina i cui clienti provengono in genere da ernusco,Cologno,Pioltello e Gorgonzola" (La Sinistra 1979). La Questura di Milano accerta che fascisti come Rodolfo Crovace, detto Mammarosa, Adriano e Lucio Petroni, Samuele Judica e Riccardo Manfredi hanno a che fare con lo spaccio di eroina medio, grande.

      In particolare nella zona circostante il Centro Sociale Leoncavallo, i fascisti del quartiere sono riusciti a istallarsi in alcuni locali pubblici come il bar tabacchi di Piazza Udine. C’è un doppio livello. I gruppi della destra terroristica hanno bisogno di denaro contante per finanziare le attività illecite,la malavita offre supporti, armi.

    • "furto eseguito da persone appartenenti al gruppo di Valerio Fioravanti, che operava anche a Milano insieme a quegli esponenti della delinquenza milanese (Addis Mauro appartenente alla banda Vallanzasca) che si occuparono di reperire prima del 2 agosto e mettere a disposizione dello stesso Fioravanti il rifugio a Gandoli, nei pressi di Taranto utilizzato sino al gennaio 1981. "

      Nel 1980/81 Vallanzasca era già in galera da tre/quattro anni.

      E Mauro Addis era passato alle dirette dipendenze di Francis Turatello, lui sì fascista dichiarato e collaboratore, tramite i buoni uffici della Magliana, anche dei Nar di Fioravanti ... tra l’altro è credibile la tesi che Fausto e Iaio furono uccisi nel 1978 da fascisti romani dei Nar proprio nell’interesse di Turatello che vedeva a rischio la sua egemonia nel traffico di eroina a Milano per le controinchieste ed anche le iniziative militanti dei compagni.

      Per anni invece gli uomini di Vallanzasca e di Turatello si sono sparati nelle vie di Milano ... è vero che poi i due fecero pace in carcere ed addirittura Turatello sarà il testimone di nozze di Vallanzasca.

      Ma questa è una storia successiva ...

      Raf

    • ed eccoci a bomba : Fausto e Iaio e qui mi pare che sia Raf e l’altro siano molto molto attenti chissà com’è ;)

      Il clima delle settimane che precedono l’omicidio dei ragazzi del Casoretto sul fronte della droga è surriscaldato. Si organizzano iniziative contro il grande spaccio di eroina: piovono denunce, dossier, libri bianchi. Nell’area dell’Autonomia e nei principali Centri Sociali nasce l’idea di un grande dossier che proponga la mappa dello spaccio a Milano, i bar, le alleanze, nomi e cognomi. Nei quartieri ragazzi in incognita raccolgono dati preziosi. E’ una straordinaria rete sotterranea composta prevalentemente da ragazzini coordinati a livello centrale da una redazione di sei persone. Fausto e Iaio ne fanno parte ma forse non conoscono neppure i committenti . Il Centro Sociale Leoncavallo assume l’iniziativa." Fausto Tinelli raccoglieva notizie tra i farmacisti-ricorda Umberto Gay-Contando le siringhe vendute si poteva risalire alla quantità di tossicodipendenti presenti in zona, alle loro abitudini, ai grammi di eroina venduta e infine al business degli spacciatori". Fausto infatti registra attraverso il suo Grundig notizie che riguardano lo spaccio ma anche altri fatti . Il loro lavoro prosegue da settimane. Alcuni testimoni li scorgono impegnati a raccogliere informazioni nella zona del Parco Lambro dove i Nar hanno un punto d’appoggio certo:la carrozzeria Luki di via Ofanto. Cosa potevano aver scoperto? Forse qualcosa di grosso. E’ il quotidiano Lotta Continua di venerdì 9 marzo 1979 a ricordare che" Fausto e Jaio avevano casualmente scoperto che lo spaccio di eroina in zona Lambrate era in mano ad una sacra alleanza tra la banda di Francis Turatello e i fascisti direttamente legati a Servello".

      Certo che questi due ragazzini ficcanaso che ne sapevano che stavano in mezzo a cotanta merda rossa nera e bruna...che con la scusa della politica facevano soldi con l’eroina.

    • Vallanzasca ha sempre fatto solo rapine ... e, dice lui, almeno 5 sequestri di persona, 3 dei quali non furono mai denunciati.

      Niente a che fare con i traffici di droghe.

      Su tutto questo esiste un librorelativamente recente, si intitola "Andare ai resti", è di un sociologo legato all’autonomia operaia di cui non ricordo al momento il nome ed è edito da una casa editrice "militante" dell’estrema sinistra.

      Libro che analizza proprio la enorme differenza, sociologica ed anche politica, tra le "paranze" di rapinatori e sequestratori ( questi ultimi in particolare sardi) ... e la malavita organizzata di tipo mafioseggiante come la Magliana a Roma o Turatello a Milano ...

      E di come le "paranze" nelle carceri speciali facessero sempre causa comune con i lottarmatisti di sinistra ... ed i mafiosetti invece con i fascisti e spesso pure con le direzioni degli stessi carceri ...

      Se poi si preferisce dire in modo manicheo che "tutte le vacche sono nere " non è un problema .... ma è storicamente una solenne minchiata ....

      Radisol

      P.S. Tutti i casi citati ed i nomi fatti, a parte il già citato dal sottoscritto Mauro Addis che coi Vallanzasca era stato l’autista di un’unica rapina nel 1976, non c’entrano una minchia con la banda Vallanzasca ma appartengono invece tutti al sottobosco dei fascisti sanbabilini dei primissimi settanta che poi in alcuni casi, come già detto, si arruoleranno con Turatello.

    • Da una recente intervista a Vallanzasca

      " ........Eppure anche lui, nella Milano dei primi anni Settanta, pensionò a suo modo i vecchi banditi che si facevano qualche cassetta di sicurezza e qualche villa di San Siro. «Come no. Quando avevo vent´anni, un vecchio ladrone cui ero affezionato mi disse: «Anca ti te se cadù così ‘n basso». Avevo messo su un´industria dei sequestri lampo e per i banditi di una volta era una bestemmia. Ma almeno io il codice della mala non lo avevo tradito. Niente bambini, niente poveracci, soprattutto». Provi a dire che la «modernità criminale» della sua «batteria» è stata in fondo anche quella della banda della Magliana, ma è il modo migliore per farlo andare fuori dai gangheri: «Non confondiamo la merda con il cioccolato. Io a differenza di quelli lì non ho mai avuto a che fare con servizi segreti e divise, neppure quelle dei tranvieri ........"

      http://milano.repubblica.it/dettaglio/articolo/1749106

    • mi sembra che coi post dei commenti precedenti ci sia molto poco di manicheo, o meglio NULLA è ora che anche certi "idoli" della sinistra e chi li supporta comincino a dare delle spiegazioni. Perché hanno pagato in troppi, i compagni morti a cui si deve una spiegazione. Una volta per tutte. Radisol e Raf più parlano e più ne danno conferma. Che schifo!

    • un aneddoto: la guerra con il clan di Francis Turatello per il controllo delle bische clandestine. Una lotta per la supremazia che si è trasformata in amicizia: il 14 luglio, nel carcere romano di Rebibbia, Vallanzasca si sposa con Giuliana Brusa, una ragazza di 19 anni, diplomata in lingue, di famiglia piccolo borghese; testimone di nozze è proprio Faccia d’ Angelo. In dono porta una svastica d’ oro, in omaggio alle comuni convinzioni.

    • Appunto ex Nar e "mala del Brenta", cioè fascisti e mafiosi insieme ... un classico ...

      Che c’entrano Vallanzasca ed i rapinatori, che oltretutto all’epoca amavano definirsi "espropriatori" ?

      Due mondi distanti e diversi ...

      Raf

    • Vallanzasca non si è mai occupato nemmeno di bische .... la guerra era dovuta al fatto che uno dei Vallanzasca, Antonio Colia detto "Pinella" che poi in carcere si arruolerà nelle BR, era stato pesantemente pestato senza motivo da alcuni sgherri di Turatello ... da lì una "faida" che è durata almeno un paio di anni.

      Quanto al fatto che poi Turatello sarà testimone delle nozze in carcere tra Vallanzasca e la Brusa ( peraltro attiva - fu pure arrestata per presunta banda armata - nei Comitati dei Familiari dei Proletari Prigionieri che avevano una matrice politica ben precisa ) faccio notare che in questa discussione è stato proprio il sottoscritto il primo a citarlo ... quindi, dove sarebbe lo scoop ?

      I Vallanzasca, al di là dell’arruolamento successivo di un paio di loro nei gruppi armati di sinistra, non erano certo "prigionieri politici" ma avevano in comune coi brigatisti o coi Prima Linea una logica "ribellistica" e soprattutto una estraneità totale rispetto allo stato ed ai suoi apparati.

      Ovviamente tutto il contrario di mafiosi di qualsiasi genere o dei fascisti.

      Una volta detto questo, è ovvio che la vita carceraria ( soprattutto negli speciali) poteva portare a strane alleanze per la sopravvivenza .... non è certo un mistero l’accordo fatto tra gli scissionisti BR del Partito Guerriglia ( tra i quali Curcio e Franceschini) e la cosiddetta "nuova camorra" di Raffaele Cutolo .... così come è certo il fatto che Concutelli di Ordine Nuovo era stato "ammesso" dai brigatisti sempre del P.G. ad essere uno dei partecipanti all’evasione collettiva, poi mai avvenuta, dall’ Asinara organizzata dalle stesse BR-PG.

      Ma questo è appunto tutto un altro discorso.

      Costruire teoremi inesistenti ed attribuire alla destra anche gente di segno opposto è storicamente un falso e soprattutto non serve a capire seriamente di cosa stiamo parlando.

      Vallanzasca, ad esempio, accusa - non apertamente ma gli identikit che traccia sono inequivocabili - i dirigenti dell’allora Msi Maceratini e Larussa ( e quest’ultimo è l’attuale ministro della difesa, mica cazzi !) di cose ben gravi e precise ... cioè di avergli offerto soldi ed impunità se lui avesse lavorato alla "strategia della tensione", lui rifiutò e per questo fu immediatamente fatto arrestare.

      Sinceramente, questa cosa sul piano politico non mi sembra robetta anche se realisticamente quei possibili reati sarebbero oggi ormai prescritti ... perchè, ad esempio, allora non parlare di questo piuttosto che inventarsi un inesistente Vallanzasca fascista ?

      Raf

    • Vabbè dai chiudiamo qui la solita tiritera e corriamo al nuovo post sul 2 agosto a difendere Fioravanti..........dai l’avrebbe ammesso se era stato lui. Ma basta!

    • Qualche dubbio sulla personale responsabilità di Fioravanti, Mambro e Ciavardini per Bologna è cosa del tutto legittima ... i processi sono stati del tutto indiziari, i testimoni più importanti ( in particolare Sparti e Cristiano Fioravanti) sono caduti in mille contraddizioni ... e credo che Giusva, che in ogni caso vedrei assai volentieri impiccato ed invece mi è toccato incontrarlo tranquillo per le vie di Roma, fosse un ottimo "colpevole di comodo" per coprire responsabilità più direttamente legate ad ambienti "di stato".

      Cionostante non ho invece un dubbio al mondo sulla matrice fascista degli esecutori e sui mandanti piduisti.

      E non credo minimamente alle cazzate sulla presunta pista palestinese o su quella attribuita a Carlos o addirittura a Gheddafi.

      Ma con questo discorso cosa diavolo c’entra Vallanzasca ?

      Raf

    • ennesimo "aneddoto"

      A Roma, dopo 27 anni dalla morte di Emanuela Orlandi, ci sono tre indagati per il rapimento e la morte di Emanuela Orlandi. Sono Angelo Cassani, detto Ciletto o killerino, Gianfranco Carboni, detto Gigetto, e Sergio Virtù. Tutti e tre uomini di Enrico de Pedis, detto Renatino, uno dei capi della banda della Magliana. Quindi, secondo i magistrati, fu la banda della Magliana a rapire Emanuela Orlandi per mettere sotto ricatto il banchiere del Vaticano Paul Marcinkus. La ragazza fu poi uccisa, gettata in una betoniera. Lo ha detto ai magistrati l’amante di allora di de Pedis, Sabrina Mainardi.

      Beh, e che c’entra Vallanzasca? C’entra. Perché la banda della Magliana, che allora comandava su tutta aRoma, era in affari e dava una mano al terrorismo nero. I neri dei Nar e di altri gruppi fascisti forniscono manovalanza alla banda, in cambio quelli della Magliana danno soldi e armi. Accade che nel 1977, quando i carabinieri fanno irruzione in una base di terroristi neri a Roma che fanno capo a Pierluigi Concutelli, l’assassino del giudice Vittorio Occorsio, trovano tante armi e tanti soldi. Soldi proveniente dal sequestro, avvenuto a Milano, della giovane Manuela Trapani. E chi aveva rapito Manuela Trapani? Vallanzasca. Un rapimento che fece epoca, con annessa storia d’amore (è leggendaria la scena struggente del rilascio e
      pagamento del riscatto quando “Manu”, così la chiamava lui, abbraccia Renato).

    • Mamma mia le cazzate ed i collegamenti fuori luogo.

      A Concutelli hanno trovato due banconote ( due !) del riscatto della Trapani, in compenso allora non ne trovarono nessuna in mano a Vallanzasca che quel rapimento aveva effettuato e che ha poi tranquillamente confessato.

      Se è per questo soldi del ricatto di Emanuela Trapani sono stati trovati, svariati anni dopo, anche in un covo di Prima Linea .... i soldi dei riscatti e delle rapine nei circuiti illegali facevano ovviamente giri larghissimi e tortuosi.

      E poi Emanuela Orlandi è stata rapita ed uccisa negli anni ottanta, Vallanzasca era in galera dal 1977 ... e nel 1977 la banda della Magliana propriamente detta nemmeno ancora esisteva .... e comunque i personaggi accusati ora per Emanuela Orlandi nemmeno erano della banda della Magliana ma appartenevano al giro ristrettissimo dei killers personali di Enrico De Pedis, aggregati da "Renatino" dopo la rottura col resto della banda ... tra l’altro "Rufetto" è anche uno degli assassini di Edoardo Toscano, cioè di uno dei rivali di De Pedis ... stiamo quindi parlando di un epoca in cui De Pedis e i suoi già si ammazzavano allegramente con le altre componenti, meno compromesse coi vari poteri, della cosiddetta banda della Magliana.

      Mischiare cose vere ed inoppugnabili come i legami della Magliana ( ma in particolare dei testaccini di De Pedis, le altre componenti come dicevo poco sapevano di queste cose) con ambienti neofascisti, dei servizi segreti, piduisti, cosanostrani, democristiani e vaticani ... con le cazzate ed i collegamenti astrusi nello spazio e nel tempo serve alla fin fine a sputtanare proprio le cose vere ed inoppugnabili.

      Anche ammesso ( ed invece sempre negato da tutti gli interessati) che Concutelli e Vallanzasca potessero avere, nel 1977, qualcosa in comune che non fosse l’essersi semplicemente rivolti allo stesso "infame" per ottenere documenti falsi ... o l’essere stati tutti e due "venduti" ai carabinieri da La Russa e c., Concutelli perchè ormai "bruciato" ed incontrollabile e Vallanzasca perchè aveva rifiutato di fare il "terrorista di stato" ...... cosa cacchio c’entra tutto questo con vicende degli anni successivi, anche molto successivi - in cui entrambi erano ospiti delle patrie galere - vicende in gran parte romane ( nè Concutelli nè Vallanzasca erano romani, il primo era siciliano, il secondo milanese, e furono arrestati a Roma per puro caso) e che vedono protagonisti tutti altri personaggi come il giro dei maglianesi ed i fascisti romani dei Nar ?

      Che Vallanzasca ed i suoi fossero "rapinatori comuni" o "sequestratori comuni" non c’è dubbio, nessuno di loro si è mai dichiarato "prigioniero politico", nemmeno quelli che poi nel lottarmatismo di sinistra ci sono finiti veramente ... nemmeno Rossano Cochis, che prima di aggregarsi con Vallanzasca, faceva le rapine in Veneto con quelli di Potere Operaio e che fu pure accusato per i due missini ammazzati a Padova nel 1974 dalle BR e poi per il sequestro Saronio, questo sempre roba del giro del vecchio PotOp.

      Ma, al di là di tutto ciò, che la loro matrice fosse inequivocabilmente "ribellista" ed estranea a qualunque "implicazione di stato", che nelle carceri hanno sempre fatto fronte comune con brigatisti e primalineisti, che avessero in grandissima parte simpatie sinistrorse e che soprattutto hanno sempre rifiutato di occuparsi di droghe, scommesse, traffici vari e che con la malavita organizzata mafioseggiante si sono sempre scontrati ed a volte non solo a parole ma pure con le pistole ... è un dato oggettivo e risultante anche dai processi e dalle condanne che si sono presi.

      Creare, come giustamente diceva qualcuno, una specie di "notte in cui tutte le vacche sono nere" serve solo a non fare mai la minima chiarezza su quegli anni.

      All’epoca certe cazzate le diceva il Pci nel tentativo di negare l’identità rivoluzionaria e/o ribelle e soprattutto di allontanare dal proprio "album di famiglia" le varie componenti, politiche o anche semplicemente "sociali" a vario titolo "violente" che si schieravano alla sua sinistra ...

      Allora tutta l’illegalità, di qualunque natura ed origine, doveva essere per forza addebitata alla destra, anche quando ciò - come nel caso delle BR il cui nucleo iniziale proveniva in gran parte proprio dal Pci e dai vecchi ambienti partigiani - era contro ogni possibile credibilità.

      Ma adesso, dopo oltre 30 anni, tutto questo che senso ha ?

      K.

    • e c’è poco da fare... quando un pezzo ha più di cinque commenti ci si incarta nei muri contro muri ove ognuno scrive dopo aver letto tre righe dell’altro di turno e vi caccia dentro di tutto e di più. Insomma, avanti così tutti insieme incomunicanti... (ed imparati assai)...

    • DAI CHE POI STECCATE LE PIPPATE ;)

    • Il dossier del Centro Sociale Leoncavallo e dei Collettivi Autonomi esce davvero. E’ un volume di un centinaio di pagine."Dossier Eroina,nomi e indirizzi,a cura dei collettivi comunisti autonomi,Centro di lotta e informazione contro l’eroina."E’ dedicato a Carletto Sponta ,un ragazzo ucciso dagli spacciatori .Lo sfoglio."L’eroina è vicina,il movimento,quello ufficiale se ne è accorto in ritardo.Le analisi sulla crisi economica,i dibattiti sull’organizzazione,sulla classe non hanno lasciato vedere che giorno dopo giorno una larga fascia di giovani scompariva dalle assemblee,dalle piazze,dai sacri templi del culto dell’ideologia".Le pagine riportano a quegli anni.Alcune parti di quel dossier sono state scritte anche attraverso le fonti e le informazioni di Fausto e Jaio.Si parla dell’eroina,della diffusione degli oppiacei nel mondo occidentale.Ci sono tabelle dettagliate sulla produzione del mercato legale e clandestino e la descrizione del viaggio degli stupefacenti in Italia,tramite Tir,tra l’Iran e l’Europa.Chi muove le fila di tutto ciò ?.L’inchiesta invita alla riflessione."A nostra disposizione sono solo sospetti sull’attività di rispettabili personaggi ben coperti da regolari traffici commerciali tipo import export,di cui si può dall’esterno osservare l’aumento vertiginoso ed inspiegabile del tenore di vita e qualche agente delle tasse trasferito perché troppo curioso.Nella perquisizione eseguita nel novembre scorso presso la sede del centro di lotta contro l’eroina,i poliziotti trovarono una lista di nomi di spacciatori su cui si stavano svolgendo delle indagini accurate,si misero a ridere affermando di conoscere gente più potente".Ha inizio una lunga sequela di nomi e cognomi,indirizzi ordinati in modo alfabetico.Contiene un gran numero di fotografie e didascalie dei principali bar dove si vende eroina e tuttavia è incompleto.La sensazione che qualcosa manchi è evidente. Così scopro che il libro bianco è uscito con sei pagine in meno.Dovevano esserci nomi di spacciatori con forti legami internazionali,bande grosse in contatto con narco trafficanti sudamericani ed europei.Sarebbe stato difficile sostenere le eventuali ritorsioni di tipo strettamente militare.Il giro era quello di Piazza Aspromonte.Il controllo e ’dei sudamericani.Intanto Francis Turatello e’ diventato il vero boss di Milano,era subentrato nella gestione del territorio a Renato Vallanzasca".Il settimanale Avvenimenti del 3 novembre 1993 sostiene la tesi che a uccidere Fausto e Jaio fu " il più vasto intreccio tra eversione di destra,mercato dell’eroina e delle armi,servizi".Ne è consapevole Carmine Scotti,ora alla Digos di Cremona,tra i primi ad indagare sul caso di Fausto e Jaio."Gli spacciatori non li avrebbero mai uccisi nel luogo più pericoloso,vicino al centro sociale Leoncavallo -dice- Anche chi spaccia non poteva uccidere in quel modo". Armando Spataro,membro del Consiglio Superiore della magistratura,ne è convinto."Non potevano essere solo spacciatori di eroina. C’era dell’altro.Le prime indagini si erano mosse proprio in questa direzione ma ben presto mi accorsi che era un omicidio politico,dove la costruzione del libro bianco del Leoncavallo c’entrava poco o nulla

    • Toppetti Giuseppe, difensore di Turatello, Epaminonda e Vallanzasca , coinvolto nel narcotraffico. faceva da " ambasciatore " tra i boss rinchiusi in carcere e i componenti della gang ancora liberi. arrestati anche Lupoli Alessandro 50 anni, Buttiglieri Marco 33 anni, Ardito Antonio 39 e Giovannelli Ivano 42 anni. dietro i capi, sette venditori al dettaglio

      L’ avvocato dei padrini della Milano nera degli ultimi trent’ anni, il difensore di "Faccia d’ angelo" Turatello, del bel Rene’ Vallanzasca e del Tebano Epaminonda, questa volta e’ finito lui dietro le sbarre. Giuseppe Toppetti, 64 anni, e’ stato arrestato ieri mattina nella sua abitazione di via Curtatone 16 dagli agenti della squadra mobile con un’ accusa pesante: associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Quando alle 8 ha visto i poliziotti, l’ avvocato, mentre consegnava le quattro pistole regolarmente denunciate, ha dato per un attimo l’ impressione di volersi togliere la vita. Gli agenti hanno poi perquisito l’ abitazione e lo studio del professionista in via Besana 9. L’ ordine di custodia cautelare, firmato dal giudice delle indagini preliminari Maurizio Grigo, si basa sulle dichiarazioni di due pentiti che hanno trovato conferma e riscontro negli elementi raccolti dagli investigatori. L’ avvocato Toppetti, secondo l’ accusa, durante gli incontri in carcere, in qualita’ di difensore, con i due capi di un’ organizzazione internazionale di spacciatori riceveva le disposizioni da passare ai componenti della gang ancora liberi che continuavano cosi’ a gestire il traffico di droga. Era in pratica l’ ambasciatore, il portaordini. Ruolo che ricopriva assieme a due donne. La prima e’ Carla Bonanomi, moglie di uno dei piu’ grossi trafficanti di eroina, il turco Amza Turkerisin, detto zio Adam, in carcere dal ’ 90; l’ altra e’ Laura Farina, convivente di Gino Abelardo Grasso, napoletano, socio di zio Adam, anche lui dietro le sbarre. Le due donne sono state arrestate ieri mattina con la stessa accusa dell’ avvocato Toppetti. I detective della squadra mobile, diretta dal vicequestore Nino D’ Amato, sono riusciti a scoprire il ruolo dell’ avvocato di Turatello, indagando su un duplice omicidio avvenuto il 31 marzo dello scorso anno in via Fiuggi. Tre killer armati di mitra Spectre e di un fucile fulminarono due uomini su una Tipo. Nel mirino dei "giustizieri" Francesco Calaresu, spacciatore di droga, e il turco Demirtas Fharettin, uno specialista nella raffinazione dell’ eroina. Movente della spietata esecuzione un "bidone" del Calaresu all’ organizzazione. I killer furono arrestati due mesi dopo. Gli uomini della sezione omicidi, diretta dal commissario Emilio Chiodi, continuando a indagare, sono riusciti a ricostruire l’ organigramma della banda composta da turchi, calabresi e sardi. Un’ eterogenea gang che commerciava 50 chili di eroina brown sugar al mese. Un business miliardario con una particolarita’ : mentre gli importatori turchi volevano essere pagati sempre e soltanto in denaro contante, calabresi e sardi a volte scambiavano l’ eroina con cocaina. L’ indagine fu denonimata "renas cudas" (spiagge nascoste in dialetto sardo) perche’ la consegna delle partite di droga destinate alla Sardegna avvenivano in spiaggette e insenature dell’ isola al riparo da occhi indiscreti. Nell’ ottobre scorso scatto’ una prima raffica di arresti: 33 persone finirono in carcere. Qualcuno si penti’ e fece il nome dell’ avvocato Giuseppe Toppetti e delle due donne. "Sfruttano i colloqui in carcere con i capi .dissero le gole profonde . per ricevere gli ordini da impartire al resto della banda". Ottenuti i riscontri, grazie anche a una serie d’ intercettazioni telefoniche, il magistrato ha firmato l’ ordine di custodia cautelare.

    • L’ambiente della destra extraparlamentare è in subbuglio.Nella città i fascisti hanno un peso organizzativo e politico scarso ma non per questo insignificante:neppure le posizioni dei duri fedeli a Pino Rauti,in larga maggioranza nell’allora Movimento Sociale e Fronte della Giovenù,riescono ad ampliare il consenso.Nonostante ciò si verificano fatti nuovi:il Msi organizza dopo anni di silenzio alcune iniziative contro la giunta di sinistra, moltiplicando i tentativi di propaganda: lancia con Rauti la parola d’ordine dell’"opposizione al regime Dc-Pci".Il partito cambia strategia e si rivolge ai giovani,alle donne,alle fasce socialmente più emarginate,soprattutto nel centro-sud.Crea i "Movimenti di giovani disoccupati",scimmiotta i festival di Re Nudo attraverso le esperienze dei campi Hobbit,riprende i testi di Jiulius Evola.Convive una doppia anima:quella politica,alla luce del sole,quella che propugna la rivoluzione armata contro lo stato.Nei quartieri popolari di Milano gruppi di fascisti cercano appoggi nella malavita comune e nella criminalità organizzata.La zona di Lambrate è senz’altro uno dei punti di maggior radicamento degli elementi di destra a Milano.Sono presenti in diverse scuole come il Gonzaga,l’Openheimer,lo Studium e dispongono di gruppetti organizzati in via Negroli e Piazza Adigrat.Quelle strade tra via Padova e via Porpora vedono allacciare i rapporti tra fascisti e malavita organizzata.Nel quartiere del Leoncavallo ci sono bar,locali pubblici dove il connubbio si esprime fino al paradosso." E’ il caso del bar Adriana,riferimento per Rodolfo Crovace detto Mammarosa e del Mokito bar di via Porpora,frequentato da Samuele Judica,trafficante di eroina nelle zone Lambrate e Venezia,dove agisce il suo braccio destro,uno spacciatore meticcio soprannominato Barry"(tratto dallo speciale della Sinistra del 10/3/1979).

      La malavita milanese e’ una fonte di finanziamento e di rifornimento di armi per le organizzazioni terroristiche di destra.Non c’è settore della delinquenza che non veda in qualche modo coinvolti elementi vicini a quegli ambienti. C’è inoltre un interscambio nella gestione dell’organizzazione dei sequestri,rapine,prostituzione,traffico delle armi e della droga.Spesso personaggi della criminalità milanese sono usati come fonte di manovalanza per azioni violente.Gli esempi non mancano:i rapporti tra Vallanzasca e Concutelli(nell’omicidio del giudice Vittorio Occorsio),il sequestro organizzato in Puglia dal deputato di Democrazia Nazionale,Manco;la tentata rapina in cui perse la vita Umberto Vivirito,presente a Pian del Rascino prima della sparatoria con i carabinieri in cui perse la vita Giancarlo Esposti;il caso di Sergio Frittoli,esponente di primo piano della Giovane Italia e del Fronte della Gioventù,arrestato nel 76 per rapina a mano armata in alcune gioiellerie di San Remo;il movente dell’omicidio di Olga Julia Calzoni,uccisa da Invernizzi e De Michelis nel corso di un fallito tentativo di sequestro."Si può affermare che la forte conpenetrazione tra squadrismo fascista e malavita è uno dei dati caratteristici della città di Milano:in alcune zone in particolare questo legame è talmente forte da fungere di supporto valido per l’attività del Msi e dei suoi gruppi collaterali.La metropolitana che esce da Milano in zona Lambrate e prosegue verso l’Adda è diventata una delle linee di sviluppo dello spaccio di droga in provincia.Quasi tutte le stazioni sono frequentate da piccoli o medi rivenditori,soprattutto di eroina i cui clienti provengono in genere da Cernusco,Cologno,Pioltello e Gorgonzola"(La Sinistra 1979).La Questura di Milano accerta che fascisti come Rodolfo Crovace,detto Mammarosa,Adriano e Lucio Petroni,Samuele Judica e Riccardo Manfredi hanno a che fare con lo spaccio di eroina medio,grande.In particolare nella zona circostante il Centro Sociale Leoncavallo,i fascisti del quartiere sono riusciti a istallarsi in alcuni locali pubblici come il bar tabacchi di Piazza Udine .C’è un doppio livello. I gruppi della destra terroristica hanno bisogno di denaro contante per finanziare le attività illecite,la malavita offre supporti,armi.

      Il clima delle settimane che precedono l’omicidio dei ragazzi del Casoretto sul fronte della droga è surriscaldato.Si organizzano iniziative contro il grande spaccio di eroina:piovono denunce,dossier,libri bianchi. Nell’area dell’Autonomia e nei principali Centri Sociali nasce l’idea di un grande dossier che proponga la mappa dello spaccio a Milano,i bar,le alleanze,nomi e cognomi.Nei quartieri ragazzi in incognita raccolgono dati preziosi.E’ una straordinaria rete sotterranea composta prevalentemente da ragazzini coordinati a livello centrale da una redazione di sei persone.Fausto e Iaio ne fanno parte ma forse non conoscono neppure i committenti .Il Centro Sociale Leoncavallo assume l’iniziativa."Fausto Tinelli raccoglieva notizie tra i farmacisti-ricorda Umberto Gay-Contando le siringhe vendute si poteva risalire alla quantità di tossicodipendenti presenti in zona,alle loro abitudini,ai grammi di eroina venduta e infine al business degli spacciatori".Fausto infatti registra attraverso il suo Grundig notizie che riguardano lo spaccio ma anche altri fatti .Il loro lavoro prosegue da settimane.Alcuni testimoni li scorgono impegnati a raccogliere informazioni nella zona del Parco Lambro dove i Nar hanno un punto d’appoggio certo:la carrozzeria Luki di via Ofanto.Cosa potevano aver scoperto?Forse qualcosa di grosso.E’ il quotidiano Lotta Continua di venerdì 9 marzo 1979 a ricordare che" Fausto e Jaio avevano casualmente scoperto che lo spaccio di eroina in zona Lambrate era in mano ad una sacra alleanza tra la banda di Francis Turatello e i fascisti direttamente legati a Servello".

      Il dossier del Centro Sociale Leoncavallo e dei Collettivi Autonomi esce davvero. E’ un volume di un centinaio di pagine."Dossier Eroina,nomi e indirizzi,a cura dei collettivi comunisti autonomi,Centro di lotta e informazione contro l’eroina."E’ dedicato a Carletto Sponta ,un ragazzo ucciso dagli spacciatori .Lo sfoglio."L’eroina è vicina,il movimento,quello ufficiale se ne è accorto in ritardo.Le analisi sulla crisi economica,i dibattiti sull’organizzazione,sulla classe non hanno lasciato vedere che giorno dopo giorno una larga fascia di giovani scompariva dalle assemblee,dalle piazze,dai sacri templi del culto dell’ideologia".Le pagine riportano a quegli anni.Alcune parti di quel dossier sono state scritte anche attraverso le fonti e le informazioni di Fausto e Jaio.Si parla dell’eroina,della diffusione degli oppiacei nel mondo occidentale.Ci sono tabelle dettagliate sulla produzione del mercato legale e clandestino e la descrizione del viaggio degli stupefacenti in Italia,tramite Tir,tra l’Iran e l’Europa.Chi muove le fila di tutto ciò ?.L’inchiesta invita alla riflessione."A nostra disposizione sono solo sospetti sull’attività di rispettabili personaggi ben coperti da regolari traffici commerciali tipo import export,di cui si può dall’esterno osservare l’aumento vertiginoso ed inspiegabile del tenore di vita e qualche agente delle tasse trasferito perché troppo curioso.Nella perquisizione eseguita nel novembre scorso presso la sede del centro di lotta contro l’eroina,i poliziotti trovarono una lista di nomi di spacciatori su cui si stavano svolgendo delle indagini accurate,si misero a ridere affermando di conoscere gente più potente".Ha inizio una lunga sequela di nomi e cognomi,indirizzi ordinati in modo alfabetico.Contiene un gran numero di fotografie e didascalie dei principali bar dove si vende eroina e tuttavia è incompleto.La sensazione che qualcosa manchi è evidente. Così scopro che il libro bianco è uscito con sei pagine in meno.Dovevano esserci nomi di spacciatori con forti legami internazionali,bande grosse in contatto con narco trafficanti sudamericani ed europei.Sarebbe stato difficile sostenere le eventuali ritorsioni di tipo strettamente militare.Il giro era quello di Piazza Aspromonte.Il controllo e ’dei sudamericani.Intanto Francis Turatello e’ diventato il vero boss di Milano,era subentrato nella gestione del territorio a Renato Vallanzasca".Il settimanale Avvenimenti del 3 novembre 1993 sostiene la tesi che a uccidere Fausto e Jaio fu " il più vasto intreccio tra eversione di destra,mercato dell’eroina e delle armi,servizi".Ne è consapevole Carmine Scotti,ora alla Digos di Cremona,tra i primi ad indagare sul caso di Fausto e Jaio."Gli spacciatori non li avrebbero mai uccisi nel luogo più pericoloso,vicino al centro sociale Leoncavallo -dice- Anche chi spaccia non poteva uccidere in quel modo". Armando Spataro,membro del Consiglio Superiore della magistratura,ne è convinto."Non potevano essere solo spacciatori di eroina. C’era dell’altro.Le prime indagini si erano mosse proprio in questa direzione ma ben presto mi accorsi che era un omicidio politico,dove la costruzione del libro bianco del Leoncavallo c’entrava poco o nulla".

    • Francesco Bellosi, dal suo libro "Storie di Potere Operaio"

      "Quando, nel 1982, mi ripresero, ero decisamente stanco.

      Mi dichiarai prigioniero politico, mi portarono a Fossombrone. La cosa mi rallegrò, perché sapevo che Sergio stava lavorando a un’ipotesi di liberazione da quel carcere e che il mio arrivo lì avrebbe accelerato la sua decisione. Infatti, fu così. Solo che il piano venne scoperto per la delazione del solito brigatista arrestato.

      Fui portato a Nuoro. Lì, tutti mi sembravano matti: guardie e detenuti. Cercai di sopravvivere con l’unica arma che avevo a disposizione: l’ironia. Fortunatamente non era capita dalle guardie, il che non mi stupiva, ma neanche dai detenuti. Mi guardavano come se fossero davanti alle battute surreali di Cochi e Renato.

      Di lì a qualche mese mi trasferirono a Roma, per il processo 7 aprile. Mi misero di nuovo al G 7: in gabbia stavo con Rossano Cochis, della banda Vallanzasca, finito in quel processo per storie vecchissime di molti anni prima con l’ autonomia a Padova ( del resto quasi l’intera banda Vallanzasca aveva precedenti politici di sinistra ed in carcere erano i "comuni" più vicini alle iniziative dei detenuti politici di sinistra) e Silvana Marelli, una compagna che conoscevo dagli inizi di Potere Operaio, capace di un sarcasmo dolce e devastante. Eravamo considerati degli irriducibili, quindi ci tenevano separati dagli altri.

      Sì, cercavo di essere irriducibile, ma alla stupidità. Con gli altri coimputati, anche con quelli con cui non mi vedevo da più di dieci anni, i rapporti erano buoni. Avevamo fatto parte della stessa famiglia, anche se ci trovavamo su posizioni diverse. In particolare mi trovavo bene con Egidio Monferdin, Lauso Zagato e Oreste Strano, con cui c’erano maggiori affinità. E con persone che trovavo molto simpatiche, come Franco Tommei e Paolo Virno. Ma anche con Toni i rapporti erano stati ampiamente ricuciti.

      Un giorno mi arrivò una fibbia, in gergo carcerario l’ordine di uccidere qualcuno. Secondo i matti, e i matti in corsivo erano quelli del partito guerriglia che, alleandosi con la Nuova Camorra, avevano istituito un clima di terrore nelle carceri speciali, avrei dovuto compiere il grande gesto rivoluzionario di uccidere Toni Negri, capo dei controrivoluzionari della dissociazione. Rispedii la fibbia al mittente, e da quel giorno non ne volli più sapere. Pur rimanendo alla sezione speciale, chiesi di andare in cella con Rossano Cochis e altri detenuti comuni con cui almeno giocavo a scopa e a pallone, invece di passare il tempo a mandare al macero il cervello."

    • il commando di padova ....

      Il commando che nel 1974 uccise a padova i due missini - l’ omicidio non era previsto ma i due fascisti ( un carabiniere in congedo e un portavalori) erano armati e reagirono con le pistole in mano - era formato da un solo brigatista, Bonavita, da due autonomi di Padova ( di cui solo uno successivamente entrera’ nelle B.R.) e da due malavitosi, Rossano Cochis e Carlo Casirati, che in quel periodo facevano rapine a Padova insieme ai due autonomi. e che poi finiranno nella "batteria" di Renato Vallanzasca.

      Bonavita era andato a Padova per cercare di reclutare i due autonomi che gia’ da tempo, con la firma Brigata Ferretto, si erano mossi su un terreno di lottarmatismo ma nel frattempo facevano, per finanziarsi, le rapine con Cochis e Casirati.

      Mentre Bonavita era a Padova ci fu la strage fascista di Brescia e quindi, per tenersi buoni i 2 autonomi, penso’ bene di proporre l’ azione contro la federazione missina, alla quale per "solidarieta’ malandrina" ( Cochis, un ex paracadutista, all’ epoca si definiva addirittura simpatizzante di destra, anche se poi cambio’ posizioni ed in carcere, come tutta la banda Vallanzasca, si avvicinò ai gruppi armati di sinistra) si aggregarono, come pali, pure i due malavitosi amici degli autonomi.

      Quando l’ azione ando’ come ando’, le B.R. ritennero - essendo stata proposta da un loro dirigente - di prendersene la responsabilita’ politica, anche se in verita’ c’entravano solo di struscio.

      da Indymedia 22 settembre 2005

    • ......"E di certo, mentre spina una birra dietro il suo bancone, Piero Rattazzo non si metterà a dire che proprio a quel civico, fino al 2006, c’era il suo bar. Anche se di storie ne avrebbe tante, tantissime da raccontare, collezionate in quasi cinquant’anni di attività del suo storico locale. «Adesso non posso risponderti, ho da fare». Così Piero Rattazzo accoglie chi lo disturba, mentre gioca a scopa con un gruppo di aficionados della partita pomeridiana. Rotto il ghiaccio, inizia a raccontare: «Cosa vuoi sapere? Sì, questo era il bar storico della sinistra milanese. L’hanno chiamato così perché era frequentato dai ragazzi del movimento studentesco e da personaggi come Curcio, Bompressi e Pietrostefani».

      Il Rattazzo è stato uno dei punti di ritrovo della gioventù (ma non solo) contestatrice che dalla fine degli anni Sessanta e per molto tempo a venire ha animato la vita politica italiana. Aperto nel 1961, dopo il Sessantotto iniziò ad essere frequentato dagli studenti per poi divenire un quotidiano rendez-vous dei diversi gruppi politici extraparlamentari. Al Rattazzo si incontravano i leader di Lotta Continua, di Potere Operaio, e persino i militanti delle Brigate Rosse: quindi, Adriano Sofri, Toni Negri, Renato Curcio. Degli attuali giornalisti, venivano Gad Lerner, di Lotta Continua, e Enrico Mentana, che stava con gli anarchici del Ponte della Ghisolfa. «Anche bretelle rosse veniva», ricorda Rattazzo riferendosi a Giuliano Ferrara. «E Renato Vallanzasca, che era un ragazzo di piazza Vetra che bazzicava coi katanghesi della Statale. In realtà erano tanti, non posso ricordarli tutti. Tutta la rivoluzione milanese transitava dal Rattazzo. Tutti: i bravi, i brutti e i cattivi». ......

      Corriere della Sera 7 Luglio 2008

    • Da una cronologia del 1977 pubblicata da Repubblica nel 2007 ...

      15 febbraio: Roma, in un appartamento alla periferia di Roma è arrestato il bandito Renato Vallanzasca, latitante, responsabile tra l’altro di sequestri di persona (compreso quello di Emanuela Trapani) e collegato a organizzazioni terroristiche di estrema sinistra. Rossano Cochis, membro della banda Vallanzasca e anche lui arrestato poco dopo il suo capo, è coinvolto nel sequestro di Carlo Saronio compiuto da organizzazioni di Autonomia Operaia.

    • La grande fuga da San Vittore del 1980

      da "Il fiore del male" di Renato Vallanzasca e Carlo Bonini

      Il piano (dell’evasione n.d.c) non era particolarmente complesso.

      L’idea era quella di fare arrivare delle armi in carcere.

      Il resto sarebbe venuto da solo. Per avere il necessario trovai senza eccessiva difficoltà un cavallo.

      La guardia era disponibile.

      Non mancavano neppure allora a S.Vittore un buon numero di compagni brigatisti, con un nome per tutti: Corrado Alunni, capo riconosciuto di Prima Linea

      Senza contare che San Vittore, come e più di tutti i grandi carceri, è un porto di mare.

      Eravamo in troppi,pericolosi, tutti insieme.

      Il cavallo mi disse che quello sarebbe stato il periodo meno adatto per introdurre qualsiasi cosa.

      Li stavano sottoponendo a un sacco di perquise, soprattutto prima di montare nella nostra sezione.

      Quindi... meglio lasciar passare il momentaccio.

      Di lì a poco parecchi compagni sarebbero partiti, come pure i miei soci.

      Tornata la calma si sarebbe potuto fare tutto bene. Non era il massimo, proprio perché volevo che riuscissero tutti ad approfittarne. Ma quella era la situazione, non si poteva che rimandare.

      Dissi dunque a quel paio di persone cui tenevo particolarmente di partire tranquilli. Sarebbero dovuti tornare entro un mesetto e promisi che avrei sistemato tutto per il loro ritorno.

      Con lo svuotarsi dei raggi arrivarono le armi.

      Il primo pezzo lo imboscai murandolo dietro le piastrelle del cesso.

      Il secondo mi fu consegnato invece quando Pinella, rientrato, venne messo in cella con me.
      Ricordo perfettamente.

      La guardia arrivò davanti alla cella e, mentre allungava il braccio attraverso lo spioncino, mi chiamò:
      «Vallanzasca, tenga ’sta roba».
      Proprio da fuori di testa.

      Neppure si era preoccupato di avvolgerlo in un giornale o in uno straccio.
      La mano della guardia roteava dentro la cella tenendo il cannone per la canna.
      Eravamo seduti per la cena e per poco a Pimpi non venne uno sbocco. La guardia ripeté il movimento una seconda volta.
      E mi ritrovai con due pezzi tra le mani.
      Tonino non stava più nella pelle.
      Evidentemente, non era convinto che sarei riuscito a concludere positivamente la missione.

      Volle un’arma e se ne andò al cesso, per evitare di essere visto da qualcuno cui fosse venuta l’idea di affacciarsi all’improvviso allo spioncino.
      In preda all’euforia, all’interno del bagno, Pinella cominciò a mimare l’evasione che, nell’attesa dei rientri, arrivò all’ultimo giorno utile fissato per il piano: il 28 aprile. Alle 13.20, durante l’ora d’aria.

      Quella mattina mi limitai a dire a tutti che avrebbero dovuto scendere al passeggio con le scarpe da tennis, perché si doveva discutere sulla forma di protesta per risolvere alcuni problemi che si erano verificati in carcere.
      Infatti, a parte il sottoscritto, Colia, Antonio Rossi, e Micio, c’era Corrado che avrebbe deciso a chi dirlo.

      Ci fu così la new entry.
      Quel culo rotto di Daniele Lattanzio dei Nuclei Armati Proletari.
      Era arrivato la sera precedente.

      Sembrava destino: se c’era in atto un preparativo di evasione, quello si materializzava in tempo senza saper nulla in anticipo.
      Gli altri detenuti ignoravano tutto.
      E del resto avevo ritenuto inutile informarli.
      Già ne erano a conoscenza in troppi.
      Tanto, a che sarebbe servito?
      L’unica cosa che contava era esser portati fuori e io quello stavo facendo.

      Il piano procedeva secondo il programma.
      Pinella e io, con la scusa che ormai stava uscendo il caffè, ci facemmo aprire la cella per ultimi, anche se in realtà ci trovavamo in quella che avrebbe dovuto essere aperta per prima.

      A mano a mano che gli altri scendevano venivano messi al corrente. Una volta rimasti soli in sezione, mi feci aprire e passata regolarmente la perquisa con il cannone piazzato tra le palle, me ne andai nel corpo di guardia con il mio bravo caffè bollente.

      Si mise a parlare con il brigadiere che faceva da caporeparto. Una sceneggiata. Anche questa studiata nei dettagli.
      «Hai sempre un culo della Modonna. Ogni volta che c’è un problema da risolvere ci sei sempre tu in servizio. Dai, molla sta cazzo di Gazzetta e scendi con me al passeggio che dobbiamo parlare delle infamità che state facendo con la posta».

      Con la proverbiale flemma di chi non ha voglia di fare un cazzo, e un po’ contrariato, il brigadiere si alzò e mi venne dietro.

      Siccome era indispensabile che Pimpi ed io si scendesse assieme, sapendo come prenderlo dissi al brigadiere:

      «Dai, fai aprire anche Colia, almeno ne discutiamo per bene. Siete qui in metà di mille... o devo pensare che due duri così ti mettono la strizza al culo?».
      Come mi aspettavo, ’sto pampurio, affermando che lui non aveva paura di nessuno, disse di aprire anche Colia.

      E tutti insieme, il brigadiere e io davanti a un codazzo di guardie e Pimpi sul fondo della fila, scendemmo lungo le brevi rampe di scale che portavano al piano terra.

      Ora avevano pochi minuti.
      Tirammo fuori i cannoni e ci ritrovammo con una decina di ostaggi. Lui in cima alle scale, io in fondo e loro in mezzo. Feci un breve e minaccioso discorsetto a tutti, al brigadiere in particolare.

      Pinella rimase a controllare gli agenti di custodia. Vallanzaca, la pistola puntata alla schiena del brigadiere, sorretto come se stesse male, arrivò nel cortile dove gli altri detenuti erano al passeggio.

      Il brigadiere fece quello che gli era stato ordinato.
      Chiamò la guardia nella garitta protetta da un vetro antisfondamento: «Vieni qui a darmi una mano! Non vedi che si senta male?»...
      Come quello uscì, lo puntai e, in meno di quindici secondi, avendo aperto il cancello dei passeggi liberando tutti gli altri ragazzi.

      Diedi la terza pistola che avevo a Luigi Lattanzio e i tre coltelli ad altrettanti scatenati. Gli altri si armarono con spranghe di ferro e attrezzi da muratore Dissi quindi a tutti di spogliare le guardie e di indossarne le divise.
      Io e Pinella dovevamo uscire in fretta, mentre loro, dovendo aspettare che noi gli si aprisse la strada, avrebbero avuto tutto i tempo di travestirsi.

      Erano in sedici e contavano sul vantaggio che gli avrebbe garantito la confusione. Tra loro anche Corrado Alunni,, riconosciuto leader di Prima Linea e il nappista Paolo Klun.

      Ricorrendo alla tecnica, tanto cara agli sbirri, del bastone e della carota, mettemmo in mezzo il brigadiere. Io minacciavo stragi inenarrabili se fosse andato storto qualche cosa e non ce l’avessimo fatta ad uscire. Pimpi rassicurava il briga: «Dai, Renato, non c’è bisogno di strapazzarlo, : ha capito che qui si muore tutti quanti. Vedrai che si comporta bene. Vero brigadiere?».

      Il brigadiere assicurò che avrebbe eseguito le istruzioni alla lettera.
      Primo della fila, avrebbe fatto aprire ai due detenuti tutti i cancelli che separavano il cortile del passeggio dall’ingresso principale del carcere in via Filangieri.

      Ci aprirono un cancello dopo l’altro.

      Avanzavo con Tonino a ruota e a ogni cancello superato, dopo aver preso un altro ostaggio, mettevamo la mandata in modo che tutti gli altri potessero seguirci senza trovare ostacoli.

      Passammo nel corridoio degli avvocati, sapendo che a quell’ora lo avremmo trovato deserto.

      L’unica difficoltà rimaneva il doppio cancello prima dell’ingresso. Straripava sempre di guardie, soprattutto durante i turni di mensa. Ma come vidi che l’addetto lo stava aprendo per far entrare un collega, con un paio di spintoni fui dentro.

      Feci scattare la serratura automatica del secondo cancello e mi precipitai nella portineria senza curarmi dei presenti. Sapevo infatti che alle mie spalle c’era Tonino.

      La pistola l’avevo nella tasca del giubbotto.
      Andavo a passo svelto, ma non di corsa.
      Incrociò un avvocato che lo conosceva.

      Era appena entrato in carcere con un magistrato per un interrogatorio.
      Mi guardò stupito, ma dopo una mia occhiata, credo eloquente, si rimise a parlare con il giudice. Arrivai quindi alla tappa finale.
      E non ci fu nemmeno bisogno di tirare fuori l’arma.
      La guardia dell’ultimo cancello, intenta a discutere con uno dei suoi, mi degnò a malapena di uno sguardo e spalancò al volo.
      Con tutto quel via vai doveva essere un riflesso condizionato.
      Tra me e la libertà non c’erano più ostacoli.

      Vallanzaca decise allora di neutralizzare l’ultimo piantone.
      Quello che stazionava alla porta principale.
      Lo afferrai per la collottola e lo tirai all’interno del portone.
      L’avevo preso per le spalle feci per disarmarlo, ma la fondina era vuota. Era un altro napoletano, scansafatiche.
      Mi riconobbe subito e mi disse : «Rena’, tengo famiglia . U’cannone non ce l’ho. Pesa assaie».

      Ci sarebbe stato da ridere, se non per il particolare che su quel cannone fidavo molto. Un pezzo in più in certi momenti fa comodo.
      Lo feci inginocchiare nell’androne con la faccia al muro:
      «Se ti giri che sono ancora qui, tua moglie dovrà crescere da sola due orfani...».
      E feci capolino sul portone.

      Mentre Vallanzasca aveva raggiunto l’esterno del carcere, i quattordici detenuti del passeggio avevano cominciato a risalire la teoria dei cancelli forzati dal passaggio di Vallanzasca e Colia.

      Affacciatomi vidi subito due auto dei grippa, che poi risultarono la scorta del magistrato che avevo incrociato uscendo.
      Erano ferme all’angolo del piccolo bar di via Filangeri, in cui i familiari dei detenuti confezionano il pacco da consegnare al colloquio.

      Solo uno era rimasto al volante, mentre tre erano scesi e parlavano tra loro. Attraversai la strada e mi fermai sul marciapiede di fronte all’ingresso del carcere, a una ventina di metri di distanza dalle due auto. (nella foto la freccia rossa indica il portone centrale dal quale uscì Vallanzasca ed i giardinetti di fronte)

      Doveva aspettare che gli altri lo raggiungessero, almeno Colia e Lattanzio.
      Affrontare i grippa da solo , con quel pistolino che quasi spariva nella mano, non sarebbe stato igienico.

      Era pur sempre una calibro 9, ma avendo avuto l’esigenza di farla entrare per nasconderla, avevo chiesto che fosse di piccole dimensioni. Certo, sparava e faceva molto male anche quella.
      Ma l’impatto psicologico del vedersi minacciato da quel ninnolo poteva non essere terrorizzante.

      Con due pezzi in mano e mettendoli in mezzo, avrebbero certo avuto meno voglia di fare qualche colpo di testa.

      Ma i due tardavano.
      Dal mio punto di osservazione, vidi che tutti avevano raggiunto la portineria. Ma invece di cominciare a uscire, si attardavano a prendere in ostaggio tutti quelli che arrivavano. Per ben due volte attraversai la strada per chiamare fuori almeno uno di quelli con il cannone.
      Finché, mentre per la seconda volta si trovava al centro della strada, percepì un colpo di pistola.

      Arrivava dall’interno del carcere.
      Guardai subito le reazioni in strada e vidi che un solo carabiniere aveva alzato la testa . probabilmente lo scoppio si era confuso con i rumori dell’intenso traffico.
      Poco dopo però si sentirono altri tre colpi di pistola.
      In rapida secessione.
      Lo scarafone ormai era fatto.

      I carabinieri misero mano alle armi.
      E a capire cosa stava accadendoli aiutarono le prime sagome che affacciavano al portone d’ingresso.
      Cominciò il finimondo.
      Vallanzasca era l’unico ad essere già in strada, sufficientemente distante dall’entrata del carcere.
      E con quel giubbottino elegante, camicia e foulard al collo lo avevano confuso per un passante.

      Un caramba cominciò a urlare di mettermi al riparo. Avrei potuto allontanarmi tranquillamente, ma significava mollare gli altri che erano rimasti inchiodati, farli arrestare tutti senza neanche che avessero messo il naso fuori. Decisi la sola cosa giusta da fare. Attraversai la strada di corsa e cominciai a urlare anch’io: «Prendete gli ostaggi, bisogna uscire alla svelta!»

      Era di nuovo all’interno del corpo di guardia.
      Recuperai quel simpatico napoletano simile ad un ippopotamo che avevo lasciato in ginocchio.
      Era ancora là come l’avevo messo.
      Lo presi per il bavero e me lo tirai appresso mentre bestemmiava: Azzz, che sfaccimme e’jurnata.

      Quindi tornai in strada, questa volta coperto dalla voluminossissima sagoma del mio ostaggio.
      «Se volete uccidere un innocente, sparate pure» urlai.
      Gli spari cessarono di colpo de dissi subito agli altri di cominciare a correre sfruttando la nostra copertura Uno dopo l’altro uscirono undici ragazzi, ma siccome dovevamo essere in diciassette, che è veramente un numero sfigato, mi attardai ad attendere gli altri che non si vedevano.

      Non passarono più di venti secondi, che però ci sarebbero costati cari. Non potevo correre liberamente come facevano gli altri.
      Per coprirmi la fuga, camminavo a ritroso, obbligando il mio ostaggio a fare altrettanto.

      Funzionò per un centinaio di metri, ma come il ciccione inciampò e cadde, sembrò il segnale che aspettavano, fu la festa di Piedigrotta.

      Vallanzasca ora correva.
      Antonio Rossi era già stato colpito.
      Impugnava uno dei tre coltelli a serramanico distribuiti al passeggio.
      Era riuscito a fare solo un a decina di metri.
      Lo avevano abbattuto nei giardinetti del vicino Beccaria Vallanzasca proseguì senza voltarsi, finché non svoltò l’angolo di via degli Olivetani, mentre il rumore assordante delle sirene anticipava la rapidità con cui il carcere stava per essere circondato.

      Fu allora che si accorse che sull’altro marciapiede stava correndo Corrado Alunni, armato del secondo serramanico.

      Gli gridai di attraversare la strada Dal mio lato avrebbero avuto la copertura anche della mia pistola Ma soprattutto non sarebbe stato sotto il tiro dei mitra che facevamo fuoco dal muro di cinta.
      Alunni attraversò via Giambattista Vico.
      Ma invece di proseguire la corsa fino a trovare uno spazio sufficiente per superare le auto in sosta, si attardò a tentare di passare tra due auto posteggiate troppo vicine.
      Errore fatale quello del capo di Prima Linea.
      Un colpo lo raggiunse allo stomaco.
      Strammazò in terra in un lago di sangue, accanto a una 125 blu coperta da un telone.

      Arrivai che era appena caduto. Mi piegai su di lui e lo afferrai per un braccio: «Alzati, Corrado, dai che ce la facciamo».
      Lui si comprimeva il ventre con le mani, dimenandosi, perché poche ferite sono dolorose come quelle nello stomaco. Aveva la voce straziata:
      «Vai, non ce la faccio. Scappa e buona fortuna».
      Mi rialzai: «Okay, buona fortuna anche a te, ci vediamo».
      Ma forse la frase non la finii neppure. Non so quale delle tre cose percepii per prima, se il carabiniere che a non più di sei metri puntava contro di me la pistola impugnandola con tutt’e due le mani, il colpo secco dell’arma, o la terrificante mazzata.

      Il colpo lo aveva raggiunto alla testa, nella parte alta della fronte, all’attaccatura dei capelli.
      Andai a sbattere contro il muro, ma rimasi in piedi. Avevo la testa che era una giostra. Tutto mi girava intorno vorticosamente.
      Ma barcollando ebbi ancora la forza di fare qualche metro. Avevo la sensazione che le montagne russe in cui mi sembrava si fosse trasformata la strada andavano spianandosi.
      Riuscivo anche a correre.
      Ripetevo a me stesso: «Dai Renato, che ce la fai...ce la devi fare».

      A fermarlo fu un secondo, decisivo colpo, esploso dal muro di cinta. Renato si afflosciò come un sacco vuoto
      La perizia stabilirà che era stato sparato dalla guardia sulla cinta. Il colmo della sfiga. Un colpo partito da un centinaio di metri era rimbalzato sul muro e mi si era conficcato nella parte alta della nuca.

      Ora Vallanzasca se ne stava immobile sull’asfalto.
      Perdeva molto sangue, che gli rendeva quasi irriconoscibile il volto.
      Non credo dia aver mai perso conoscenza, anche se sembravo morto.
      Il colpo alla testa mi aveva paralizzato.
      Non riuscivo a muovere nulla se non le palle degli occhi.
      Ricordo interminabili minuti di caos in un concerto insopportabile di sirene. Finchè non sentii una fitta all’osso sacro.
      Una tremenda scarpata di uno che non poteva che essere uno sbirro, indipendentemente dalla divisa.
      «E’ quel bastardo di Vallanzasca. Ora finirai per sempre di rompere i coglioni».
      Udii distintamente il rumore del carrello dalla pistola quando si mette il colpo in canna. Era alle mie spalle.
      Merda, mi stava ammazzando e, per quanti sforzi facessi, non riuscivo a muovermi Non avevo paura, ma ero furioso.
      Morire ci stava pure, ma non riuscire a portarmene appresso qualcuno, era proprio da pirla. Poi sentii un ’altra voce: «Fermi! Non vedete che è morto?»
      Lo poteva scorgere da terra. Era un carabiniere.
      Lo sentii discutere con gli altri sbirri.

      « Ha ammazzato più di un tuo collega e dei nostri. Perché non vuoi eliminarlo?»
      Un carabiniere gli stava salvando la vita.
      Sì, devo la pelle ad un ragazzo in divisa.
      Ancora mi ricordo il tono con cui risposa a quelli che mi volevano far fuori. « Non mi frega un cazzo di chi è e che cosa ha fatto, so solo che è mezzo morto, e che nessuno gli farà niente. Indietro, mettetevi contro il muro...»
      Aveva armato il mitra e l’aveva alzato ad altezza d’uomo.

      Tanto che per un attimo pensai, o meglio sognai che... potesse essere un socio travestito.
      Arrivarono i barellieri
      Mentre mi caricavano sull’ambulanza mi cade di mano la pistola. Per tutto quel tempo evidentemente non se n’erano accorti. Un barelliere le diede subito un calcio e disse al compagno: «Se gli dico che ce l’aveva in mano lo ammazzano».

      Poi si rivolse a qualche sbirro: «Guardate, lì c’è una pistola ». Anche un uomo di poca fede come me fu costretto a pensare che di brava gente in giro ce n’era più di quanto si pensasse.

      La fuga di Vallanzasca era finita.
      Ma non era andata meglio a molti altri.
      Il nappista Pailo Klun e Vittorio Barindelli non erano riusciti a fare un passo oltre il cancello del carcere.
      Emanuele Attimonelli dei Nap sarà arrestato la sera stessa.
      Antonio Colia, dopo essersi asserragliato in un vecchio stabile di fronte al carcere e aver preso in ostaggio una donna, si consegnerà alla fine di quaranta minuti di assedio all’allora commissario e futuro vicecapo della polizia Achille Sera Solo Merlo, Rossi, Lattanzio, Bonato, il primalinea Marocco e due brigatisti ce la fecero.

      L’ambulanza con a bordo Vallanzasca raggiunse il Policlinico in via Francesco Sforza.

      Erano le due, e mentre i giornali del pomeriggio preparavano lenzuoli a nove colonne per descrivere il terrore di quella mattina, nella sala del Pronto Soccorso venivano scaricate tre lettighe.

      Su una Vallanzasca, sulle altre due agenti di custodia feriti.

    • L’avvocato della mala??? e di chi sennò, di Biancaneve?
      Questo articolo riporta la data del 2010 e sono profondamente indignata che ancora venga diffusa questa notizia diffamatoria a carico dell’avv. Toppetti dal momento che egli fu ASSOLTO da questo cumulo di menzogne nel 1998.

      Nell’articolo sono riportate tante di quelle inesattezze e accuse infondate (che gli atti del processo hanno smentite) che ritengo inammissibile che ancora si parli in questi termini dell’avvocato Toppetti, ennesima vittima di magistrati a dir poco "distratti".
      Che nel 2010 ancora si scrivessero i verbi al tempo presente (faceva, era, "sono riusciti a scoprire il ruolo dell’avvocato...") e con tanta presunta convinzione, è cosa a dir poco ributtante!
      Manca una notizia fondamentale nell’articolo e cioè che l’avvocato Toppetti non andava praticamente mai a far visita in carcere al suo cliente (per il quale avrebbe fatto il postino!) ma che eventualmente mandava -e di rado- la sua assistente. Peccato che la difesa non abbia potuto dimostare questo "dettaglio" poichè impossibilitata ad ottenere copia della pagina relativa di quel Registro del carcere che gli avvocati o i loro assistenti firmano in entrata e in uscita ogni volta che si recano a visitare i loro assistiti; infatti "disgraziatamente" quella pagina del registro sparì, chissà come e perchè, per ricomparire "magicamente" 5 anni dopo, quando evidentemente "si poteva" procedere all’assoluzione dell’imputato!
      Inoltre, i detective, non sarebbero affatto arrivati all’avvocato Toppetti nel modo da voi raccontato ma (e questa è fantastica) in seguito al rinvenimento del suo numero di telefono in casa di uno degli arrestati già noto alle forze dell’ordine(cosa che ha la stessa "sorprendente" valenza del rinvenire il numero di un medico in casa di un ammalato più o meno cronico).
      Il famoso pentito -detto Ciccio, se non ricordo male- pentito sul quale si basava l’intero processo (e che suppongo, quindi, nessuno si sognasse di smentire "solo" per restituire la dovuta giustizia a un uomo più che onesto coinvolto non sappiamo ancora il perchè), in realtà fu completamente smentito dall’avvocato Toppetti, avvocato che non ha MAI incontrato in vita sua (cosa che infatti detto Ciccio non potè dimostare) e al quale negò addirittura il confronto richiesto (dal quale detto Ciccio sarebbe uscito decisamente perdente)!
      La vostra conclusione "Ottenuti i riscontri, grazie anche a una serie d’ intercettazioni telefoniche, il magistrato ha firmato l’ ordine di custodia cautelare" è assolutamente falsa, poichè se quelle intercettazioni ci fossero state noi non staremmo nemmeno qui a parlare e la storia non avrebbe visto ripetersi un ennesimo, penoso, evitabilissimo, sconcertante "caso Tortora".

      E già che ci sono, voglio precisare quanto segue: l’avvocato Toppetti non era "l’avvocato dei padrini": non ci vuole molto a capire che "i padrini" si rivolgessero abitualmente ai migliori avvocati TRA I QUALI l’avvocato Toppetti, il quale -dal canto suo- poteva vantare una nutrita schiera di clienti TRA CUI i personaggi indicati nell’articolo.